Cogito ergo sum. - Group:
- Studente di Corvonero
- Posts:
- 2,046
- Location:
- Trieste- Italia
- Status:
| |
| Il suo portafoglio ne avrebbe risentito prima o poi, e non se ne era resa conto quella domenica quando – in perfetto orario – aveva varcato i cancelli che dividevano il castello di Hogwarts dalla sua libertà, ma lo aveva fatto in precedenza, ancora prima di essere svegliata dall’unico raggio di Sole abbastanza forte da penetrare oltre le tende tirate del letto a baldacchino. L’aveva fatto ancora prima che la rabbia prendesse possesso delle proprie azioni e che lei stessa strappasse una a una le pagine di un libro, quel libro e ancora prima di scoppiare in uno dei suoi pianti disperati, incontrollati. Ma se ne era fregata, appena aveva recuperato le pagine accartocciate ai propri piedi lisciandole con fare colpevole sulle ginocchia nude ed era allora che aveva lanciato contro il muro la boccetta d’inchiostro allo zucchero filato, solo per sentire il profumo d’oceano che non era mai arrivato alle sue narici. L’aveva fatto in quel momento, indossando un paio di jeans e un maglione bianco a maniche lunghe, si era allacciata le scarpe da ginnastica e se ne era fregata, avrebbe provveduto a quello quando la lettera di Gregory sarebbe giunta a lei, ancora una volta. Spendere l’aiutava a non pensare a lui, al dolore, alla storia finita, all’amore che sempre avrebbe provato e al pensiero di lui che andava avanti senza di lei, come era giusto che fosse. Al vuoto che ancora sentiva, la sensazione di colpa che non la faceva più respirare. Le sentiva ancora le sue mani, sopra le proprie, a spingere quella porta che non garantiva più un accesso al Piediburro e non le ci volle che un attimo per essere avvolta dal tepore e dal colore di Scribbulus, in completa solitudine. “Salve” esordì perché quello non era un buongiorno, non lo sarebbe mai stato, nonostante le novità esposte in bella vista sulla vetrina, l’ampliamento del catalogo che si premurò di leggere affondando il naso nel Catalogo, una distrazione che avrebbe impedito a chi l’avrebbe servita e accolta di leggere rabbia, tossicità, distruzione nelle proprie iridi chiare non più luminose. “Vorrei una boccetta di inchiostro canto di Augurey e una di fico avvizzito dell’Abbisina, grazie”. Atona e monocorde, così le rimbombò nella testa la propria voce ma non se ne preoccupò, non lì, non in quel momento, quando giunse il suo momento di parlare, abbasando appena il listino sotto gli zigomi.
|