Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Posts written by Jessica Levante

view post Posted: 31/3/2024, 19:28 BOLLETTINO - Marzo 2024 - Bollettini
Comunico di aver svolto qui l'AR per la seguente notizia:
CITAZIONE (Irvine B. Dolus @ 8/3/2024, 02:06) 
2- GOSSIP
«Non possiamo fidarci di nessuno, è la Salem del ventunesimo secolo!» Questa la prima pagina del GIOSH (Gazzettino Irriverente e Odiosamente Spiccio di Hogsmeade), giornalino ufficioso da considerarsi una succursale de Il Cavillo, i cui anonimi cronisti hanno affermato di aver visto Danny Macbeth, Ruby Dakota Delaware, Atalantino e Mica Ainsworth aggirarsi in maniera losca nei pressi della Stamberga Strillante e di averli sentiti parlare di una strana tecnologia chiamata "Intelligenza Artificiale". Si grida subito al complotto: «si sono lasciati affascinare dalle innovazioni infernali dei Babbani e ora sono pronti a sottomettere la Comunità Magica». Tra le probabili penne del GIOSH si mormora figurare quelle di Jessica Levante ed Ècate Acy, ex-giornaliste del Settimanale delle Streghe e della Gazzetta del Profeta.
[F: Il Cavillo]
[AR]
view post Posted: 31/3/2024, 19:25 Not I.A. - Ufficio Postale
L’aveva presa alla leggera quella notizia, come aveva fatto con la voce di corridoio che dopo un tempo – forse un’eternità – l’avevano resa quasi protagonista di un gossip. Non aveva trovato preoccupazione nel trovare un lato comico Jessica in quella che non era altro che una diceria, almeno su ciò che la riguardava, l’idea di lei che si prestasse a scrivere per un giornale da quattro spiccioli – dopo aver dato le dimissioni da uno dei giornali più entusiasmanti di sempre (che quella mattina avesse strappato le pagine dopo aver letto quell’intervista era un altro discorso) aveva contribuito il proprio umore ballerino a renderlo più allegro. Non si era soffermata a sprecare il proprio tempo in inutili ricerche che l’avrebbero vista con il naso puntato su uno o più libri nel tentativo di scoprire che cosa fosse l’Intelligenza Artificiale ma, impaziente come la ragazzina che sapeva essere aveva picchiettato il piede sinistro sul terreno aspettando che anche per quel sabato l’orario d’uscita finalmente fosse giunto. Era stato un sorriso ad anticipare poi le sue parole una volta aperta la porta dell’ufficio postale – nonostante sapesse che chi l’avrebbe accolta di simpatia ne suscitava ben poca – .
“Buongiorno” cordiale, forse anche troppo, ma l’aveva appreso nel tempo a mostrarsi smielosa quando qualcosa le serviva, l’avrebbe salutato senza soffermarsi troppo nell’incrociare il suo sguardo, non per paura o per desiderio di scappare quella volta, ma per vero e proprio disinteresse “Avrei bisogno di appendere questo” avrebbe continuato poi srotolando la pergamena che per il tragitto era stata trattenuta dalle sue esili dita, dopo avergli dato una rilettura veloce:
CITAZIONE
Non so che cosa sia l’Intelligenza Artificiale e non ho intenzione di fare ricerche a riguardo, non credo che questo faccia di me quindi una buona giornalista neanche per un giornale di basso livello come il GIOSH, la mia carriera giornalistica è finita parecchio tempo fa con le mie dimissioni date nei riguardi della Rivista del Settimanale delle Streghe e, al momento, non ho interesse a svolgere tale carriera per nessuna delle testate giornalistiche che chiunque legge – e se dovessi farlo ribadisco la mia volontà di propormi come cronista o articolista per giornali credibili -. In ogni caso ci tengo ad esprimere un mio pensiero da studentessa: non credo che assorbire delle usanze babbane stravolga in negativo la comunità magica ma anzi che da un certo lato porti arricchimento a tutti noi, altrimenti che senso avrebbe studiare Babbanologia ad Hogwarts?
Jessica Levante.

Che poi lei non frequentasse quasi mai quelle lezioni, visto chi era la docente non era affar comune e preferì tenerselo per lei. Avrebbe quindi – se concesso – lasciato il foglio nelle mani del Dirigente dell’ufficio postale congedandosi educatamente prima di allontanarsi.
view post Posted: 21/3/2024, 09:33 We're not looking for where we belong II - La Stamberga Strillante
Un gesto secco della mano, una stoccata dal basso verso l’alto a dita unite e con il palmo rivolto verso Desmond, fu quella l’unica risposta che Jessica si concesse di fare a Desmond; un po’ come segno di rimprovero – più a se stessa che all’alto – e un altro po’ per infastidirlo. Lo conosceva abbastanza da sapere che quel gesto, fatto principalmente con sfida, l’avrebbe adirato a tal punto di farlo borbottare ancora di più come se il Caposcuola anziché una persona fosse un calderone appoggiato sul fuoco ripieno di fagioli saltellanti (esistevano?) alla prima cottura, pronti per essere mangiati. Fu quell’associazione ridicola ma abbastanza fedele alla realtà che fece gonfiare le guance appena più rosate di Jessica e poi farla sorridere, come se fosse stata negli ultimi mesi qualcosa di quotidiano, insieme a uno sbuffo fintamente infastidito. La sentì tutta la propria pelle tendersi, tirarsi e riempire di colore la pelle candida, come se la vita ad ogni sorriso le riempisse quelle parti d’anima che le erano rimaste vuote. E poi lo ripeté nuovamente quel gesto secco, questa volta con più decisone, una sferzata decisa che questa volta aveva permesso all’aria di penetrarle dentro la manica azzurra del maglione indossato facendole rabbrividire le ossa. “Ma smettila di brontolare e chiedermi mille cose, siediti e mangia” lo riprese bonariamente seguendo con lo sguardo ogni movimento. I dettagli, soprattutto quelli facciali erano qualcosa che da sempre l’avevano attratta, amava perdere ore a studiarli a chiunque e sognare o forse tentare di indovinare che cosa stesse – fortunatamente o sfortunatamente – passando per la mente a dei perfetti sconosciuti. Sebbene non fosse quello il caso, Jessica si perse comunque in una di quelle attività silenziose da cui si era discostata ritrovandone la serietà, le aveva notate le rughe di cipiglio sulla fronte del compagno, indice di infastidimento o preoccupazione accompagnato a dal solito tono bonariamente saccente che l’aveva fatta sorridere quando aveva letto la sua risposta: ciò che si era immaginata dal suo tono di voce coincideva con la realtà. L’aveva immaginato così nel suo tono burbero, privo di delicatezza quando ne aveva letto la scrittura secca e coincisa di un accondiscimento dato per infinita pazienza e non voglia di discutere piuttosto che per par condicio come lei si era ripromessa di ripagare ogni favore che l’amico le aveva fatto anche quando lei non l’aveva meritato, ed era quello ad averla fatta sorridere oltre che la furia usata dallo Spillato per scartare e scoprire quando lei avesse – sovramodo – più del necessario acquistato per un semplice pic-nic per due persone.
