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Mentre lei cercava di schiarirsi la gola dai veleni gassosi che stava respirando, anche l'Arbitro si avvicinò al bancone e prese le ordinazioni dispensando a tutti battute piuttosto garbate per i suoi standard: Auburn pensò che l'uomo dovesse essere di buon umore e sorrise quando venne il suo turno. Se il tentativo era stato quello di pungerla, doveva essersi dimenticato di quando aveva chiamato il suo nome per la consegna della Scopa d’Oro e lei, lì presente, non si era mossa per ritirare il premio, mentre aveva applaudito alle altre premiazioni. Ma che le avesse fatto quella battuta per infastidirla o con innocenza (per quanto di innocenza si potesse parlare, nel caso di Eustass Hawkins), ciò che suscitò nell’ex-Capitana fu un breve esame di quanto era cambiato dai tempi in cui i due si frequentavano. Come le accadeva quando rivedeva una persona dopo tanto tempo, la sua mente in qualche modo ripescò in blocco il pacchetto di ricordi che lo riguardava e, portandolo alla luce del contesto attuale, inevitabilmente lo modificò un poco, in favore delle memorie più gradevoli. Erano sempre stati molto diversi, eppure era innegabile che per varie ragioni il Professore avesse esercitato una notevole influenza su di lei, per un periodo non breve durante i suoi anni formativi. Poi però, siccome al mondo esistevano frutti più potenti di alcune briciole di fiore, tante cose che aveva accumulato crescendo le aveva infine lasciate indietro durante il suo esodo di pulizia: cosa di Eustass le era rimasto, e cosa invece aveva ritenuto di dover abbandonare? Osservandolo armeggiare con i suoi semplici attrezzi, non poté reprimere la sensazione di provare anche per lui un certo tipo di affetto, ma al contempo si trovò a riflettere sulle diversità dei loro vissuti. Si chiese se l'Arbitro avesse mai veramente compreso il valore di una Squadra che gioca unita nonostante la consapevolezza di non avere chance di vincere; se avesse mai avuto l'occasione di sperimentarlo sulla sua pelle. Vedendolo sempre e solo insistere sull’aspetto più spettacolare, ma sostanzialmente meno importante di quel gioco, meno le veniva da interpretarlo come un atteggiamento scherzoso e più iniziava a temere che davvero non ne avesse capito il senso. O almeno, il senso che gli attribuiva lei. Quando aveva tentato di riempire la fascia di Phoenix e Ririchiyo, una Auburn ancora adolescente aveva dovuto rivedere parecchio la sua posizione rispetto al Quidditch, e quel primo incontro con la responsabilità le aveva insegnato in pratica ciò che il cav. Gold le aveva spiegato in teoria: che la competizione è utile in quanto permette di tirare fuori il meglio da ogni partecipante, e che solo ai principianti era concesso di confondere il mezzo con il fine. Ma capiva anche che a quella massima, in partenza puramente economica, si fosse agganciato un giudizio di valore, modellato sulla persona che era lei e basato sulle sue preferenze, chiaramente molto distanti da quelle che mostravano Eustass e chi la pensava come lui. Ancora una volta, per quanto all'apparenza le fosse antipatica, si trovava a dover riconoscere l'importanza della diversità: forse, senza persone così, la competizione non sarebbe stata abbastanza accesa, e si doveva riconoscere all'Hawkins una costanza e un impegno senza eguali nel tenere viva quella fiamma. Senza una competizione lei non avrebbe potuto perseguire i suoi scopi, per quanto diversi dai loro: il testimone che sperava di aver lasciato alla Squadra aveva infatti poco a che fare con qualche medaglia nella vetrina di un castello e la sua qualità era determinata tutta dallo spessore educativo, che invece i suoi compagni avrebbero potuto portare con sé ovunque ora fossero nel mondo. E più in generale, Auburn non avrebbe proprio saputo che farsene del titolo di regina di uno specifico reame: a lei bastava che la facessero entrare, però in quanti più regni possibile. Solo se poi non era chiedere troppo, con un braccialetto per il privé… e magari un bisbiglio a svelarle dove si sarebbe tenuto l’after. « Se questo è il prezzo da pagare, pagherò » Un ghigno soddisfatto le si allungò sul volto mentre si toglieva i guanti e le venivano date le code di ratto, che afferrò per portarsene subito una alle labbra e scottarsi piacevolmente nel morderla: in quei locali a nessuno importava dell’etichetta, nemmeno a lei. Del resto, durante il piacere della carne e del sale sulla lingua, quale preoccupazione poteva resistere? Cercò e pose sul bancone le monetine dovute con una mano, mentre teneva il cartoccio con l’altra e boccheggiava per spingere fuori l’aria calda, che nell'ambiente gelido e maleodorante formava nuvolette più gradevoli. Poi, voltatasi, si appoggiò per un momento con la schiena allo spigolo per guardare verso i due altri avventori, che erano rimasti piuttosto silenziosi, e infine spostare lo sguardo davanti a sé. Mordicchiando un'altra coda sovrappensiero, si chiese che figata sarebbe stata se da quella porta fosse davvero entrata Sesy Riddle e