Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Dangerously II, Privata – X. Bertrand

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view post Posted on 29/6/2023, 21:41
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Ella distrugge per ricreare


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Continua da qui.

Non aveva avuto bisogno di voltarsi o di sentire la sua voce per sapere chi, messo piede fuori dalla Sala Comune, l'avesse trascinata indietro.
Aveva avuto come l'impressione che le sue dita avessero ritrovato il loro naturale posto su solchi che s'erano già premurate di lasciare sul proprio corpo, che il suo respiro si fosse infranto ove aveva già fatto e che la propria pelle lo avesse riconosciuto dal fiele a renderlo bollente, che l'aura furiosa a sprigionarsi come calore attorno a lui fosse capace di donarle ossigeno, anzi di toglierglielo, e che il rauco verso che l'era scivolato nei timpani provenisse dalla bocca dell'inferno in cui entrambi avevano accettato di cadere. S'era trattato d'un secondo, uno di quelli capaci di dilatarsi per opera di ciò che erano, ma aveva portato con sé tutto ciò che si erano rabbiosamente – ed erroneamente, a volte ancora lo credeva, lo aveva creduto specialmente quel pomeriggio – confessati da quando il suo petto s'era scontrato con la propria schiena per la prima volta.
Aveva stretto le dita attorno ai suoi polsi, quasi conficcandovi le unghie, e seppur non fosse riuscita a capire per qualche motivo avesse sentito il bisogno di farlo – se per intimargli di allontanarsi o chiedergli inconsciamente l'esatto opposto – l'era sembrata un'ottima risposta alla sua prepotenza. «Dovrebbe.» Gli aveva risposto, rimessa distanza tra loro, alludendo all'intera situazione e non solo a quella che gli aveva chiarito essere la propria volontà. Tornare a scappare.
S'era distrattamente lisciata il tessuto della divisa a fasciarle la vita, come se la sua aggressività vi avesse lasciato residui che non era per niente intenzionata a conservare – non ancora – e aveva avuto giusto il tempo di guardarsi attorno per accertarsi dell'assenza di altri, nei paraggi, che si sarebbero potuti aggiungere alla lista di coloro che, in campo, erano già stati coinvolti nelle loro tensioni che lui era tornato a reclamarla ad affiancarla. Aveva arricciato appena le labbra, più infastidita da quello che aveva fatto suonare come un ordine che dai polpastrelli conficcati nel proprio gomito, e aveva strattonato il braccio per liberarsi dalla sua stretta ma ancor di più dall'autorità che stava palesemente cercando di esercitare su di sé.
E per placare l'ennesima scossa a irradiarsi lungo le proprie vene, a farla tragicamente oscillare tra l'istinto di ritrarsi e la voglia di percepirla ancora.
L'aveva letta più che chiaramente, nel suo sguardo, l'impetuosa instabilità che sembrava non vedere l'ora di abbattere sulla Babbanologa, ella sarebbe stata in grado d'interpretarne ogni oscillante striatura di follia, di alimentarla e per un attimo s'era immaginata a farlo lì, nel bel mezzo dei sotterranei, dove tutto era cominciato.
"Ti prego..."
«Smettila.» Ed era stata certa, allora, di starsi riferendo al violento contatto fisico che lui aveva cercato durante tutto il pomeriggio e che lei, nel modo più malato possibile, aveva agognato tanto da rifuggirlo. Anche il proprio, di sguardo, aveva fatto aleggiare nell'aria un ordine: più controverso, forse, perché comprensivo dei motivi per i quali Morgana stava cercando, come non aveva fatto in campo, di trattenersi, ma ugualmente risoluto. Sapeva anche lei, specialmente dopo l'urlo che aveva calamitato l'attenzione dell'intera squadra sugli spalti, che di qualcosa sarebbe stato doveroso discutere ma non a quelle condizioni, non alle sue.
Non aveva detto altro ma gli aveva comunque fatto intendere di seguirlo rendendogli chiaro come fosse una propria decisione volontaria quella di assecondare il bisogno ch'era stato lui, usciti dal campo, a mostrare più platealmente ed era stato allora che lo aveva condotto là dove settimane prima aveva finalmente trovato cosa, a Hogwarts, la chiave che aveva ottenuto dai Contrabbandieri consentiva di aprire: una stanza rimasta chiusa per anni, un ammasso di mobilia e oggettistica abbandonate alle braccia inflessibili del tempo, una dimensione che sembrava non essere stata intaccata da altri e che, quindi, sarebbe potuta essere loro.
Ne aprì la porta, invitandolo con un cenno del capo a entrare per primo, e dopo essersela richiusa alle spalle incrociò le braccia al petto – difesa, imposto distacco, autocontrollo – in attesa. «Te lo richiedo: che cazzo hai fatto?» Uno sbaglio.
 