“Avevo fame” sollevò entrambe le braccia, questa volta con più calma e flaccidità in segno di resa, non certa che lui tra l’azzurro limpido dei suoi occhi vi scovasse la mezza verità perché di quello si trattava, una realtà lievemente scomposta, astratta, dove la salute fisica prevaleva – almeno in parte – su quella mentale, eccezione che Jessica d’altronde non aveva mai del tutto riacquisto dopo la rottura, c’era però stata una rinascita parziale in lei, giunta quasi nella primavera che ancora nel territorio scozzese tardava ad arrivare; come una rondine il cui vero si udiva giorni prima di vederla nidificare sotto un pergolato o un tetto d’Italia o meglio d’Irlanda, dove le acque inquiete sbattevano con violenza contro le rocce. Ma non gli aveva lasciato spazio, o modo, di fare dei suoi occhi un punto d’indago, non se davanti aveva un giornalista pronto a trascrivere nel blocco dei propri segreti le menzogne che l’aiutavano ad andare avanti. “Infomma – veloce e con la bocca piena di un rustico agguantato alla velocità della luce, senza nemmeno che Jessica ne studiasse o scoprisse il sapore gustandoselo tra le labbra rosse e carnose, scattò in quello che poteva definirsi un attacco o un rifugio, domandare per non ricevere domande – che ti succede?” la intensificò l’aria preoccupata, perché per quanto quella fosse una scappatoia dai suoi problemi aveva notato anche quelli di lui e di certo non voleva restare in silenzio, non dopo averlo visto così tante volte (o forse udito) uscire dalla sala Comune con rabbia o forse disperazione.
view post Posted: 20/3/2024, 12:49 Una poltrona per due - High Street
Lo trattenne il respiro, ne sentì il dolore irradiarsi sotto le costole dove i polmoni sembravano esploderle mentre lo sguardo appannato osservava il drago posto sulla cima del Carillon diventare sfumato. Si perse per qualche attimo nei dettagli che i propri occhi percepivano – ormai – frastagliati, non netti, non lineari scorgendone in quel frangente ancora più la similitudine con sé. E poi espirò quando le parole della Serpeverde le risuonarono come musica e solo in quel momento, quando l’aria riprese a circolare nel proprio corpo in maniera quasi normale capì il senso delle parole che qualcun altro le aveva detto e non poté evitare di ragionarci sopra. L’aveva vissuto come un passato che influiva costantemente con il presente, il terribile errore di seguire il battito del proprio cuore, quando in realtà chi aveva subito il torto l’aveva già perdonata, ma si era sentita carnefice oltre che vile e poco indicata ad un’amicizia protratta nel tempo eppure, se solo si fosse voltata se ne sarebbe accorta che la severità con cui Jessica continuava a giudicarsi e incolparsi fosse solo nella propria testa. Eppure si lasciò andare, ancora una volta, in uno di quei respiri presi a metà profondi abbastanza da fare credere che stesse bene, ma superficiali e interrotti da una crisi di pianto che chi la conosceva abbastanza sapeva che presto sarebbe subentrata. Fu in quel secondo, quando le rimbombò nella testa la richiesta di parlare che Levante prese un altro di quei respiri agonizzanti e forzati, carichi di dolore che la costrinsero a serrare ancora – per quanto possibile – la presa sul regalo, per non farlo cadere dalle proprie ginocchia, per aggrapparsi a qualcosa che non fosse una persona o per non cedere alla tentazione di crollare, ancora. “L’ho lasciato io – lo ammise in un soffio doloroso, lasciando che il proprio sguardo oscillasse altrove, guardare Lara e ammettere che fosse lei stata a porre fine alla storia dopo ciò che aveva distrutto era al momento fuori questione – quando mi ha detto che qualcuno l’aveva baciato, mi sono sentita tradita e arrabbiata. Me ne sono andata per quello, l’ho lasciato perché lui non l’ha respinta, perché io non ero un sufficiente motivo per negare un bacio a qualcun’altra quando stava con me.” Voltò la testa trovando solo in quel frangente il coraggio di incastrare lo sguardo nel suo, non sapeva se in quegli occhi verdi ci avrebbe trovato comprensione, compassione o una parvenza di gioia dettata da un sentimento di vendetta covato nel tempo, ma qualsiasi cosa Jessica ci avrebbe letto l’avrebbe accettato e assorbito con cautela per poi trasformarlo in un sentimento quasi nuovo. Ci voleva coraggio per quello, il ricostruire qualcosa da zero o dal tutto, come loro e, sebbene a Jessica mancasse la componente fondamentale aveva deciso, nonostante le lacrime, di provarci e condividere fino alle viscere qualcosa che ad alta voce per intero non aveva mai rivelato a nessuno, come l’essere la principale causa della propria rovina.
“Non sapevo si trattasse di Morgana, l’ho scoperto dopo, al campo e l’ho visto subito come si guardavano – non l’aveva dimenticato il desidero negli occhi del Bertrand, la sensazione che l’oceano dove per anni lei aveva nuotato contro corrente la spingesse verso il fondo sabbioso facendola sprofondare, senza dare il tempo di provare ad arrivare a riva – e poi sono andata a casa sua, lo stesso, nonostante avessi già capito che per me non ci fosse più spazio. E gli ho mentito dicendo che l’avevo cercato in Jared ma non era vero, non è vero.” L’aveva lasciato da parte il dettaglio del sesso prediligendo osservare ancora l’amica cercando di trasmettere, senza parole, ma solo attraverso lo sguardo, la consapevolezza che tra lei e Chèveret ci fosse qualcosa “Non c’è niente tra di noi, se non una profonda amicizia nata dal nulla” lo ammise tranquilla, perché lo sapeva che il pensiero che l’aveva sfiorata era restato qualcosa che non avrebbe avuto mai un inizio, ma ci tenne a precisarlo per non ferire ulteriormente Lara, per non darle anche solo l’idea che una cosa del genere tra loro potesse ripetersi e che l’intuito della Serpeverde riuscisse in qualche modo a collegarne i fili, tra le parole che ad Halloween Jared le aveva detto quando il bicchiere di succo le era stato messo tra le mani tremanti. “Non pensavo di vederlo insieme anche ad Halloween, non credevo che lui scegliesse ancora lei” questa volta spostò ancora lo sguardo fissandosi su altro, lontano da lì dove delle promesse – che al tempo credeva sincere – erano state trascritte dopo importanti parole mormorate contro il suo orecchio.
