Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Has the Universe ever winked at you?

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 13/4/2024, 21:08
Avatar

ঌ She the Fire


Group:
Strega adulta
Posts:
4,469
Location:
Montrose
in a world of
⋅ Pure Imagination ⋅

Status:



Per quanto cercasse di variare il più possibile il contenuto delle sue giornate, evitando routine settimanali e aiutata in questo dalla natura dinamica delle sue mansioni, Auburn si sforzava al contempo di mantenere un ordine rigoroso per gli orari dei pasti e del sonno, anche quando viaggiava. Il che la portava a dedicare le ultime ore della giornata, dopo una cena leggera, ad attività in qualche modo concilianti: quella sera si era trattato dell’ennesimo approccio all’Amaldi, un libro che diversi anni prima si era fatta procurare dalla professoressa Maranta. Una di quelle letture che le davano l’impressione di stare bevendo, sebbene procedesse tra quelle pagine al ritmo più lento in assoluto tra tutti gli studi che aveva provato ad affrontare. Quei concetti così lontani da ogni aspetto della sua preparazione le erano ostici e ostili, doveva tornare sulle stesse parole più e più volte per iniziare a masticarli, capendone poco e niente, mentre ai numeri e ai simboli aveva ormai del tutto rinunciato e faceva direttamente finta di non vederli. In quella disciplina che i babbani chiamavano “fisica” venivano infatti trattati in una maniera che a lei sembrava assurda a dire poco, completamente diversa da quelle che aveva studiato per tutta la vita: li si spogliava di ogni cosa, considerandoli per il semplice valore di cifre o di sintassi, e fin qui niente di troppo incomprensibile se guardava alla sua amata contabilità. La cosa che la mandava ai matti era che non si rinunciasse, però, all’idea che anche così se ne potesse fare un linguaggio, e quindi ricerca, andando ben oltre la semplice misura: prima della moltitudine in sé dei segni cui faticava a dare un significato, era da principio impossibile per come era stata costruita la sua mente concepire quel modo di pensare. Talvolta però le pareva di risvegliarsi e doveva ricordarsi di stare leggendo un libro di fantasticherie, perché qualcosina della pretesa che fosse possibile spiegare “manualmente” le leggi dell’Universo stava filtrando anche dentro di lei. E ci vedeva qualcosa di profondamente malvagio. Tutta la sua esistenza era stata segnata dallo scontro tra i due rami della sua famiglia, che l’avrebbero voluta l’uno l’opposto dell’altra, eppure non mancavano occasioni in cui Auburn li costringeva all’accordo: ficcando il naso in quelle diavolerie babbane riusciva a farli incazzare entrambi. Per una strega del suo tipo, quel testo era paragonabile a un oggetto arcano, inzuppato di Magia Nera ignota e soprattutto indesiderabile. Ovviamente, dunque, esercitava su di lei un ascendente irresistibile, che a intervalli irregolari la portava a ritentarne l’esplorazione. Nella sua testa, formulazioni e teorie non potevano che riflettersi in quelle nozioni alchemiche già presenti, le analogie con le quali erano quanto di più vicino a un senso riuscisse a trovare in quella tentennante analisi. E proprio questa unione accresceva in lei un insito senso di colpa, un sospiro sinistro che insisteva a suggerirle che fare certe mescolanze fosse radicalmente sbagliato, mentre però altre luci si accendevano come torce su un sentiero buio via via che quel pattern prendeva forma. Non senza orrore, vedeva sfumarsi il confine tra la metafora e ciò che metafora non era, per cui non aveva neanche un nome, perché che importanza poteva avere? Streghe come lei si guardavano bene dal formulare quel concetto, una robaccia che non esiste. Come sempre baldanzosamente in bilico tra intuizione e squilibrio mentale, quando aveva chiuso il libro era rimasta diversi minuti a riflettere, spingendosi contro lo schienale della poltrona nel suo studio al numero 9. Aveva cercato senza successo di mettere in ordine quella gran varietà di pensieri, che sotto tutti quei capelli si aggrovigliavano e finivano intrappolati dalle strutture preesistenti, che li deformavano, lasciandola bloccata: dopo un po’ aveva dunque convenuto con MiniAub che fosse necessario liberarli e per questo aveva preparato una pipa ad hoc. A volte per capire qualcosa le era proprio necessario distruggere tutto ciò a cui era arrivata nei tentativi precedenti, mescolare bene le carte per ricominciare da capo. Spogliarsi del proprio corredo ideologico: né più né meno, era per questo che si drogava. La maggior parte delle volte non serviva niente di speciale, bastavan poche briciole di un fiore davvero comune e facilmente reperibile, un diciannovesimo