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view post Posted on 29/6/2023, 21:47
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Era certo che Morgana non avrebbe detto nulla per cercare di ribattere a quelle parole o per evitare un confronto. Lei sapeva che lui non si sarebbe arreso, ne era certo, così come sapeva che non si sarebbe fatto problemi a caricarsela in spalla e a usare la forza pur di andare in un luogo più adatto a quel genere di confronto. Non avrebbero parlato come due persone civili e capaci a rapportarsi, avrebbero utilizzato il loro modo di comunicare e Xavier era già ad un passo dal tirare un cazzotto al muro, tutto pur di placare il nervosismo e per cercare di alleviare il fastidiosissimo prurito alle mani.
L'aveva perciò scortata, poco gentilmente, dal braccio ovunque lei volesse senza darle quindi libertà di scelta. Era stanco di doverla sempre inseguire, era stanco dei suoi comportamenti infantili e del suo continuo scappare dai problemi. Lui che era il primo a farlo, fuggiva dalle sue responsabilità ogni volta che ne aveva l'occasione, evitava determinate situazioni per non incorrere in conseguenze poco piacevoli. Ma, giunti a quel punto, avevano poche scelte e voltarsi ognuno nella direzione opposta non era un'opzione.
Durante il tragitto l'aveva strattonata, più volte, impedendole qualsiasi altro movimento diverso dal camminare in direzione del luogo scelto. Lo stava conducendo verso il settimo piano e Xavier si era chiesto quale idea stesse balzando nella mente della Capitana in quel preciso istante. Giunti a destinazione non riconobbe la porta della stanza in questione, probabilmente non aveva mai visitato quel luogo. Incuriosito aveva atteso che Morgana aprisse la stanza per poi spingerla dentro e chiudere la porta alle proprie spalle, a chiave, per impedire a chiunque di disturbare. Il silenzio della Capitana bastò ad irritarlo, come sempre toccava a lui fare la prima mossa ma quel giorno non aveva alcuna intenzione di trattenersi e andarci piano. Per quella ragione scatto in avanti afferrandola dalle spalle e spingendola contro il muro. Non poteva permettersi di farle del male, non in quel modo, perciò utilizzò l'unico metodo che conosceva per evitare di tirare a lei un cazzotto in faccia.
« Dannazione Morgana! » Urlò, il pugno sbattuto contro la parete accanto alla testa di Morgana. Dopo aver spinto la rossa in direzione del muro e aver ascoltato le sue stronzate, per l'ennesima volta, non fu in grado di trattenersi e come quella volta a casa sua finì con il perdere il controllo. Accadeva spesso con lei di perdere la ragione, diversamente da come era abituato con Jessica. Mantenne il pugno a contatto con il muro mentre i suoi occhi fiammeggiavano di rabbia, il corpo ad una debita distanza da quello di Morgana ed il braccio steso. Sollevò anche l'altro poggiando la mano, a palmo aperto, contro il muro mettendo la Capitana in trappola, senza darle possibilità di fuga da entrambi i lati. « Non ho mai fatto il tuo nome. » Soffiò avvicinando il viso a quello di Morgana inarcando le spalle verso il basso per poter arrivare il più possibile vicino a lei. Le insinuazioni di Morgana quasi lo ferirono, dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei come poteva pensare, anche solo per un secondo, che avrebbe potuto mettere lei nei casini con una sua studentessa? Aveva cercato di tutelarla, ancora una volta, nonostante tutto. Ciò che Jessica aveva fatto, pubblicamente, era imperdonabile e aveva cacciato tutti e tre in una situazione che lui aveva provato ad evitare, in ogni modo.
Successe che il suo sguardo cadde sulle labbra della docente di Babbanologia, il viso contratto dalla rabbia e gli occhi che per qualche secondo di troppo indugiarono sulla sua bocca rossa e morbida, ricordava bene quella sensazione. Istintivamente bagnò le proprie con la lingua, lentamente, come se stesse riassaporando il veleno che tutti e due si erano scambiati.
Ne avvertiva la mancanza.
Sorrise e lasciò indugiare i propri occhi su quella fonte di veleno ancora un po' prima di ritrovare lo sguardo di Morgana e, attraverso di esso, farle capire quale fosse il proprio desiderio. Non era soddisfatto, lui non l'aveva avvelenata abbastanza al punto tale da trarne beneficio e, in quel momento, il suo più grande desiderio era proprio quello: riversarle in gola tutto il veleno che possedeva fino a vederla ansimare in cerca di aria, intenta a soffocare a causa sua.
Malati.
Tutti e due.
 