“Se guardo te vedo un futuro”
La scosse immediatamente la testa impedendo a quel rimasuglio di bugia di scavarle il cuore, ma non l’aveva fatto del tutto perché la frase si era fermata a metà tra il nodo delle menzogne e quello degli errori commessi da Jessica. “Non gli ho mai dato piena fiducia, forse gli ho impedito di vivere e quello che per me è un tradimento per lui è stata solo una richiesta di libertà, ha sempre cercato di proteggermi da qualcosa e io non gliel’ho permesso ostinandomi a scavargli dentro. Forse la mia scelta, quella di andarmene e ritornargli le chiavi di una casa che non è mai stata anche mia è stata la scelta più giusta da fare”. Lo collegò dopo, quando senza porsi il problema nel stringere, per farsi forza, la mano di Lara il pensiero di essere l’unica per qualcuno fosse un’utopia irrealizzabile, l’aveva capito quando andandosene da quella casa lui, incapace di lottare per lei, l’aveva lasciata andare e l’aveva constatato dopo quando quella sera posandosi sulla sua schiena tra l’odore di alcol aveva risentito il rimbombo del suo cuore destinato a qualcun’altra e a poco erano servite le parole scambiate sulle pergamene dove lui negava l’amore che lei aveva scorto, perché niente l’avrebbe distratta o detratta dall’idea di essere stata ingannata e poi gettata. “Mi sento come un oggetto usato finché qualcosa di migliore non mi ha sostituito” un’ammissione ancora più dolorosa, pari alla presa di coscienza che coincideva con il pensiero che fin dalla nascita aveva sempre avuto. Lei era sostituibile, una ragazza facile da dimenticare e per quanto – soprattutto in quel momento – cercasse di odiarlo lo sentiva ogni tentativo di quel sentimento allontanarsi e dissolversi da lei, , perché lo sapeva che in fondo lui, a modo suo, l’aveva davvero amata.

Edited by Jessica Levante - 29/3/2024, 10:11
view post Posted: 9/3/2024, 11:01 Inverno dei fiori - Scribbulus
“Jey – le bastò sollevare lo sguardo per sorridere, ancora prima che esso si incastrasse negli occhi chiari di lui, l’aveva stupita, o forse sorpresa, trovarlo dietro il bancone pronto a servirla e richiamare l’attenzione di lei, in un modo tutto loro – non sapevo lavorassi qui, altrimenti sarei venuta ad importunarti molto prima”. Replicò regalandogli o donandogli, forse un sorriso alla pari di quello con cui lui l’aveva accolta, sentendo la propria pelle, appena posta sopra gli zigomi, tirare e bruciare probabilmente a causa della luminosità che la bottega aveva assorbito alla luce esterna. Non lo aveva notato il sole quando aveva percorso distrattamente le vie di Diagon Alley, assorta nei propri disordini mentali che avevano preso ordine solamente una volta aperta la porta di Scribbulus, cosa che era successa appena le iridi chiare si erano posate sul catalogo e le labbra avevano pronunciato senza ripensamenti le cose che l’avrebbero aiutata a dedicarsi del tempo. Non l’aveva messo in conto il saldo, i soldi spesi e la possibilità di vincere, come non aveva messo in conto che chi aveva davanti, l’avrebbe istigata a dargli con bonarietà un piccolo colpo sul gomito. “E stai composto” lo istigò Jessica, trattenendo una risata, mentre gli occhi distoglievano lo sguardo dal tabellone e le mani si univano per raccogliere e stappare la boccetta di inchiostro al profumo di petricore lasciando che l’odore di pioggia ne invadesse le narici. “È buono” ammise richiudendo e il tappo e appoggiandolo sul bancone, ignorando quel battito in più che al centro del petto le era scattato quando, dopo un ulteriore movimento la pedina, disciolta dai lacci scarlatti era atterrata su una casella vincente. “Hai buon gusto e sono particolarmente felice, quindi prendo l’inchiostro che racchiude il tuo odore preferito – non l’avrebbe ammesso ad alta voce che, indipendentemente dal risultato del lancio dei dadi quello se lo sarebbe portato comunque nel dormitorio e che l’avrebbe appoggiato accanto alla loro foto, lì in quel punto di una stanza asettica dove il proprio volto riprendeva colore – e avrei bisogno anche di un’Agenda Ispiratrice” picchiettò sul dorso del catalogo dopo averlo nuovamente e brevemente consultato. “Direi che dopo tutto quello che ti ho fatto guadagnare oggi, un po’ di tempo insieme a te me lo merito no?” inspirò lasciando che l’ironia del momento facesse capire ad entrambi la necessità di passare del tempo insieme, visto le cose che lì non avrebbero potuto dirsi.
view post Posted: 8/3/2024, 11:29 07/03/2024 - XXII Lezione di Volo - Campo di Quidditch
Le era costato fatica recuperare dal nascondiglio segreto, non poi così tanto celato a lei del resto, la Comet che un tempo l’aveva accompagnata e sorretta fedelmente durante gli allenamenti di Quidditch, d’altronde la difficoltà maggiore Jessica l’aveva avuto nel guardare quel baule di ricordi chiuso e non aprirlo o farsi prendere dalla rabbia e buttarlo direttamente fuori dalla finestra ancora chiusa del proprio dormitorio. Era stato quello, il sentimento predominante che l’aveva guidata fin lì e farla sentire in dovere di presenziare ad una lezione che in parte le ristabiliva la tranquillità anche se non per merito del professore. Il volo, per quanto tormentato dalla paura di precipitare nel vuoto risvegliava quella parte di lei che credeva essere assopita, rendendola ancora libera. Non ci aveva pensato quindi, quando scoperto il misfatto di qualcuno – che fortunatamente (o sfortunatamente) non aveva idea di chi fosse – a rendersi utile in qualche modo, che poi il suo contributo fosse premiato o meno con dei punti a poco le importava.
