Tempo di lezioni a Hogwarts. Aule, biblioteche e dormitori avevano preso il posto degli spazi esterni solitamente gremiti di giovani maghi in cerca di avventure. Tutti erano concentrati sull'attività didattica e di formazione, sul lavoro e le mansioni quotidiane al punto che era passata del tutto inosservata la nascita della primavera. "Industria culturale" pensò Mozartus. La tristezza dello svolgimento coercitivo di oneri dovuti a una società, sia essa formativa come Hogwarts o meno, aveva da sempre rabbuiato il suo spirito. Capì che aveva bisogno di un brivido che andasse ben oltre quella spenta materialità. Aveva bisogno di musica! Da quando era partito da casa le sue dita non avevano più toccato i tasti di un pianoforte e il richiamo barbaro a quell'esigenza stava finendo per consumarlo. Entrò in sala grande e vide un pianoforte che aveva tutto l'aspetto di essere quasi abbandonato. In tutta quella formalità di uniformi e stemmi il pianoforte gli sembrò l'unica cosa dotata di un'anima. Non potè sottrarsi ancora al suo richiamo. Si sedette sullo sgabello e le sue dita sfiorarono delicatamente la tastiera. I pianoforti a Hogwarts non erano come quelli dei babbani, il colore dei tasti era invertito: quelli lunghi erano neri e i corti erano bianchi, come in un vecchio clavicembalo. Chiuse gli occhi e iniziò a suonare una bagatella che aveva composto suo padre finché non accadde qualcosa di straordinario. Un timbro dolce, soave e pastoso caratteristico della voce dei violini si spandeva nella sala, prima adagio e poi con decisione. Il roboante suono degli ottoni sconquassava l'armonia del pianoforte. La metrica precisa dei timpani conciliava la tensione delle dissonanze. Aprì gli occhi e fu travolto da un'esplosione di emozioni. Un'intera orchestra sinfonica si era materializzata al suo cospetto: sezioni di legni, archi, ottoni, di ritmica erano disposti in ordine dietro gli spartiti e la voce di una giovane donna era pronta a capitalizzare il sostegno di questa formazione nelle sue melodie liriche. La bacchetta magica divenne lo strumento con cui iniziò a dirigere tutti loro e un movimento deciso della mano diede inizio all'aria. L'attacco fu degli archi, un armonia di violini, viole, violoncelli e un contrabbasso che accompagnavano l unica nota tenuta contemporaneamente da oboe clarinetto e flauto. Fu il preludio all'ingresso della voce solista. L'arpeggio della sua voce durò diverse misure prima di esplodere nella successione di nove note acutissime durante le quali la musica si limitò a un leggero pizzicato dei violoncelli. L ultimo di questi suoni era leggermente più grave degli altri otto e il movimento si ripetè per tre volte. La bacchetta fece cenno alla voce di fermarsi e entrò in scena il suono orgoglioso dei corni e dei tromboni e una successione di scale ascendenti e discendenti dei violini fu il segnale per la voce liriche di prepararsi al secondo e ultimo attacco. Lo stesso tema delicato si liberò dalle corde vocali della donna e raggiunse le nove note precedenti ma questa volta l arpeggio vocale fu successivo. Esso esplose in una successione acutissima di suoni che per essere emessi imponevano alla donna di modificare leggermente l'apertura della bocca: spalancata in quelli più alti, semiaperta in quelli meno acuti. L'ultima nota eseguita congiuntamente dagli archi seguì alla prestazione perfetta della donna e fu un suono prolungato, quasi infinito, interrotto da Mozartus con un gesto deciso delle mani strette in pugno con le braccia sollevate. La musica cessò, aprì gli occhi. Era solo. Gli orchestrali svaniti nel nulla, la donna in abito da cerimonia scomparsa, le sezioni strumentali inesistenti. Intorno a lui si era assiepata una folla piuttosto cospicua di studenti e professori che cominciarono ad applaudire e alzarsi dalle sedie su cui erano seduti. Si alzò dal pianoforte con lo spirito di chi ha sognato e con la sensazione di chi ha vissuto qualcosa di reale. La sua anima, come quella del pianoforte, si acquietò: aveva trovato il brivido dell'esperienza estetica.
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