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Lo aveva capito dal modo in cui le sue dita avevano continuato a stringere l'articolazione del proprio braccio durante tutto il tragitto a condurli al settimo piano che, oltrepassata la porta della soffitta, la rabbia che aveva trattenuto sino a quel momento le si sarebbe schiantata addosso com'era successo al numero venti.
Quella consapevolezza l'aveva fatta sentire di nuovo come una condannata a morte scortata lungo la strada per il patibolo ma a differenza di quanto accaduto a casa propria, dove il sangue sulle sue mani aveva avuto un sentore pressoché inedito, allo scatto della serratura aveva saputo perfettamente quale sapore immaginarsi sulle labbra; forse aveva addirittura sperato che tornasse a distruggersi, a odiarla con tutta la forza delle sue nocche, per averne un'altra goccia.
Le vide scorrere lungo la lama del pugnale stretto nella propria mano destra, disegnare inquietanti ramificazioni sul collo di Cynthia.
Le percepì trasudare dalla pelle di Xavier, riempirle i polmoni.
Le ricordò schizzare contro la superficie dello Specchio delle Brame, minacciare di raggiungerla oltre il vetro.
Le immaginò tracciare nuove vene sulla
sua pelle, nutrire la propria.
Lo stato di abbandono in cui versava la stanza aveva impiegato meno d'un secondo a richiamare a sé quello che s'erano dichiarati a vicenda, che avevano riconosciuto come unico destino comune e che una parte di loro aveva probabilmente smesso di temere dopo averne saggiato la seducente letalità.
Era stato quello, più dell'acuta fitta alle scapole dovuta all'impatto con la parete di pietra, a stordirla per qualche istante; quello e il modo in cui il proprio nome gli si era attorcigliato alla lingua: come una bestemmia, un'accusa, un gemito.
L'aveva sentito arrivare, come il pericoloso fischio di un Bolide nelle vicinanze, e aveva represso qualunque riflesso incondizionato per essere certa di non perdersi, chiudendo le palpebre, nemmeno una delle scintille dell'esplosione che gli colorò, all'impatto, lo sguardo di cremisi. L'aveva fatta propria, l'ira che il braccio teso accanto al proprio viso aveva continuato a sprigionare anche da fermo, e aveva inevitabilmente alimentato il lato di sé che ancora condannava la sua decisione.
"Io resto."
Le proprie labbra, che s'erano ridotte a una linea dura per il fastidio che si era irradiato a partire dalle proprie spalle, avevano modificato l'espressione della strega disegnandole sui lineamenti un ghigno estremamente soddisfatto, venefico, perverso. Voleva che vedesse il piacere che le aveva dato constatare il verificarsi di quanto aveva temuto per loro, la folle delizia che aveva provato nel sapersi causa – ma anche soluzione – della sua collera e voleva capisse, ancora una volta, che tutto ciò che stava abbattendo su di sé, e di conseguenza su se stesso, lo aveva accettato per primo, che non era stato costretto a farlo.
«L'hai scelta tu.» Aveva sibilato riferendosi alla parola che aveva utilizzato: dannazione.
La gabbia ch'era tornata a ergersi attorno a sé, a quel punto, l'aveva irritata, non l'era più sembrata capace di tenere insieme i frammenti che componevano la propria anima ma l'aveva percepita estremamente soffocante e deleteria. L'era piaciuta ugualmente, forse di più, ma il nervosismo dovuto a quanto accaduto in campo non le aveva dato modo di goderne appieno, le aveva permesso di ritenere giusta la propria volontà di uscirne, l'aveva convinta di doverci quantomeno provare. «Non avresti dovuto farne proprio parola! - Sbottò reggendo il peso del peccato capitale ad animare il suo sguardo nonché la distanza che aveva pressoché azzerato e, anzi, accorciandola ulteriormente. - Cosa credevi, mh? Che lo avrebbe semplicemente accettato?! - I palmi delle mani a posarsi sul suo petto per esercitarvi una prima pressione. - Che questo potesse passare inosservato? - Si riferì, ovviamente, all'inchiostro che aveva macchiato loro la pelle in maniera indelebile alla firma del patto con i rispettivi diavoli. - Che io... - ...sarei riuscita a fingere, con te.
Le grate tornarono a sembrarle un rifugio solo per un attimo, il tempo impiegato dai propri occhi per catturare il movimento della lingua sulle sue labbra e ricordare com'era stato averle sulle proprie. - Cazzo. - Mormorato a se stessa, al brivido violento che le percorse la spina dorsale quando, imitando inconsciamente il suo gesto, di nuovo, riassaporò quell'ultima goccia. - Cazzo! - Urlato a lui, con un altra spinta delle mani a volerlo allontanare da sé.