della dose che era stata solita assumere a scopi ludici. Ed ecco che tutto assumeva una nuova prospettiva: i pensieri correvano inarrestati, parevano moltiplicarsi, e incontrandoli nelle vesti di sconosciuti poteva succedere di sentirsi piuttosto spaesati. Da qui la comune inquietudine, che in alcuni soggetti poteva degenerare e persino diventare permanente. Questi “strappi” alla regola tendevano infatti a lasciare delle cicatrici anche in chi meglio sapeva domarli, solitamente qualche tendenza alla paranoia o altre piccole disfunzioni. Ben consapevole di ciò, Auburn avrebbe sempre strenuamente scoraggiato il consumo di quel tipo di sostanze, anche se sotto la preoccupazione per la salute altrui covava un sentimento più intimo: la convinzione che la maggior parte delle persone non se le meritassero.
Per un po’ aveva girato irrequieta per casa, compiendo azioni completamente random poiché del tutto assorbita da quanto avveniva nella sua mente: aveva dato un po’ d’acqua ad alcune piante ma non aveva finito; passato almeno un quarto d’ora a disporre in modi diversi i tre oggetti sulla mensola del camino, che non la convincevano più, spostandoli a volte di pochi centimetri; ripreso tra le dita un particolare vinile, sporcandosele come quelle della strega in copertina per via della polvere degli anni in cui non era stato toccato… tutto figurativamente parlando, chiaro: Rosario Inés Consuelo Yolanda Salazar non avrebbe permesso di sostare in quell’abitazione a un solo granello che non fosse appositamente sigillato in qualche ampolla. Ma l'idea di farsi le mani nere era più concreta che mai. Da sempre aveva un rapporto di amore/odio con i libri: animale curioso, le piaceva assorbirne le informazioni ed espandere anche così la sua visione del mondo, ma spesso li aveva anche denigrati in favore dell'esperienza pratica, e soprattutto quelli che le si presentavano come "capisaldi imprescindibili" trovavano in lei diffidenza e antipatia: colpa (o merito) di quelli che li osannavano senza saper leggere, ormai sapeva bene che i libri erano come le persone. Potevano mentire, e bisognava stare attenti all'influenza che sapevano esercitare, evitando di dare loro una fiducia che fosse cieca, altrimenti ne si poteva finire ostaggi: una volta fatta entrare un'idea c'era sempre il rischio di incamminarsi su un sentiero da cui non si sarebbe più saputo tornare indietro, troppo convinti per prestare ascolto ai passanti che indicavano direzioni diverse. Ma anche con tutte le accortezze che riusciva a prendere, era sicura di saper discernere cosa valesse la pena trattenere, e soprattutto di sapersi difendere da quello che avrebbe potuto inquinarle la mente? Alla fine, cosa c'era dentro di lei che potesse guidarla se non fondamenta costruite sulle prime ideologie che aveva incontrato? Se fosse nata da un'altra parte del mondo, o semplicemente in un'altra famiglia, se avesse avuto un altro nome, probabilmente avrebbe fatto scelte diverse. Cosa le garantiva che le sue visioni fossero quelle giuste, e che non avesse ragione un libro folle dove tutto era il contrario di quanto aveva sempre pensato? Questo dilemma la disorientava molto, dandole l'impressione di stare perdendo il contatto con la realtà, e quella sera dilagò in lei la paura di stare facendo entrare proprio ciò da cui l'avevano messa in guardia i suoi nonni (anche con lei apertamente contrari a come l'avevano fatta crescere i genitori, in questa esatta previsione). Era corsa in bagno a lavarsi le mani. Così preoccupata, si era sentita particolarmente soffocare dalle mura — un sentimento frequente nonostante avesse trasformato il più possibile la sua abitazione in una casa di cristallo — e non le era bastato spalancare tutte le finestre per liberarsene. Perciò infine si era rivestita ed era uscita, sebbene fosse tardi, per approfittare del favore della notte.
Su strade silenziose e poco illuminate, ma soprattutto con le stelle sopra la testa, ritrovava la calma: era come se il fatto che fossero sempre piene di voci e di luce, di giorno, desse loro un potere d'arresto quando quel che le riempiva veniva a mancare... sollevando lo sguardo al cielo, pensò a uno specchio d'acqua, dove si può vedere chiaramente solo quando le onde si siano disperse. C'era un concetto che aveva iniziato ad angustiarla dal momento in cui l'aveva incontrato, poco dopo l'infanzia: se lo ricordava bene, era stato quando il suo maestro di pittura le aveva fatto una lezione sulla composizione, parlandole degli spazi vuoti e di come questi fossero anche più importanti di quelli pieni. Ricordava in particolare la stretta al cuore che le aveva dato quell'idea, che per la prima volta l'aveva fatta sentire