Senza guardare o salutare nessuno quindi avrebbe appoggiato sul terreno fangoso, reso scivoloso dalla pioggia (la neve le mancava da morire) la propria scopa, dopo un respiro profondo e una concentrazione che avrebbe inizialmente faticato a trovare, avrebbe esteso il braccio sinistro volgendo il palmo aperto verso la scopa per richiamarla a sé. Avrebbe divaricato appena le gambe creandosi un punto d’appoggio più alto nel farlo, rievocando quindi alla propria memoria la sensazione che pensava aver dimenticato, ma che avrebbe trovato lì sotto cumoli metaforici di polvere costituita da ricordi. L’avrebbe richiamata a sé con un deciso ma flebile “Su” la scopa richiudendo le dita attorno al manico appena la consistenza dura e levigata si sarebbe appoggiata al palmo, scavalcandola con la gamba sinistra e sollevandosi sulle punte dei piedi per darsi lo slancio e sollevarsi in volo: l’avrebbe sentito nella bocca dello stomaco e su ogni vertebra il brivido intenso della libertà, quella apparente, che le sarebbe uscita sotto forma di intenso luccichio negli occhi azzurri. L’avrebbe sorvolato con smania e voglia di rimettersi in gioco l’ovale direzionando la propria corsa verso gli spalti, dove avrebbero dovuto essere state disperse le Pluffe, e con lo stesso fuoco proiettato lì si sarebbe abbassata di quota per perlustrarne ogni spazio: avrebbe guardato i gradoni con attenzione, perlustrato ogni spazio di quel luogo e solo quando qualcosa di scarlatto e dalla forma rotonda avrebbe attirato la propria attenzione avrebbe staccato dal manico la mancina per incastrare le dita nelle scanalature perfette intagliate nel cuoio. Portandosi poi la Pluffa contro il busto l’avrebbe adagiata nel sacco indicato dal docente.
view post Posted: 6/3/2024, 13:29 Landfall - Abitazioni
L’aveva smesso di sentire, il dolore, aveva deciso di ignorarlo finché non sparisse e – doveva ammetterlo – la risposta affermativa di Sugar in quel momento l’aveva aiutata a non pensarci. Pattinare in compagnia, e Jessica l’aveva capito subito senza il bisogno di osservare con attenzione – cosa di cui non si era privata – la bravura della donna che aveva davanti, l’aiutava a mettere un freno ai pensieri. Non l’aveva dunque percepito come una lacerazione quel brivido che le aveva percorso la schiena quando la Mandylion aveva riportato – inconsapevolmente – la mente della Corvonero a quello che era successo l’unica volta in cui il pattinaggio era stato concesso ad Hogwarts, piuttosto si era lasciata coinvolgere e stravolgere dall’idea di colli spezzati. Ed eccola lì la risata acidula che le era scivolata dalle labbra, quasi come una carezza le aveva imposto di piegarsi leggermente in avanti e mantenersi lo stomaco con una mano. “Decisamente l’infermiera della scuola avrebbe parecchio da fare”. Non era difficile d’altronde immaginare qualcuno, esibirsi per dimostrarsi migliore di quanto in realtà fosse, ruzzolare nel ghiaccio e rompersi qualsiasi parte del corpo. Poi l’aveva lasciato scorrere lo sguardo sulla figura – ancora – sconosciuta dell’ex Direttrice dell’ufficio controllo scope, esibirsi in una piroetta che Jessica, a propria volta, replicò prima di prendere insieme a lei una direzione di pattinata opposta a quella che le avrebbe portate ad inizio pista, soffermandosi solo un istante per metabolizzare quella domanda.
“Sono state… rigeneranti – lo ammise sollevando la punta del pattino sinistro per interrompere la propria avanzata e osservare la reazione di Sugar, lo sapeva quanto quella non risposta potesse essere un punto di partenza per una conversazione, d’altronde aprirsi con una sconosciuta per Jessica risultava sempre più facile. Non aveva paura di essere giudicata come persona timida o priva di stimoli, poiché confidava nella maturità che l’età adulta portava – trascorrere le vacanze a casa mia, con i miei genitori mi è servito a staccare la spina dalle sofferenze che forse provo senza alcun motivo – lo ammise sentendosi quasi più leggera, omettendo il fatto che a quella conclusione ci era arrivata da sola, chiusa in una camera che portava solo il suo profumo, coccolata da urla e rumori di bottiglie rotte, così vicino alle sue orecchie da sembrare sue – ho capito che posso farcela anche da sola”. Inspirò concedendosi un sorriso grato di cui ne avrebbe cercato il riflesso nello specchiarsi attraverso gli occhi chiari di chi aveva davanti. Quella volta non l’avrebbe ingorato il brivido meno inteso che le partì dallo stomaco mentre la testa indicava la piccola salita proiettata davanti a loro, certa che la bravura di entrambe non avrebbe permesso a quella pendenza che costeggiava il giro della casa di ostacolarle. “Ho inoltre capito chi davvero vuole starmi vicino e aiutarmi nei momenti no, e devo ammetterlo che non sono pochi – si fermò solo un attimo per riprendere fiato, la fatica di aprirsi d’altronde glielo toglieva con grande facilità, ma si era focalizzata con forza mentale a quei regali che le avevano strappato un sorriso e curato (almeno in parte) un cuore che credeva non avrebbe più battuto con la forza che percepiva in quel momento – con e senza regali”. Sorrise portando entrambe le braccia ai propri fianchi e piegando leggermente il busto in avanti lasciando che la propria testa ondeggiasse e le campanelle degli orecchini ne scandissero con un suono dolce la delicatezza dei propri movimenti. “Ho ricevuto tre regali, tutti importanti perché hanno un significato enorme, sa non sono legata alle cose materiali ma se c’è un significato profondo dietro a qualcosa, che siano degli accessori, una fotografia o un carillon con un drago, per me diventano gli oggetti più importanti della mia vita” ammise con sincerità prima di fermarsi ed inspirare. L’aveva ammesso davanti ad una sconosciuta che cosa per lei era fondamentale, ma non l’aveva detto con quanta difficoltà le aveva strappate quelle promesse lasciando che la neve le ricoprisse per dare un taglio al proprio passato. “E lei invece? Le ha passate bene queste vacanze?”.