Credo che la verità abbia una sola faccia: quella della contraddizione violenta.

Un'altra. - Per cosa poi, mh? Per una stronzata! - Alla fine trovò voce, il pensiero che aveva fatto in campo quando aveva ridotto a un nonnulla tutto ciò ch'era accaduto, quando l'aveva ritenuto un coglione per aver evidentemente mandato a puttane – lui? – qualcosa di importante per... - ...niente. Non siamo niente, questo non è niente.» Una parte di sé se ne pentì immediatamente, fu la stessa che ricercò il contatto con lui, che lo bramò spasmodicamente e in maniera quasi patologica, come aveva fatto al numero venti. Fu quella che si riavvicinò a lui con urgenza e irruenza, che per un attimo si immaginò a soddisfare lo stesso bisogno che lui le aveva fatto intendere di sentire un attimo prima, quando la propria bocca era bruciata del desiderio di cui lui l'aveva investita solo con uno sguardo.
A un passo dal rifarlo, però, un'altra forza sembrò strattonarla all'indietro e obbligarla, irritata, a dargli le spalle per tornare a fuggire.
 
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view post Posted on 30/6/2023, 17:15
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«L'hai scelta tu.»
Sapeva a cosa stesse facendo riferimento, lo sapeva bene e per un secondo se ne era pentito. Tuttavia doveva essere sincero in primis con se stesso e poi, forse, anche con lei. Non riusciva ad esserlo, non per davvero, non quando la libertà aveva un così buon sapore. Strinse le mani quasi a voler graffiare la parete dietro di lei immaginando di graffiare la stessa Celebrian e farla sanguinare, godere di quella vista e flettersi accanto a lei per il solo gusto di infierire ancora e ancora. Immaginò di affondare quelle dita dentro il suo corpo, oltrepassare ogni strato di pelle e osservare il sangue sgorgare lento dal suo corpo. Sfiorarle ogni organo interno, insinuarsi al suo interno sempre di più fino al torace, sfiorare il cuore e avvolgerlo nella propria mano sinistra fino a strapparglielo. Quel cuore marcio che sapeva essere ormai suo, immaginò di mostrarglielo per aprirle ancor di più gli occhi su come lui l'aveva ridotta e su come lei, a sua volta, aveva ridotto lui. Immaginò di prenderlo a morsi, divorarne le carni e poi stritolarne i resti. Quelle immagini e quei pensieri a dir poco perversi e macabri smossero qualcosa in lui, al punto tale che appena lei poggiò le mani sul suo petto lui, in maniera istintiva, si ritrovò a spingere il torace contro di esse e il bacino contro la sua coscia.
Ghignò, più lei lo spingeva via più lui accorciava la distanza e le mani tornarono a poggiarsi a palmo aperto sulla parete. Inclinò la testa lateralmente senza togliersi il sadico sorriso dalle labbra, su cui per la seconda volta ci passò la lingua dopo aver visto lei fare lo stesso. E lo sentì ancora, quel calore, quella volta di metterle le mani addosso e possibilmente privarla di ogni strato di indumento che li teneva ancora separati.
« È per questo. » Sibilò, mentre lei cercava in ogni modo di spingerlo via. Le afferrò i polsi all'ennesimo tentativo di spinta, li strinse così forte al punto tale da sentire quasi le ossa di Morgana frantumarsi sotto la sua presa. La strattonò in avanti staccandola dal muro prima di spingercela di nuovo, le mani di lei ad una spanna dal proprio viso e i polsi ancora bloccati dalle grandi mani del Bertrand. « Non poteva passare inosservato. Questo... » Un secondo sibilo, entrambi i polsi ora stretti con l'ausilio di una sola mano e l'altra a reggerle il mento. « ... non può essere ignorato. » Le lasciò i polsi con uno strattone giusto in tempo per sentirla urlare. Le labbra di Xavier si tesero in un ghigno di pura soddisfazione, ancora una volta non c'era più traccia di umanità in lui.