tanto piccola da capire come fosse letteralmente impossibile per lei gestire l'arte. Accostare colori e forme era difficile, ma come si poteva tenere conto di qualcosa che non si vede e non si sente? Eppure era vero, era quello a governare la vita anche più di ciò che si vede e si tocca. Sembrava una cosa che "non c'è", ma in qualche modo modellava la controparte in ogni aspetto. Banalmente, si ha paura perché c'è qualcosa che non si conosce, o di qualcosa che non è ancora avvenuto, o al contrario si compiono certe azioni solo perché se ne ignorano le conseguenze: una Cacciatrice entrerebbe in campo se sapesse che in quella partita verrà colpita fatalmente da un Bolide? Ci si comporterebbe ugualmente con i propri cari se si sapesse quanto tempo gli resta? Si lavora per qualcosa che non si ha; si progetta in previsione di cosa potrebbe accadere; si ama o si odia sulla base di un patrimonio di ricordi, ovvero rappresentazioni sempre più distorte di cose che non ci sono più (a volte, che non ci sono mai state); si apprezza al massimo qualcuno o qualcosa solo se non se ne incontra una versione migliore; si colgono significati inesistenti nelle intenzioni degli interlocutori; si pensa in un certo modo perché non si è venuti a conoscenza di un'altra idea, o per dogmi tanto lontani nel tempo da esistere solo nel mito; si diventa leggenda solo quando si muore; si va avanti nel mondo a forza di piccole illusioni disseminate qua e là... si può mordere una mela con spensieratezza solo senza sapere che è avvelenata, e non sempre da una strega cattiva: magari dal fatto che è stata coltivata sulla pelle di uno schiavo, nella faccia oscura della Terra. Auburn soffriva, e soffriva nel concreto, per quello che le mancava, anche se era qualcosa che non aveva mai avuto o davvero conosciuto. E seppure percepiva che quel concetto andasse molto oltre, non riusciva a concepirlo se non come l'assenza apparente di qualcosa che, almeno a qualche livello, "ci doveva essere".
Passeggiando quieta per i vicoli di Hogsmeade, si rese conto che tutta la sua ricerca non era che una corsa contro quel tipo di vuoto: provare ad ascoltare tutte le voci, esplorare luoghi sempre nuovi, sperimentare più stati possibile... forse, inconsciamente, pensava che solo così avrebbe potuto vedere la vera se stessa, quella che sarebbe rimasta tale in tutti i diversi contesti. Auburn non era mai stata convinta dalla relatività della verità, e credeva che, anche quando le cose sembravano incoerenti e inconciliabili, fosse solo questione di trovare i tasselli mancanti di un puzzle molto complicato. Ma se già capire una singola persona, l'unica che si potesse conoscere dal di dentro, era così difficile e laborioso, come si poteva pretendere di comprendere quello che ne stava fuori? Aveva senso sperare di decifrare quel disegno? Quando si spegneva la luce e calava il silenzio, poteva avvertire una vibrazione più tenue provenire dall'Universo intorno a lei. Le bisbigliava all'orecchio di potersi fidare ciecamente, questa volta, e che bastasse credere che un senso ci fosse.
Così assorta, le gambe l'avevano portata nei pressi della Stamberga Strillante, che non visitava dalla festa di Capodanno. La mancanza di tutte quelle persone era inconfutabile, e il confronto con la musica che l'aveva riempita rendeva quel silenzio quasi assordante. Ma tra le memorie un po' annebbiate di quella serata, ricordò che era successo qualcosa, anche se non ricordava cosa, che le aveva fatto salire un gradino di quella immensa scalata. Adesso le sarebbe piaciuto fare un passo in più, così anche se era quasi mezzanotte, non si fermò a dormire. E continuando la passeggiata, tra le piante che respiravano intorno a lei trovò una rassicurazione anche nel pensiero di essere troppo minuscola per cogliere l'interezza della questione: stava racchiusa in quel "noi ce ne andiamo, ma la nostra assenza resterà per sempre".
Superato l'albero che le aveva fatto da letto qualche mese prima, un pizzico attirò la sua attenzione, portandola su una zanzara che succhiava dal dorso della sua mano.
   « Bevi sangue prezioso »
Commentò avvicinandosela al volto in modo da non disturbarla, visto che ormai il danno era fatto e sarebbe stato uno spreco non farle terminare il pasto.
   « Spero almeno che non mi ripagherai con una malattia.»
Grazie a quel minuscolo insetto, invece, si destò e pensò che forse tutti quelli erano solo vaneggi privi di significato. Si poteva in fondo vivere senza interrogarsi così tanto, e accontentarsi delle facciate: anche quelle erano bellissime.

“If the path before you is clear,
you’re probably on someone else’s...”

 
Top
0 replies since 13/4/2024, 21:08   211 views
  Share