view post Posted: 6/3/2024, 08:35 Inverno dei fiori - Scribbulus
Jessica ne fu colpita, quel sabato mattina, come se si trattasse di una rara malattia ancora non scoperta: lo shopping propedeutico e terapeutico, la spesa dei galeoni di cui non teneva mai conto rischiando, come accadeva da tutta la sua vita, di esaurirli ancora prima che la sua insana mente ne fosse guarita. Non era stato diverso quel giorno, quando l’aveva spinta con gioia la porta dell’ingresso di una delle botteghe che da un po’ aveva imparato ad apprezzare – forse a causa (o meglio merito) della battaglia d’inchiostri. Aveva respirato a piene narici l’odore di pergamene intose e inchiostri che sembravano comunicare ad ogni cellula del proprio corpo l’attesa di essere acquistati ancora prima di avvicinarsi al bancone. “Buongiorno” lo sguardo sempre rivolto verso il basso – come se volesse fuggire da qualcosa – le impedì di vedere chi vi fosse sul retro del legno, dalla parte opposta alla sua, ma la coda di cavallo alta che non nascondeva più niente del proprio viso avrebbe lasciato spazio al commerciante di vederne i tratti rilassati che si sarebbero stretti a causa della concentrazione solo quando il listino le sarebbe stato porto. L’avrebbe fatto indugiare lì lo sguardo, come se volesse dare l’impressione di non sapere cosa comprare, quando in realtà la mente chiara e determinata – chissà perché quella mattina s’era svegliata così – l’aveva già deciso ancora prima di infilarsi dalla testa l’abito color pastello indossato quel giorno. Come se la primavera l’avesse colpita in anticipo. “Un inchiostro floreale al mughetto, due fruttati: uno alla ciliegia e uno alla mela verde, due golosi: cannella e cioccolato e tre odorosi: erba tagliata, talco e…” solo allora l’avrebbe sollevato lo sguardo verso chi l’avrebbe servita, bisognosa di un consiglio o uno stop, qualcuno che ne accentuasse la follia o la fermasse. “Non lo so, forse basta così”.
view post Posted: 5/3/2024, 17:35 We're not looking for where we belong II - La Stamberga Strillante
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Chiudersi alle spalle la porta di una locanda dove un tempo il proprio cuore aveva battuto più forte di qualsiasi suono mai udito prima di allora non era mai stato facile come allora, nonostante l’ingombro degli acquisti che gravavano sulle braccia esili di Jessica. L’aveva preso come una rinascita, una nuova boccata d’aria insolita, l’unico raggio di sole che l’aveva costretta a stringere le palpebre e l’aveva sollevato appena il viso verso il nuovo cielo che le si era aperto davanti inspirando con il naso l’aria fresca di fine febbraio. Concentrata a non fare cadere niente e distratta dal lieve tintinnio delle bottiglie che aveva fatto ondeggiare nel sacchetto sinistro mantenuto dalla mancina non si era accorta della neve che l’aveva accompagnata, passo dopo passo – come se si trattasse di una guida – fino alla Stamberga, dove l’appuntamento che aveva fissato le aveva soffiato per un attimo sul lato del collo più esposto e proteso. Ritardo, l’aveva presa come una costante quella caratteristica unica (forse non poi così tanto) che da sempre l’aveva contraddistinta e, vedendolo da qualche parte lontano da quella che era la radura dei suoi sbagli più infimi l’avrebbe raggiunto dipingendosi in volto la solita espressione smarrita e incredula di chi, in diciassette anni di vita, ancora non aveva imparato a gestire con parsimonia il lento scorrere cronologico del tempo. L’aveva ammesso in poche righe in conto quanto trascorrere del tempo con qualcuno, anche per un rimprovero, le mancasse, ciò che non aveva detto era stato il mancato umorismo del Caposcuola che nei giorni precedenti a quella missiva si era accorta scendere sempre di più. Non che Desmond fosse il maestro dell’ilarità ma dopo l’ultima serata passata a chiacchierare e asciugare le lacrime – le ultime che le avevano rigato le guance rosse (ora a causa del freddo) che le erano ricadute per commozione – ne aveva percepito il cambio d’umore. E aveva lasciato a lui il tempo di gestire le proprie cose per poi cedere e ammettere che quelle serate leggere erano mancate anche a lei, l’aveva fatto quando la propria mente non era più ceduta e la compagnia di qualcuno era diventata una necessità e non un bisogno per sostituire qualcuno che non c’era più.
Quindi avrebbe sospirato avvicinandosi a lui e lasciandosi cadere in maniera dolce su un masso che avrebbe funzionato da sedia per quella domenica alternativa condivisa tra un rimprovero – per qualsiasi cosa a cui Jessica si era sottratta – ed una risata che ne avrebbe ristabilito il buon umore. “Lo so, è tardi” gli avrebbe fatto il verso modificando i lineamenti della propria faccia affinché assumessero il senso di una smorfia, una presa in giro amichevole “Ma i capelli non volevano collaborare e poi non posso usare la materializzazione e queste cose sono pesanti – azzardò come scusa appoggiando i sacchetti a terra lasciando che fosse Tabaray a tirarne fuori il contenuto, tra bottiglie dolci e salatini lei poteva dire di avere già metà dello stomaco pieno, nonostante ancora non avesse mangiato niente – e io sono una sola” sbuffò fuori come se fosse un'accusa, quando solo era una presa di coscienza.
view post Posted: 5/3/2024, 17:12 We're not looking for where we belong I - I Tre Manici di Scopa
Assorta in pensieri – che presto si sarebbero tramutati in incubi – rimase perplessa per un attimo davanti al Cameriere, le ciglia folte che ondeggiarono scontrandosi con quelle inferiori e meno lunghe delle palpebre sottostanti però la riportarono immediatamente in quella che era la realtà, cancellando immediatamente i ricordi di un passato che non le era mai appartenuto. Libera, si sentì così per un istante mentre i passi accompagnati con dal eco di chi l’aveva distolta, da quello che poteva diventare la propria distruzione, da pensieri assurdi e invaghiti di una persona che non esisteva più. L’aveva lasciato andare tempo indietro senza rendersene conto il senso di colpa che le stringeva lo stomaco e, solo una volta raggiunto il bancone aveva sorriso di nuovo e questa volta più sinceramente. “Jessica” l’aveva pronunciato come se fosse un segreto il suo nome, un mormorio che di poco oltrepassava il chiacchiericcio della clientela – non l’aveva guardata – ma si era fissata in occhi sconosciuti di un ragazzo che non ricordava mai di aver visto, forse – e non permise al dolore di invaderle le iridi occupate a leggere il menù che con assoluta professionalità le era stato affiancato – non voleva ricordare di averlo intravisto lì, oltre che a qualche lezione dove la propria partecipazione era stata totalmente superflua. “Dunque – senza sollevare lo sguardo, ancora intenta nello scegliere con accurata premura gli ingredienti che avrebbe consumato insieme a una delle persone che nel proprio animo si era ricavato un ritaglio, nonostante i problemi di trascorsi incerti, lasciò l’indice sottile e candito scivolare ancora tra le pieghe messe in risalto di una scrittura elegante – una bottiglia di Radigorda e una di Infuso alle ciliegie” lo amava il sapore dolce, di un frutto che le ricordava l’estate e qualcosa di diverso, d’altronde era quello l’unico frutto che nasceva in coppia. “E poi – voltando elegantemente la pagina e scivolando con lo sguardo sul menù del cibo ne valutò ogni singola voce – due SniffToast, due Polentine, due Crepes Ripiene una con formaggio e una con salmone e due dolci e vada per le Tartine assortite e un paio di Rustici Ripieni”.