La sua umanità l'aveva persa perdendo lei.
Rimase inchiodato con i piedi per terra, le braccia stese lungo i fianchi e il petto scosso da una risata. Più Morgana si agitava, più dava segni di cedimento, più lui godeva. Il destro sopracciglio scattò in alto quando, dopo l'ennesima spinta, arrivò la cazzata del secolo. Niente, secondo Morgana loro potevano ridursi tutto ad un niente. Era una bugia e Xavier lo sapeva, non perché fosse bravo nel leggere la mente delle persone ma perché il corpo di Morgana si tradiva da solo. La sua bocca diceva cose, cercava in ogni modo di sfuggire alla macabra dura realtà dei fatti senza riuscirci.
« Niente. » Soffiò, tra i denti, prima di vederla avvicinarsi e azzerare nuovamente la distanza. Lo fece così rapidamente che, a sua volta, lui scattò in avanti poggiando di nuovo le mani al muro, pronto a ripetere quello sbaglio. Sentiva il bisogno di farlo, aveva la necessità di riprendersi ciò che aveva avuto al numero venti, ma così come lei si era avvicinata si distanziò costringendolo a guardare il muro davanti a lui. Fece ricadere nuovamente le braccia lungo i fianchi, rimase immobile solo per un paio di secondi prima di ridacchiare. Fu in quel preciso momento che si voltò di scatto verso di lei, che gli dava le spalle, e senza delicatezza le afferrò la lunga coda di cavallo.
« Non. Osare. » Ringhiò ruotando il polso per avvolgere quei capelli ad esso, la strattonò di prepotenza costringendola a voltarsi verso di lui. Nuovamente un sorriso sadico, perverso, malato... le lasciò la coda solo per bloccarle la nuca dalla base, poi portò la mano libera sul viso di lei tenendola da entrambe le guance. Le tirò nuovamente i capelli costringendola a reclinare il capo all'indietro così da non doversi piegare per guardarla negli occhi.
« Dimmelo ancora. » La strattonò facendo aderire il suo petto al proprio corpo, la testa ancora tirata indietro e le dita della mano a premere contro le sue guance.
« Coraggio, Morgana. Dillo. » Il sibilo della serpe, il sussurro del diavolo. Il nome della rossa sbiascicato con gli accetti che lo caratterizzavano. Non le diede il tempo di parlare, non le diede il tempo di dire un'altra stronzata. Unì le labbra a quelle di lei con cattiveria, come se volesse strapparle via quella fonte di veleno con cui avrebbe voluto nutrirsi ancora e ancora, lasciandoci a sua volta il proprio. Non fu lo stesso bacio scambiato al numero venti, la rabbia e la follia erano triplicate al punto tale da farlo ansimare contro le sue labbra come se fosse un animale. E, proprio per quello, si ritrovò a tirarle ancora di più i capelli raggiungendo l'elastico che li teneva bloccati, lo tirò verso il basso senza preoccuparsi di farle male e sciolse la sua chioma rossa. Tornò a stringere la sua nuca dal basso mentre la sua lingua biforcuta trovava la strada all'interno della bocca di Morgana, unendosi alla sua fino a scambiarsi una seconda promessa.

You let me violate you
You let me desecrate you
You let me penetrate you
You let me complicate you



Edited by Xavier Bertrand - 30/6/2023, 19:16
 
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Mi piace il fuoco che si porta dentro,
mi piace che
lui non mi brucerebbe mai
mi farebbe ardere dentro di sé...

