| Nonostante quella coi Corvonero fosse stata una delle più brevi partite di Quidditch a cui avevo mai partecipato (non considerando quella contro i verde-argento nella quale venni messo fuori gioco dopo appena pochi minuti dall’inizio dell’incontro), l’adrenalina e la pioggia che non aveva mai accennato a diminuire mi avevano reso fradicio. Non potevo negare di essere un po’ deluso. È vero, i Corvonero erano una corazzata di un certo livello, ma ero sinceramente convinto che i ritorni di Atalantino e di Mica ci avrebbero permesso di vendere cara la pelle, invece non fu necessaria più che qualche semplice azione per mettere uno stop al match. Non avevo avuto modo di segnare nessun goal durante la partita e, come me, anche tutti gli altri Corvonero. A causa di questo, dato il sottile vantaggio che i Serpeverde avevano, i bronzo-blu si erano piazzati automaticamente al secondo posto e quindi ero abbastanza certo che neppure loro fossero pienamente soddisfatti della loro partita. Al termine del gioco rimasi in volo per qualche minuto. Non ero cosciente del perché, forse per godermi un po’ di più quei momenti che sancivano la fine di un campionato che, nonostante il misero punteggio accumulato, non era affatto stato così disastroso come le statistiche mostravano, o forse perché, inconsciamente, stavo attendendo che un altro giocatore mettesse i piedi per terra. L’ultimo appuntamento tra me e Desmond non era andato come mi sarei aspettato e purtroppo ci eravamo salutati con una nota un po’ amara che andava in netto contrasto con la dolcezza del pasto che avevamo consumato. Quasi come se il nostro fosse un gesto automatico, ci avvicinammo l’un l’altro al termine dell’incontro e, con un po’ di sorpresa, Desmond mi baciò davanti ai pochi spettatori rimasti e che stavano avviandosi verso l’uscita. Sebbene il mio unico desiderio, prima di quel momento, fosse solo quello di andare a farmi una doccia e piangere un po’ per il rammarico, quel semplice gesto del bronzo-blu modificò in toto il mio pensiero. Con un sussurro al mio orecchio che mi provocò un brivido mi disse che mi avrebbe aspettato dietro agli spalti, come era già successo una volta. Non riuscii a leggere la sua espressione. Non capivo se si trattasse del suo modo di chiedermi scusa per quello che era successo recentemente o se si trattasse di un semplice pretesto per sfogare fisicamente un po’ della sua frustrazione dovuta al risultato della partita. In ogni caso, mosso sia dalla curiosità e sia dall’impellente desiderio di riavvicinarmi a lui, dopo aver finito di salutare i pochi rimasti mi portai dietro agli spalti. Cosa avrei risposto, se mi avesse domandato il mio stato d’animo? Non ero sicuro della risposta che avrei dato. Se da una parte ero certo che il ragazzo mi avesse detto la verità e che non avesse combinato niente insieme al suo ex a casa del quale aveva passato l’ultima settimana di vacanze natalizie, dall’altra ero ancora un po’ deluso dal fatto che avesse aspettato così tanto tempo prima di dirmelo, come se non si fidasse di me o come se avesse avuto paura della mia reazione. Con un sospiro arrivai, ancora fradicio e gocciolante di quel mix di sudore ed acqua piovana, sugli spalti di Grifondoro oramai deserti, e raggiunsi Desmond nell’incavo che ci avrebbe conferito un po’ di privacy e che ci avrebbe riparato dallo scrosciare incessante delle gocce di pioggia. Lo osservai per qualche istante. Nonostante la fatica, il meteo, la partita appena giocata, il mio ragazzo era bellissimo, tanto da mozzarmi il fiato, e d’istinto mi ritrovai ad inclinare verso l’alto gli angoli della bocca in un sorriso, nonostante la mia espressione non manifestasse poi felicità. “He-“ deglutii. “Hey. Bella partita.” Bella partita? Quasi mi stupii per la stupidaggine della mia stessa frase. “Come stai?” chiesi quindi velocemente subito dopo, come a voler cancellare l’imbarazzo della prima parte. Mi pentii amaramente della domanda perché, secondo la mia logica, lui avrebbe ricambiato con la stessa questione a cui io, appunto, non avrei saputo dare una risposta. “Mi…” deglutii ancora una volta, poi feci un passo verso di lui per avvicinarmi un po’ ma ancora senza arrivare al contatto fisico. “Mi sei mancato in questi giorni.” Non aggiunsi altro. D’altronde era lui ad avermi chiesto di raggiungerlo agli spalti, per cui mi aspettavo una sua reazione o qualche frase, qualche spiegazione. Non ero arrabbiato con lui, non lo ero affatto. E mi mancava, mi mancava come l’aria. Avrei volentieri ingoiato il mio orgoglio per l’ennesima volta, avrei voluto che tutto tornasse a quei momenti prima di quella confessione tanto innocente quanto violenta per me. La mia totale ignoranza in campo di relazioni mi portava a dubitare di me stesso, a credere che la mia reazione fosse stata sbagliata, spropositata. E quindi ci ricascai, per l’ennesima volta con lui. “Scusa” dissi, come se avessi colpa di qualcosa. “Ho sbagliato a reagire in quel modo. Perdonami, sono stato esagerato.” Volevo solo che lui si avvicinasse a me, che mettesse fine a tutti questi dubbi che mi attanagliavano. Che mi dimostrasse che ero il solo per lui, come lui era il solo per me.
|