| Annuì a Danny. Non era (ancora?) ubriaco, ma anche un ubriaco avrebbe capito che Macbeth non avesse molta voglia di parlare del periodo passato lontano da Hogwarts. Sheldon sperò di non avergli rievocato brutti ricordi e prese di buon grado l’idea di un incontro a tu per tu con lui in futuro. Forse era già ubriaco, a ben pensarci. Altrimenti non si sarebbe spiegata la naturalezza con cui proferì le parole successive. «Mi ritengo perfettamente in grado di sopravvivere in mezzo a questo marciume. Anzi, volendo possiamo già dare per fissato un appuntamento in questo stesso posto per una birra. Sopporterò oggi e pure allora». Il problema non era certo aver accettato di incontrarlo in futuro. Sì, una volta il mago di Cambridge aveva mostrato imbarazzo e timidezza ogni volta che si presentava l’idea di incontrare persone all’infuori della propria zona di conforto (che allo stato attuale comprendevano solo Eleanor e Charlotte, in pratica), ma ormai l’età adulta e le esperienze lavorative a contatto con il pubblico lo avevano reso più sciolto. Non era più l’impacciato ragazzino che andava intimorito alle feste con la maglietta con disegni pozionistici, ecco. La cosa gravissima che faceva intuire il suo non essere più sobrio, invero, era, be’, aver proposto di incontrarsi in quello stesso luogo. Se ne sarebbe pentito il giorno dopo e sarebbe stato il suo primo sintomo di postumi della sbornia, probabilmente. «Anche se dubito che il Testa di Porco sia il luogo più adatto per una ricerca pozionistica». Concluse, ritenendosi soddisfatto di aver strappato, più o meno, dall’altro la promessa di farsi raccontare qualcosa del suo periodo lontano dal castello. Non solo Sheldon era terribilmente curioso di ogni cosa, ma lo avrebbe tranquillizzato sapere i retroscena dell’individuo che stava con la sua migliore amica. E di certo non avrebbe gradito l’idea che Charlotte potesse stare con un tipo dal passato tenebroso e di cui non si potesse parlare durante una gara di bevute, mhh. A proposito di cose da non fare durante una gara di bevute… rispose a Morgana (chiedendosi come non fosse uscita matta in mezzo a quella cacofonia di versi animaleschi, dopo che l’aveva vista quasi uscire dai gangheri per il ronfare di un quadro!). «Oh, sì, dobbiamo dare un nome del nostro draghetto, hai ragione. Non è il momento giusto per deciderlo, però, o rischiamo di chiamarlo Patrizio». Non faceva ridere, ma Sheldon non riuscì a trattenersi e ridacchiò lo stesso. Stava gradualmente e irrimediabilmente perdendo i freni inibitori. Gli venne poi l’illuminazione. «Ma è un Gallese Verde! Verde. Be’. Chiamarlo Patrizio forse è azzeccato, dopo tutto. Peccato che il drago non sia un Irlandese Verde». Alzò le spalle, rivolgendosi poi a Lottie, con un sorriso divertito dalla propria illuminazione. Si sentiva un genio. Del resto, buona parte della Lega delle Streghe era lì presente alla festa di San Patrizio e il nome era facilmente ricollegabile al verde. Ma, a dire il vero, in quel momento a Shay sarebbe sembrata un’eccellente idea chiamare “Patrizio” una pozione di colore verde. In generale, chiunque o qualsiasi cosa che fosse verde era un potenziale Patrizio. (Il giorno dopo, si sarebbe ritenuto fortunato a non aver espresso tutte quelle idee ad alta voce.) «Propongo che la decisione del nome del draghetto venga messo all’ordine del giorno della prossima riunione, Presidentessa. Metteremo Patrizio in cima alla lista delle proposte». Altra cosa di cui pentirsi il giorno dopo. Bene. Apprezzò l’offerta da parte di Lottie di usare le sue gambe come seduta, ma evitò: non voleva sporcarle i vestiti di vomito, sputo e escrementi di sorcio. Già bastava aver fatto vivere quel supplizio ai suoi poveri pantaloni. Ringraziò con un sorriso Eustass quando l’oste portò alla coppia i due bicchieri puliti (dettaglio non indifferente, per Sheldon!!) con le birre ordinate. La sfida di bevute, invece, pareva che puntasse a farli ubriacare con drink che non fossero birre. La bevanda successiva da bere sarebbe stata, infatti, un sidro. Sheldon non bevve subito. Prima voleva godersi lo spettacolo di Eleanor alle prese con un liquido frizzante e pieno di bollicine, che già sapeva le avrebbero solleticato il nasino e fatto fare un singhiozzo. Già pregustandosi il divertimento, la guardò sornione, con un sorriso di sfida. Non lo fece per evitare di bere l’oggetto della prossima sfida, tutt’altro! Non aveva mai assaggiato il sidro, quindi era curioso di farlo per la prima volta. Prendendo il bicchiere, sentì subito il frizzare che gli pizzicava la punta del naso (che quindi venne subito grattato con l’unghia del pollice, a mo’ di riflesso incondizionato, tipico del mago con le lentiggini). Gustò con più calma quel drink, ritenendo non fosse un’ottima idea trangugiarlo in un sorso, vista la prossima sfida. Gli piacque il sapore fruttato, che fermò in bocca a ogni sorso, prima di farlo scivolare giù per la gola, lasciando una scia bruciante, che poi diffuse calore al petto. Finito il bicchiere, si promise di comprarsi del sidro da