Aveva avuto come l'impressione di riuscire a leggere ognuno dei raccapriccianti desideri che gli avevano attraversato lo sguardo nell'istante in cui gli aveva ricordato di essersi servito del libero arbitrio in maniera oltremodo sconsiderata, come se avesse sentito la necessità di farle capire fino a che punto lo avesse fatto volontariamente; aveva percepito la sua fame, la sua ferocia, la sua alienazione e tutto ciò che le proprie membra erano riuscite a restituirgli, nonostante i tentativi perpetrati dalla propria mente per uscirne meno a pezzi dei propri cristalli, era stato un miscuglio di assuefazione e asservimento capace di farle sembrare appetibile anche il più violento dei destini.
Era stata quella condizione di sovraccarico sensoriale a far dissociare la ragione – che aveva provato, anche disposta a strisciarvi nel mezzo, a riemergere dalle sabbie mobili in cui sembravano essersi trasformate le proprie parole e le proprie convinzioni – dal corpo che, traditore, o forse l'unica parte di sé a comprendere fino in fondo come abbracciare la rovina, in qualche modo, avrebbe significato evitarla, s'era sentito talmente vicino all'immoralità emersa dalle sue iridi da desiderarne gli effetti a prescindere da quanto potessero essere devastanti.
Lo aveva spinto via ma si era resa conto solo quando le sue mani era sembrate capaci di toccarle le vene sottopelle di quanto, in realtà, avesse semplicemente agito alla ricerca di una reazione; una sfida.
Odiami di più. Odiaci di più.
Il dolore che aveva creduto limite della folle dimensione entro la quale avevano trovato loro stessi s'era scoperto essere il prezzo da pagare per non esserne più vittima. Una parte di sé aveva continuato a inveire contro il francese, l'altra a nutrirsi delle conseguenze della sua opposizione. Aveva chiuso le dita in due pugni, s'era conficcata le unghie nei palmi costretti l'uno contro l'altro e la propria frustrata ribellione, che sul momento aveva davvero creduto di poterla trascinare fuori dal caos in cui era stata lei stessa a gettarsi, s'era rivelata essere desiderio di guerra. E quando aveva urlato, quando lui aveva concordato sul fatto che l'atmosfera attorno al loro mondo fosse troppo instabile per sperare davvero che nessuno potesse avvertirla o esserne fatalmente attirato, lo aveva fatto in maniera esasperata.
La guerra era civile.
La risata ch'era seguita alla disperata presa di posizione del proprio cervello, che si era lasciato andare ad assurdità a cui il proprio corpo aveva cercato di rimediare riportandosi vicino, seppur per un brevissimo istante, a quello ch'era l'unico vero luogo in cui sapeva quel conflitto avrebbe perso qualunque significato, era suonata come la più cruda delle parole, la più incedente ma anche la più vera. L'era dolorosamente rimbombata nei timpani: note dall'inferno, colonna sonora del loro vizio, e quando aveva riagganciato il suo sguardo – con il capo costretto all'indietro e la morsa delle sue dita sulla faccia – aveva sentito l'impellente bisogno di danzarvi sopra fino a farsi sanguinare le piante dei piedi.
La propria carne si lamentò, costringendola a digrignare i denti per la pressione pungente alla nuca e la compressione alla mascella, ma il gemito che s'infranse contro le sue labbra, modellate in una curva che la scozzese immaginò stampata sulle proprie, portò con sé sofferenza solo in minima parte; si diffuse attorno a loro, invece, come una nube di malsana estasi.
"Coraggio, Morgana."
La sua voce, il cui tono riverberò dal suo petto al proprio per contatto – facendolo fremere al ritmo degli accenti più marcati della sua cadenza francese –, si mischiò a quella della propria coscienza, asta senza bandiera al centro delle ostilità ancora accese dentro di sé, impedendole di capire per cosa sarebbe stato necessario averne di più; quale delle due fazioni sarebbe stato meglio rappresentare.
C'avrebbe riprovato a far suonare giuste le parole con cui la propria mente aveva precedentemente cercato di colorare quel conflitto dei colori tenui della ragione, glielo avrebbe ridetto se solo lui non avesse divorato ognuna delle parole in formazione sulle proprie labbra.
Forse fu un bene, le evitò di aggiungere che i termini del loro niente non avrebbero potuto farle desiderare d'essere di più.

Le gioie violente hanno violenta fine
e muoiono nel loro trionfo...