si fosse colta l'occasione per una sorta di “rimpatriata dei Capitani” all’insegna della sportività (che poi, sempre per come la vedeva lei, era lo scopo principale del Quidditch come di qualsiasi altro gioco). La situazione sarebbe stata certo assurda, ma immaginava che proprio per quello tutti avrebbero fatto ritorno a casa con un ricordo memorabile in più, di cui (almeno in un futuro lontano dall'imbarazzo) avrebbero poi potuto ridere. Invece non era andata così, e l'aria che si respirava le parve anche più pesante dei fumi tossici che esalavano dalla trovata odierna degli habitué del pub. Vero, qualcuno sosteneva che con i "se" e con i "ma" non si faceva la storia, che l'unica strategia sensata era quella di vedere le cose per come erano anziché per come si sarebbero volute, e anche lei talvolta era più pratica che sognatrice. Ma proprio per questo si scontrava col difetto di quel modo di pensare: come poteva essere "più utile" l’esame dello stato concreto, se era solo l’ideale che avrebbe potuto cambiare le cose? Senza, si sarebbe sempre rimasti fermi, e lei ferma non ci sapeva restare. Probabilmente si è già detto: si diventa strega quando si capisce che è la mente a descrivere la realtà, e infatti tutte le streghe e tutti i maghi letteralmente modellavano col proprio pensiero non solo il presente, ma anche il passato e il futuro. Era solo questione di imparare a usarlo consapevolmente. In quel caso, poteva pensare che quel comportamento avesse a che fare con lei, trovarne la causa in voci sussurrate alle sue spalle, speculare sulla qualità di tali voci, convincersi perfino di sapere esattamente da chi provenissero. Poteva rimanerci male, come quando ci si mette d'accordo per fare qualcosa e poi non si fa. Oppure poteva pensare che non era al centro del mondo, che ognuno ha le sue inimmaginabili ragioni, che, se fosse stata disposta a dare un'ennesima chance, la prossima volta sarebbe stato diverso. E chissà l'una o l'altra scelta quali conseguenze avrebbero potuto smuovere. Bivi come questo, quando gli altri coinvolti non immaginavano nemmeno che li stavi prendendo, potevano talvolta determinare la sorte di una relazione. Aveva senso, in questi casi, cercare la verità, o era meglio costruire qualcos'altro? Certo, non poteva pretendere che, anche semplificando e restando nell'ottica di una semplice competizione, ci si mettesse finalmente d'accordo su quale valore assegnarle; ma era convinta che più spesso che no la ragione potesse conciliare ideali diversi, se si guardava all'interesse comune: dando un'occhiata attraverso la lente economica, si poteva almeno dire che ad allontanare tutte le persone che non ci piacciono, a isolarsi in "un'élite" su misura, si rischia che il resto si scocci e se ne vada proprio; e rimanendo in pochi il valore dei primi posti si avvicina pericolosamente a quello del fumo di quei bidoni là all'angolo. Ragionandoci in questi termini, le pareva evidente che se alla competizione ci si teneva, sebbene per i più disparati motivi, qualcosa da fare c'era, e forse si riduceva tutto a quanto fosse difficile comprendere l'impatto delle proprie azioni individuali sulla comunità globale. Tanto difficile che spesso alle società non bastava trovarsi sull'orlo di un baratro per capirlo: che sarà mai una singola mela comprata dal venditore sbagliato? La "vera colpa" sarà certo di qualcun altro... Insomma, per quanto le chiedesse non poca forza di volontà, era preferibile per Auburn impegnarsi a non tenere fuori nessuno, neanche chi la sua immaginazione era tentata di interpretare in modo ostile. Fortuna che i guanti che le aveva dato Luna fossero color Fiducia, e che fosse tutto molto più facile quando si aveva tra i denti uno snack così gustoso e croccante: la chimica, anche se era cosa babbana, la masticava bene, perché c'era una voce di cui si fidava ciecamente sempre pronta a spiegargliela come se avesse avuto cinque anni. Aveva quindi un'idea almeno generale dei meccanismi con cui il suo cibo preferito accendeva le scintille nel suo cervello, ma a ben vedere, quello stato di fisiologica serenità non era più illusorio di tutte le sue precedenti impressioni. « Grazie, salute, e buon proseguimento » Si congedò con un sorriso, varcando la porta del pub e augurandosi almeno che, rimasti soli, i due avventori potessero spiccicare qualche parola amichevole. Ma comunque fosse andata, un'altra fortuna era che non stava scritto da nessuna parte che lei dovesse migliorare il mondo: grazie al Fato era nata strega, e poteva cambiarlo anche solo per togliersi qualche sfizio. Tutta concentrata sulle deliziose codine fritte, che non avrebbero fatto in tempo a vedere l'uscio del numero 9, aveva ridotto a una vaga ombra quelle che erano state grevi preoccupazioni, anche quelle relative allo schifo che le faceva la maniglia di una bettola. Dopo essersi portata le dita alle labbra per leccarne via anche le briciole, inclinò leggermente la testa verso la spalla e indirizzò un pensiero al suo demone più opprimente, l'unico a cui avesse dato un nome: "I don't care" |