Solo quando lo scatto del menù chiuso l’avrebbe scossa avrebbe sollevato lo sguardo al Cameriere sorridendogli appena in attesa che tutto fosse pronto e che le comunicasse il conto da pagare, era stata dura convincere lui a non accompagnarla ma l’aveva fatto per una questione d’orgoglio.
view post Posted: 28/2/2024, 10:38 We're not looking for where we belong I - I Tre Manici di Scopa
Una maglia di un blu intenso – come i suoi occhi non erano mai stati a collo alto, un paio di jeans grigi e delle semplici scarpe da ginnastica componevano l’outift di quella domenica per Jessica. Li aveva scelti con facilità i vestiti da indossare a farle perdere tempo poi era stata l’acconciatura, cocciuta e testarda come lui aveva precisato nell’ultima risposta che si erano scambiati, la rossa si era imputata nel dover imparare quel giorno stesso a farsi una treccia. Opzione e acconciatura a cui aveva rinunciato qualche tentativo – e parecchi minuti dopo – trascorso ad annodarsi i ricci e sonori sbuffi, optando per qualcosa di più iconico e infantile: li aveva divisi in due perfette metà i capelli rosso fuoco, rigirandoli in due piccoli chignon fissati al centro della testa e fermati da due bastoncini di legno per parte e poi aveva riso osservandosi allo specchio, notando come il rimando del proprio riflesso le avesse restituito in parte qualcosa di erroneamente dato perso, che invece era solo rimasto nascosto per troppo tempo. E la prese con leggerezza e spensieratezza, il proprio vagare tra le vie di Hogsmeade – in assoluto e perfetto ritardo, come da accordi con sé – nelle strade composte da ciottolato ancora marginalmente coperto da neve soffice che presto, sciogliendosi avrebbe rivelato i margini delle aiuole ancora spoglie. Non c’era stato niente che le aveva rovinato quel giorno, neanche l’apertura della porta di una locanda il cui ricordo (se risvegliato) avrebbe potuto farle male, perché l’idea di aver ritrovato qualcuno con cui condividere qualcosa che non andasse oltre al muro intorno al proprio cuore la rendeva abbastanza sorridente da non fissare il proprio sguardo sulle scale, che sapeva portavano al piano superiore del locale, dove un tempo lei aveva dato qualcosa di unico. L’aveva evitato di fissarlo quel corridoio sopra la propria testa, spostandosi nella direzione opposta rispetto ad esso e avrebbe direzionato il proprio sguardo verso chi l’avrebbe servita. Le unghie avrebbero picchiettato dolcemente sul legno mentre la mente irrequieta avrebbe trovato sollievo solo quando il menù le sarebbe stato allungato. “Buongiorno – lo sussurrò con il solito tono di voce gracile, diverso da quell’urlo che le era uscito quasi un anno prima – quando era ancora diversadovrei prendere qualcosa da mangiare e consumare altrove” d'altronde mentre una scusa dietro l'altra si susseguiva nella mente di Jessica, quella di aver deciso con estrema cura le prelibatezze per quella mattinata poteva essere un buon incentivo al perdono.

Edited by Jessica Levante - 28/2/2024, 13:16
view post Posted: 25/2/2024, 16:54 Golden - High Street
Le tenne spalancate le palpebre, direzionando l’azzurro dei suoi occhi oltre le nuvole e le sembrò di vederla, la forma di una tramutarsi nel treno che la paura le aveva fatto perdere, lo vide lì incastrato tra le escrescenze dense che ne appannavano il cielo il terrore che le aveva premuto il tempo spingendole all’interno il cuore. E poi come uno sbuffo sentì il viso solleticare, come se lì, l’unico raggio di sole avesse avuto la decenza – o la scelta – di illuminarli ancora. Lo sentì ancora quel bruciore, i lembi del suo cuore cedere e le cuciture strapparsi quando, ancora con gli occhi rivolti verso l’alto si sentì un trappola, una ragnatela tessuta e costruita solo da lei quella che non le avrebbe dato mai una vera possibilità di vita, non finché l’ultima speranza veniva davvero rivolta a chi aveva – e purtroppo – avrebbe sempre e solo amato. Ma non ci pensò più, non dopo essersi data la prova, più che aver dato ad altri la dimostranza, di riuscire anche se a fatica a sorridere da sola. Nonostante i treni persi e le fermate saltate, nonostante la paura di perdere quelli che erano diventati punti fermi della sua vita: e fu proprio lì che lo incastrò il pensiero, il pezzo d’anima che Jared si era ritagliato e preso e nella facilità con cui lei aveva concesso di prendersi. Non la pensò più alla voglia di viversi una storia con lui, comunque essa fosse andata, ma in quel momento sentì il bisogno di stringergli la mano e lo fece con spontaneità incastrando le dita nelle sue. Lo fece con leggerezza e per la prima volta – senza intenzione – di rischiare, l’avevano deciso entrambi alla fine che loro avrebbero tratto di più da un rapporto così che da un etichetta che imponeva loro di essere qualcosa che mai sarebbero stati. “Non hai bisogno della mia benedizione Jared – sorrise restando distesa, non era quello il compito di Jessica, l’avrebbe sostenuto capito compreso, ne avrebbe curato le ferite se vi fossero state o sopportato gli scleri del momento, le crisi esistenziale che lo avvolgevano quando qualcuno l’avrebbe messo alle strette. Perché lo aveva capito quanto le pressioni lo destabilizzassero e un po’ vi si era riconosciuta in quello sguardo acquamarina terrorizzato e spaesato – ma ti sostengo”. Non le voleva più fare le promesse, ma se ne rese conto che quella lo era quando il respiro spezzato e intenso le aveva lasciato le labbra sentendolo ancora più vicino al suo essere.