Una bandiera cremisi si issò sui cadaveri di coloro che avevano sperato di poter vincere la bramosia col senno.
Si spinse contro di lui, la bocca a modellarsi sulla sua con la smania di un assetato, alla ricerca di qualunque goccia di veleno incastrata tra le pieghe delle sue labbra e se non ne avesse trovate se le sarebbe procurate: gli incisivi a premere sulla carne fino a ferirla, la punta della lingua a trascinarsi lentamente su di essa per raccogliere i frutti del proprio impeto. Ma lo fece solo dopo essersi accertata d'aver privato entrambi d'una quantità tale d'ossigeno da scoraggiare anche il più disperato tentativo della loro ragionevolezza, dopo aver fatto proprio l'affanno della sua brutalità e avergli restituito respiri spezzati dal voluttuoso delirio che le aveva fatto stringere le dita della mano destra al polso che ancora reggeva il proprio mento e quelle della sinistra alle ciocche più lunghe dei suoi capelli.
Due gesti apparentemente discordanti, almeno fin quando – con la lingua intenta a lambire il suo labbro inferiore e lo sguardo fisso nel suo, affinché vedesse l'esigenza oltre la lascivia – non tentò d'esercitare una forza necessaria a spostare la stretta delle sue falangi dal volto su cui si erano serrate al proprio collo.
Ghignò sulla sua bocca con fare schifosamente provocatorio, la consapevolezza di star concedendo potere e un volontario scetticismo nei confronti della sua capacità di prenderselo... di sceglierla fino in fondo, la perdizione.
 
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view post Posted on 6/7/2023, 13:56
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Niente.
Quel niente li avrebbe uccisi, ne era certo. Doveva capire se valesse, o no, la pena morire per quel niente... per lei, con lei. Avrebbe dovuto rimettere in ordine i pezzi della propria vita dopo quella parentesi, ne era più che convinto, ma ancora una volta non era certo di volerlo fare. Fino a quel momento era stato costretto a trattenersi, a nascondere - seppur non totalmente - il suo vero essere, era libero da qualsiasi vincolo e obbligo. Poteva continuare in quel modo, usare Morgana come mezzo per i propri sporchi scopi e al tempo stesso lasciare che fosse lei a farlo. Erano ognuno l'arma dell'altro, entrambi intenzionati a ferirsi in ogni modo possibile marchiando sulla propria pelle quel possesso.
Avrebbe dovuto capirlo da quando si erano avvicinati in campo, da quando lui le aveva fatto quella promessa... suicidarsi, con lei, pur di ottenere qualcosa a cui tutti e due ( forse gli unici ) tenevano davvero. Avrebbe potuto capirlo anche quando lei aveva ribattuto, seppur silenziosamente, a quella promessa facendone a sua volta una. Le aveva fatto la guerra, ad un certo punto, aveva spinto Morgana sull'orlo e poi l'aveva fatta affogare allungandole una mano un attimo prima di trovare la sua fine. Aveva lottato, per lei, ma anche per se stesso. Pur di riavere indietro ciò che lei era capace di dargli aveva fatto di tutto, aveva tramato alle sue spalle mettendole poi un coltello alla gola fino ad averla, totalmente.
Arresa al loro macabro destino non aveva potuto ribellarsi e Bertrand aveva avvertito la sua bocca muoversi sulla propria. L'aveva guardata, da sotto le palpebre socchiuse, stendendo le labbra in un ghigno. Le fece la guerra, ancora una volta, ma questa volta diversamente e in un modo che scoprì essere più piacevole dei precedenti. L'averla sentita gemere gli aveva annebbiato, totalmente, la vista. In quel momento non era più in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato, il bene dal male: riusciva a vedere solo rosso, il colore del sangue nel quale voleva farsi il bagno. Il colore dei capelli di Morgana che ancora teneva stretti nella mano e che tirò, una seconda volta, con prepotenza. Fu lui a gemere nel momento in cui avvertì i denti della Celebrian contro le labbra, il sapore ferroso del proprio sangue e la sua lingua raccoglierlo. Quell'unico gesto portò Xavier a spingersi contro di lei per farle sentire le condizioni della sua sfrontatezza; lo fece, premendosi contro la sua coscia dopo aver portato la mano dai suoi capelli al suo fianco. Lo strinse forte, come nei Sotterranei, volendo lasciarle i segni e farla sanguinare.
Niente.
Aprì gli occhi lasciando la presa sul suo viso, per concessione e non per obbligo, passandosi la lingua sulle labbra appena vide in che punto fosse diretta la mano di Morgana che, provocante come poche, permise a Xavier di trovare la sua gola. Pigramente poggiò la mano sulla sue pelle calda guardando la Celebrian negli occhi riconoscendo, in quello sguardo, la stessa perversione che possedeva lui. Schiavi, entrambi, della perdizione e l'uno dell'altra non si lasciò scappare quella ghiotta occasione e, divorandosela con gli occhi, strinse la mano attorno alla sua gola. Voleva sentire il suo cuore pulsare attraverso le vene sotto le sue dita, voleva vederla annaspare e darle ossigeno. Le tirò indietro la testa premendo sulla sua gola, costringendola ad allontanarsi dal suo viso ma solo per pochi istanti. In quel brevissimo lasso di tempo le confermò di essersi perso, con lei e in lei... in loro. Desiderò vederla ribellarsi a quella stretta, aggrapparsi alla sua mano e chiedere di più o chiedere di lasciarla libera. Raddrizzò la schiena, completamente, indietreggiando di qualche passo trascinando Morgana con lui e, tenendole ancora la mano stretta attorno alla gola pulsante, la riavvicinò sollevandola un po' da terra. Non disse nulla, bastava il suo sguardo a parlare, sguardo che dagli occhi della Celebrian tornò sulle sue labbra. Ancora ansante si avventò su di esse, di nuovo, strappandogliele dalla faccia. La morse, senza porsi il minimo problema circa l'indelicatezza del gesto; voleva farle male, ancora, leccare il risultato di quei gesti e mandarlo giù come se quel veleno potesse essere in realtà una cura. Entrambe le mani si ancorarono al mantello della divisa, privandola di quell'indumento senza alcuna grazia prima di flettere le gambe e afferrare quelle di Morgana da dietro. Si sollevò di scatto e con un movimento deciso fece scontrare i loro corpi, ancora una volta, permettendole di aggrapparsi con le gambe ai suoi fianchi.
Voltandosi camminò fino ad incontrare una vecchia scrivania su cui fece sbattere Morgana, fregandosene del rischio di romperla ( lei o la scrivania? ). A sbattere furono anche le sue mani, sul ripiano in legno, ai lati del corpo della Celebrian. Si sistemò davanti a lei portando poi quelle stesse mani tra le cosce per divaricarle con un movimento deciso, secco, che non ammetteva repliche. Avanzò, facendo cozzare nuovamente i loro corpi, e come un affamato trovò con le labbra il collo di Morgana su cui lasciò più di un morso.
 