tenere di scorta a casa, essendo rimasto particolarmente soddisfatto dalla freschezza data dal sapore e dalla consistenza di spumante. Sentiva ancora le orecchie paonazze per l’effetto dell’alto tasso alcolico del sidro quando si fece coraggio e si fece avanti per la sfida, subito dopo Danny. «Be’, ci provo prima io», si rivolse a Eleanor, «Mi sento coraggioso. Cerco di vederla come un allenamento per quando dovremo salire le scale stanotte, quando torniamo da me». Almeno le scale di casa sua avevano un corrimano, però. Si alzò dalla sedia e si accorse che, in effetti, Hawkins aveva scelto un ottimo momento per quella sfida. Si sentiva la testa più leggera ora che da seduto, quindi prese un bel respiro, approfittando di quel momento per avvicinare la sedia al tavolo e chiedere a Charlotte di tenergli il bicchiere di birra, così da avere campo libero su cui mettere i piedi. «I piedi a tavola, Eustass, che grande idea. Suppongo che nella quota di partecipazione non sia compreso il servizio di pulizia del bancone, vero?». Ironizzò, prima di approcciarsi davvero alla sfida di ubriachezza. Parlare lo faceva sentire meglio, o almeno così sperava: credeva di abituarsi un po’ di più a quello stato di ubriachezza non ancora molesta, ma già tale da aver fatto perdere i freni inibitori. Si augurava che non gli facesse perdere anche l’equilibrio! Con cautela, poggiò il piede sinistro sulla sedia, ringraziando Paracelso di essere alto. Quel movimento che fungeva da preludio a un sollevamento molto più drastico attivò vari campanelli di allarme nella sua mente, quindi si diede il tempo di sentirsi stabile prima di prendere un piccolo slancio, regolando l’inclinazione della schiena e la postura. Voleva anche essere sicuro che la sedia non scivolasse via: quando si sentì ottimista e fiducioso, fu il tempo di alzare anche l’altro piede, così da poggiarlo sul tavolo. Se salire sul primo gradino, rappresentato dalla sedia, gli aveva dato l’impressione di starsi per arrampicare, il passo diretto del destro al secondo gradino gli diede direttamente la sensazione di venir catapultato verso l’alto, come una foglia sbalzata via da una folata improvvisa di vento. Non aveva puntato a salire con eleganza, ma quantomeno senza vacillare troppo da un lato o dall’altro. «Per tutte le ampolline». Credette di nuovo che parlare ad alta voce lo aiutasse a esorcizzare il pericolo di scivolare rovinosamente. Aspettò ancora di sentirsi abbastanza stabile prima di portare anche il piede sinistro sul bancone: da lì, ergersi con ambo i piedi piantati sul tavolo (ugh!) e le spalle dritte gli risultò più facile. Il problema maggiore era stato il secondo passo della salita. Non gli sembrava un’ottima idea fare un giro su se stesso e balzare giù da dov’era arrivato: il girotondo gli avrebbe fatto probabilmente vorticare tutto. Allora mosse qualche passo: se fino ad allora si era concentrato a fissare lo sguardo su dove voleva appoggiare i piedi, in quel momento rivalutò l’idea di continuare a farlo – temeva che l’alcol gli facesse accusare delle vertigini –; d’altro canto, non gli sembrava molto sicuro camminare e poi saltare su un terreno non controllato, quindi si fece coraggio, ricordò la sensazione che gli dava sollevarsi lontanissimo da terra con la scopa volante e guardò verso il basso. Non si sentiva del tutto certo dei propri passi, ma vedere i propri piedi calcare il tavolo lo fece sentire tranquillo e fiducioso, nonostante camminasse con i piedi di piombo. Arrivato all’estremità opposta del bancone, controllò che lo spazio al di là del bordo fosse sgombro e, con i piedi un poco distanziati tra loro, controllò di sentirsi abbastanza rigido da non scivolare ma flessibile da non schiantarsi con la faccia a terra. Dopodiché spinse via il piede destro verso il vuoto, subito seguito dal sinistro, e li fece impattare con il pavimento in sincronia, attento a non spostare il baricentro lontano dalla metà del proprio corpo. L’impatto delle suole delle scarpe sul terreno e il cambio brusco di altitudine gli fece avvertire un giramento di testa, quindi si impose di rimanere immobile e ritenne così di aver completato con successo la sfida. Ma, uff, che fatica. Si sentiva un po’ malfermo sulle gambe dopo quel balzo, ma si fece forza con il desiderio di tornare a sedersi per fare il giro del bancone e riprendere possesso della propria sedia e del proprio bicchiere di birra, che aveva lasciato in custodia a Lottie. «In bocca al calderone». Augurò alle due streghe, alzando in bicchiere in loro direzione, e assaggiò la propria birra mentre la sfida continuava, dopo aver fatto un rapido cin-cin con il bicchiere di Eleanor. Quando avesse potuto, dopo l’esibizione di Ele ad esempio, si sarebbe sporto verso la strega di Leeds, fissandola negli occhi, sorridendo innocente. «Ele, ho fame». Il sorriso si fece sornione e tentò di farle sorgere qualche dubbio su cosa desiderasse gustarsi. «Che ne dici di dividerci la torta salata verde e la ciambella di San Patrizio?».
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