E quindi l’aveva sancita così quella promessa tra loro, come se dovesse portarli chissà dove in un futuro parallelo dove le loro strade prima o poi si sarebbero sempre e in qualche modo incrociate. Non se lo lasciò però lo spazio di immaginare, consapevole che la proiezione della propria mente talvolta la portava troppo lontano, forse su una stella – o sulla Luna dove da sempre desiderava danzare – e che lui lì non l’avrebbe raggiunta. Però si lasciò avvolgere dal calore aromatizzato al sapore della neve, come se l’avesse spinta davvero in fondo alla gola anziché solo immaginarlo, del rapporto creato con difficoltà constatandone quanto alla fine anche lui avesse contribuito alla sua crescita. Jared l’aveva cullata – magari non intenzionalmente – e sicuramente non nel modo tradizionale ma l’aveva aiutata a diventare una parte di ciò che in quel momento stava diventando. “Fa meno paura adesso, il dolore” lo ammise rimanendo con il mento sollevato e con la mano stretta nella sua. Sincera l’aveva ammesso che alla fine la condivisione l’aveva sollevata.
view post Posted: 24/2/2024, 22:30 Interlude - Ufficio del Custode
Lo guardò ancora in silenzio, un attimo di serietà prima di scoppiare a ridere, una risata poco divertita quanto più infastidita, anche la sola idea – perché se aveva avuto la necessità di dirglielo in fondo lo aveva pensato – di credere che lei si fosse piegata nel fare da tramite a due persone che non aveva mai sostenuto come coppia, e non per invidia ma perché aveva sempre reputato che Nives meritasse di meglio, la fece prima rabbrividire e poi scattare in piedi. Furiosa, l’aveva risentita crescere la rabbia quando la consapevolezza sulla considerazione mostrata da Tom le era arrivata limpida al cervello e poi era scoppiata a ridere senza contegno. Le aveva lasciate perdere tutte le spiegazioni superflue, il mettere – senza alcun motivo in mezzo – il carattere di una persona. L’aveva sempre compreso, nonostante le interazioni frivole, avute con Tom che il suo pensiero portava a qualcosa di unidirezionale: o si era come lui o si era diversi e strani; forse – e se non fosse stata così propensa alla comprensione – glielo avrebbe suggerito al Custode di redarre un libro sulla normalità e di guadagnarci sopra finché qualcuno con uno schiaffo (sonoro come avrebbe voluto stamparglielo sul volto lei) non gli avrebbe fatto comprendere quanto la vita non si dividesse in gente così e gente non così. Le sfumature di ogni cosa, d’altronde, le aveva sempre viste lei e ne aveva apprezzato le colorazioni come se si trattassero di cose stupende mai viste prima; se lo chiese però risentendo il rintocco della campana che avvicinava l’ora della cena a quella della propria libertà se il diventare adulti portava a sé una visione così cinica di tutto e, se quella poteva sembrare la realtà Jessica l’avrebbe evitata fino alla fine.
“Non l’ho pensato, che tu fossi così stupido da credere che potessi chiedermi una cosa del genere – spiegare il motivo di quell’ira risultava nella propria mente qualcosa di estremamente razionale, e lo fece con tono calmo e pacato come se la cosa d’essere usata non la sfiorasse neanche per sbaglio. Era la sua mareggiata quella, la calma placida che si covava sotto la scogliera d’Irlanda e lui non si sarebbe dovuto affacciare – se l’avessi anche solo pensato non mi sarei presentata qui.” Lo ammise con uno sbuffo, non frustrato, non doloroso ma consapevole che dietro a “qualunque sia il motivo non è quello” si nascondeva la realtà di un “il motivo è quello, solo che ti credo scema” e poi aveva lasciato l’odio che si scontrasse con lui per un istante, appena la rossa raggiunse la porta, non per scappare ma per non incorrere a sottrazioni di punti per una persona così infima. Lo guardò abbassando la maniglia e rivolgendogli un sorriso, spento, deluso e alquanto rabbioso. “La prossima volta che cerchi compagnia diversa ricordati che la sopportazione di entrambi non dura che qualche minuto” e la aprì la porta, chiudendosela successivamente alle spalle. Non era un addio quello, non era neanche mai stata una possibilità
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view post Posted: 24/2/2024, 20:29 Interlude - Ufficio del Custode
«Ed è per questo che se vuoi scappare, io non ti fermerò»
Lo sollevò lentamente il viso, l’espressione seria la sentì diventare quasi furiosa, l’azzardo che lui aveva osato nel proferire quella frase come se avesse avuto il diritto di conoscerla. Le sentiva vive negli occhi, le fiamme di una rabbia che non si era mai sfogata ma Jessica l’aveva capito a che cosa era dovuto quel calore interno che le aveva stretto in una morsa lo stomaco: la verità in quelle parole. L’aveva sempre preso come coraggio il suo saper – a tratti – lasciare andare invece solo in quel momento lo vide come una condensa di codardia depositata sul fondo della tazza e, ancora una volta in preda al panico aveva sentito il proprio respiro spezzarsi e annaspare. Ma non lo distolse da lui, neanche quando si accorse del suo modo assorto di formulare un pensiero, le palpebre serrate di Tom non le diedero alcun tipo di risposta, non di quella comprensibile almeno, non facile da comprendere per una studentessa diciassettenne che ancora non aveva compreso – o compianto a sufficienza – il vero posto del mondo: il proprio. Lo sentì comunque il concetto arrivarle in un punto impreciso e altro della propria mente; superficiale come fosse normale recepirle alla propria età e non se la sentì di parlare o spiegare che cosa fosse avvenuto in lei per la sola paura che Hamilton, una volta riaperti gli occhi, ne avesse potuto intravedere la crepa e infilarsi dove lei non gli avrebbe permesso. Tuttavia, nonostante le parole ancora fossero assenti credeva che il rumore pesante del proprio respiro ne confermasse l’intenzione di restare – non tanto per timore di passare (ancora) per la codarda di turno – ma per paura che in qualche modo infrangesse la promessa di non fermarla, perché se lo avesse fatto lei non avrebbe saputo come reagire. Eppure l’aveva fatto, scegliere di restare, e l’aveva regolato con immensa concentrazione il sollevarsi del suo petto e poi il conseguente abbassarsi dello stesso con ritmo più controllato e meno affannato. Lo sentì con calma l’ossigeno riempirle la cavità toracica, il sangue scorrerle nelle vene e la testa vorticare con meno intensità, l’aveva fatto quando aveva messo da parte ogni singola spiegazione ed evitato di esibire sguardi incontrollati e feriti che ne avrebbero – ancora determinato – il folle gioco di preda e predatore, lottatore e vittima, e poi aveva spinto tutto ciò che la faceva apparire ferita fuori dal naso, con forza ma non così tanta da risultarne rumorosa. “Avevo solo bisogno di non fermarmi a pensare, scappavo per quello.” Lo ammise in un soffio, stringendo la porcellana tra le dita ossute e candide, scivolando più in basso sulla sedia – come se volesse sparire, ma al contempo imprimere un segno forte – lasciare che la forma del proprio corpo venisse custodita lì per qualche tempo, insieme all’ammissione la mezza verità che si era lasciata sfuggire davanti a chi le aveva chiesto, sebbene con termini diversi, di non giudicare le persone che dal principio l’avevano resa la persona fragile quale era; la ragazza che non si era mai premurata di fare apparire diversamente d’altronde apparire diversa da come in realtà credeva di essere non ne avrebbe, a lungo termine, portato profitto.
