Osservando la sua piccola pantera contorcersi nel tentativo di arrestare il filo (lo afferrava con le zampe, lo mordeva, lo schiacciava sedendocisi sopra, ma questo riusciva sempre a divincolarsi per un pezzo e a fargli il solletico nelle orecchie), Auburn arrivò a domandarsi se l’animale non stesse nuovamente prendendo peso. Venne tuttavia distratta da quell’improvvisa analisi, interrotta dall’arrivo di un pulcino ben più paffuto: anche Atlantide fermò il suo gioco, assumendo la stessa espressione incuriosita della strega, mentre entrambi guardavano quello che doveva essere pupo avvicinarsi. Le loro teste si inclinarono sul medesimo lato studiandone i movimenti, forse un po’ limitati dall’abbigliamento o dall’incompletezza del suo sviluppo, e si ritrassero nello stesso momento con un piccolo sussulto quando una manina si stese verso di loro, vicina abbastanza da afferrare uno dei due. Il pulcino era più svelto di quanto sembrasse. Dopo essersi scambiati uno sguardo interrogativo, A&A tornarono a posare gli occhi sul fagotto giallo, che sembrava interessato a giocare con Atlantide. Per assurdo che potesse essere, quella era la prima interazione che gatto e strega avessero mai avuto con un bambino: Auburn, che scoprì di avere idee più pallide del suo felino su come comportarcisi, fu perciò sollevata nel sentire la voce di Luna, riconoscendola subito dalla lieve musicalità francese.
« Bonjour!»
Ricambiò, cercando di imitare più fedelmente possibile la pronuncia, perché le piaceva almeno tentare di parlare a ciascuno con la sua lingua.
« Bonjour Monsieur.»
Si rivolse poi al pulcino,
« Lieti di fare la sua conoscenza, i nostri nomi sono Auburn e Atlantide. Lei come si chiama?»
Indicò rispettivamente se stessa, il gatto, e infine il pupo mentre scandiva chiaramente le parole. Avesse lavorato un decennio con i bambini, avrebbe saputo che si gasavano di brutto quando li si trattava come dei signori e si sarebbe potuto dire che l’avesse fatto apposta, ma non era questo il caso: lei, che sapeva poco e niente di carezze e vezzeggiativi, li aveva scoperti col suo gatto e a lui (o altri animali) li riservava. Quel che vedeva di fronte a sé poteva interpretarlo solo come un umano in miniatura, uno che le era molto più sconosciuto di uno studente. E che aveva un odore diverso.
« Lo scopriremo oggi.»
Rispose alla domanda di Luna con un sorriso, riportando immediatamente uno sguardo vigile sulla creatura, anch’essa interessata alla nuova fragranza ma titubante all’idea di lanciarsi tra le braccia che si allungavano in sua direzione. Come spesso accade ai gatti, tuttavia, la curiosità ebbe la meglio e dopo un po’ balzò giù dalla panchina, per azzardarsi ad annusare l’unica porzione di pelle scoperta del piccolo Pike (probabilmente stuzzicandogli uno starnuto con le vibrisse).
« In ogni caso, graffia solo me.»
Tranquillizzò la mamma con un’alzata di spalle, preoccupata unicamente che il flagello felino, in un’eventuale fuga impanicata, potesse slittare sulla pista e fare strike tra i pattinatori. Tuttavia, forse favorito dalla confidenza che aveva con gli animali, il bimbo seppe farsi percepire come una non-minaccia e presto sarebbe riuscito a toccare il gatto a suo piacimento.
« Che belli questi stivali!»
Commentò un’Auburn ammirata, una volta compreso che il suo compagno non avesse mire fuggiasche, potendo dedicare più attenzioni alla strega dello stile di Diagon Alley.
« Dunque, siamo tutti pronti? Andiamo a vedere un po’ questi pattini?»
Incalzò incoraggiante mentre riponeva il Filo Incantato, rivolgendo ai piccoli un sorriso che aveva qualcosa della sfida. Se la proposta non avesse incontrato resistenze, il gruppetto si sarebbe quindi recato dalla proprietaria del numero 30 per scambiare qualche Zellino con l’affitto delle apposite calzature. Una signora dall’aria educata ma furba, che scoccò un occhiolino al pupo vero e un cenno di malcelata disapprovazione ad Auburn, per il suo pupo nero. Ringraziata l’anziana strega si dovette quindi tornare alla panchina, per indossare con comodità i pattini dalle lucide lame ma anche per un ultimo preparativo.
« Monsieur Pupo, lei ha mai assistito a un purrito?»
Chiese al mini-mago, scambiando un’occhiata complice con Atlantide che gli trotterellava intorno, dopo aver sostituito un paio di mocassini scamosciati con i pattini.
« In caso contrario, le consiglio di stare attento perché ne offriremo noi ora una dimostrazione.»
Assumendo una gestualità teatrale, si alzò in piedi, scivolò dietro la grande borsa posta sulla panchina e la aprì con mosse misurate, estraendone un drappo di stoffa ben piegato.
« Innanzitutto, per la buona riuscita dell’opera è necessario un tessuto della massima qualità. Questo che abbiamo oggi proviene nientemeno che dalla boutique più rinomata della Gran Bretagna Magica, il Madama McClan’s: ne avrà certo sentito parlare. »
Mostrò quello che era un Mantello Paraurti prima prendendolo tra i polpastrelli e stendendolo delicatamente in aria, poi rigirandolo tra le mani per avvicinarlo al piccolo spettatore, che poteva così saggiarne la texture. Quasi in una sorta di danza, i movimenti delle sue mani si susseguivano fluidi e senza interruzioni, disponendo ora la stoffa sulla panchina.
« Anche la messa in posa è fondamentale: deve essere eseguita con attenzione e senza increspature. Prego, Dottore, quando vuole.»
Le ultime parole e la giravolta d’invito della mano erano dirette ad Atlantide, che chiaramente non era nuovo né alla procedura né all’industria dell’intrattenimento. Il felino guizzò con precisa eleganza su un’estremità del tessuto, che era stato ripiegato nella forma di un lungo rettangolo, per poi posizionarsi a pan bauletto in immobile attesa.
« Ecco, attenzione: la parte più delicata, ora avviene la magia »
Sollevando un indice si assicurò che gli occhi — gli stessi di sua madre, le pareva — del bambino fossero pronti a cogliere quel movimento, poi sollevò l’estremità del mantello e pian piano iniziò a farvi rotolare Atlantide, avvolgendolo nella stoffa finché tutto il rettangolo non fu terminato.
« E ci siamo. Oh, un purrito eccellente, direi. Davvero eccellente. »
Prese il rotolo tra le mani fingendolo leggero (non lo era affatto) e lo presentò come se fosse una bottiglia di vino pregiato. Il muso di Atlantide, l’unica cosa che sbucava di lui da quello che sembrava un tappeto arrotolato, pareva soddisfatto quanto quello della padrona, ma più orgoglioso e pure un po’ snob.
« Adesso anche Atlantide è perfettamente al sicuro, tanto quanto lei nel suo piumino. »
Lo informò, posando nuovamente sulla panchina il purrito, che avrebbe potuto essere esaminato da vicino e toccato. Intanto lei estrasse dalla borsa un marsupio da trasporto per bambini e lo indossò, così da poter tenere Atlantide sul suo petto mentre pattinava: qualcosa in grado di provocare un infarto alla strega del numero 30.