Però l’aveva vista – e sentita – nel rumore della pendola che ne scandiva il tempo, alle volte inesorabile e alle volte più rapido, la possibilità di credere (anche solo per un attimo) d’essere diversa: più qualcosa e meno qualcos’altro. “Ma adesso è diverso” e decise di chiuderlo quel discorso, agitandosi sotto la scrivania con le gambe, rimuginare troppo su ciò che aveva commesso o quello che non aveva avuto il coraggio di commettere non aveva più senso quando inevitabilmente tutto era andato distrutto. E solo per un attimo se lo domandò se anche quando Tom avesse riaperto gli occhi ne avesse visto attraverso il riflesso l’ombra di un dolore – diverso ma simile – non ammesso, un pensiero che la scosse portandola a chiudere le braccia sopra il torace, in perfetta sincronia con la poca apertura mentale che l’idea di quell’incontro le aveva dato: la non possibilità che stava non più meditando.
“Dunque – le fece ticchettare sul legno le unghie, per attirare l’attenzione, per dimostrare a sé che scappare non era l’unica cosa in grado che lei potesse fare – scrivi a tutti gli studenti per complimentarti a riguardo delle attività riprese, o…” non l’aggiunse la fine della frase, ma quella domanda era lì incastrata nella fessura delle proprie labbra.
view post Posted: 24/2/2024, 13:08 Interlude - Ufficio del Custode
Lo guardò senza fare leva sui propri pensieri abbandonare la seduta davanti a lei per recarsi alla finestra e dargli le spalle, interdetta Jessica si ammutolì nel sentirlo parlare. Conversazioni senza filo logico per lei, a cui piaceva organizzare tutto per filo e per segno, destabilizzavano più di qualsiasi altra cosa. Ma, incapace di dettare ordini, specialmente in un luogo in cui poteri non ne aveva, lo lasciò libero di agire e parlare, muoversi e cercare oltre la distesa del vetro una verità che lei non gli avrebbe detto. D’altronde mettere a conoscenza Tom del fatto che lei la sua scopa l’avesse ancora – rinchiusa accanto a un baule che aveva fatto nascondere – non rientrava nel suo interesse né tantomeno svelargli che non l’avrebbe cavalcata a causa delle vertigini. Quindi rimase in silenzio, sollevando le spalle quando il Custode soppesando in realtà quanto l’idea di sorvolare – causa mancata licenza di materializzazione – i paesaggi fino a giungere nella terra dove batteva ancora il suo cuore non doveva essere una brutta idea. L’aveva fatto in quell’istante, quando Tom si era avvicinato di nuovo a lei sfiorando i disegni sulla ceramica, immaginarsi dopo tempo immenso la sensazione del vento tra i capelli ricci e sciolti, l’ondeggiare dei vestiti stretti su un corpo forse troppo magro, la libertà di cui si era privata quando aveva sorvolato l’intera Foresta Proibita in groppa ad un Ippogrifo. E l’aveva sentita la frenesia pizzicarle le labbra, le aveva riportate lievemente dentro la propria bocca riguardandosi il sapore del miele. “Perché gli incarichi oltre a farmi sentire utile mi danno un guadagno e come dici tu – non si preoccupò della forma del linguaggio usato, d'altronde non l'aveva fatto nemmeno lui – non tutti hanno dei genitori pronti a sborsare galeoni per figli non desiderati.” lo riportò al centro del discorso l’ovvio della questione quando rincastrò lo sguardo chiaro in quello del Custode, distratta dai suoi pensieri non ne aveva ancora compreso il filo logico del discorso o che cosa a lui potesse derivarne da tale. Non l’aveva mai visto come un amico con cui condividere pensieri o drammi, il dovergli spiegare che il suo essere sfuggente come l’aveva definita nascondesse in realtà il vero bisogno di scappare solo da quelle che erano le proprie angosce. Eppure per un istante li sgranò gli occhi, come se fosse stata spaventata da quella prospettiva: l’essere studiata e capita anche da chi non aveva il dovere di farlo, la leggibilità per quanto giocasse spesso a suo favore poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. Quindi indugiò facendo scivolare lo sguardo altrove, come se davvero volesse o potesse sempre scappare, infastidita ma divertita dal modo sconnesso del suo corpo che pareva non voler andare via; lo voleva sapere fino in fondo perché dopo anni di mutismo lui l’aveva invitata lì.
Respirò riprendendo la tazza, con più delicatezza questa volta, sorridendo solo quando il bordo della porcellana le sfiorò il mento coprendole parte del viso. Impanicata dall’improvvisa empatia – non sapeva nemmeno che qualcuno come lui si fosse aperto a quel tipo di comprensione – insufflò un filo d’aria dagli angoli della bocca. Le si era fatta chiara quell’immagine di lei, ancora una volta come un fotogramma, di lei che spediva una mazza da battitore a chi sicuramente da lei non si meritava nulla, l’errore che l’aveva fatta correre via, la scelta di non rimpiangere nulla l’aveva visto per un attimo lo sguardo nel Direttore dell’Ufficio Postale voler scavarle dentro e quella volta se ne era andata prima che lui vi trovasse una possibilità. Cosa non giusta in quel luogo, e se ne accorse di essersi alzata ancora “Scappavo solo dalla paura di fare un altro errore – lo sbuffò fuori con rabbia, forse tremore e paura ma senza dolore o lacrime, quelle se le sarebbe concesse davanti a chi davvero l’avrebbe guarita o compresa – e sì voglio farlo anche adesso” sebbene non sapesse da cosa stesse o volesse scappare: un imminente pericolo che l’aveva già allarmata o una presa di coscienza? “Sarebbe davvero un problema se lo facessi?” domandò rimettendosi seduta, sforzandosi nel piegare nuovamente le cosce e sistemarsi adeguatamente sulla sedia messa lì per lei, nonostante la voglia di correre fino a sentire del dolore fosse davvero tanto forte.
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