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view post Posted on 18/7/2023, 22:30
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Ella distrugge per ricreare


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Qualcosa, in Morgana, aveva insindacabilmente deciso che il tempo per la disperazione cosciente era terminato; così come quello del forzato autocontrollo.
Era successo ancor prima di percepire la sua mano assecondare il movimento che la propria l'aveva invitata a compiere, prima di farsi un'idea estremamente concreta di quanto il desiderio avesse acceso il suo corpo: era stato deciso quando le aveva ghignato sulle labbra e quando la voce del suo abbandono – profondo, roco, quasi soffocato – le aveva fatto sperare credere, solo per un attimo, che nessun altro sarebbe stato capace di costringerlo a tanto. A niente.
Era stata una strana sensazione, a tratti spaventosa, a tratti solenne, ma le aveva fatto sentire il bisogno di spingersi ulteriormente contro di lui, di sapere quanto prepotentemente necessitasse ciò che era palesemente lì per prendersi e ciò che lei, con altrettanta evidenza, era lì per dargli.
Ne aveva percepito l'eco selvaggio tra i capelli, tra le ciocche che le sue dita avevano stretto con tanta foga da far loro credere di non avere altro scopo che attorcigliarvisi, una scossa che le aveva colpito il fianco irradiandosi lungo la pelle a cui le sue falangi s'erano già ancorate una volta per trascinarla dove sarebbe potuto sembrare più un gesto d'amore che di strazio, un fiato a incastrarsi tra le screpolature sulle proprie labbra e a mischiarsi al cremisi che le stesse avevano improvvisamente desiderato possedere come colore naturale, una pressione che la propria gola aveva ritenuto necessaria e logorante allo stesso tempo... come quell'abbraccio che aveva tenuto insieme i propri pezzi e aveva contemporaneamente contribuito a ridurli in briciole.
"Sono qui."
Lo sentì ovunque. Lo vide, ovunque.
Nei propri incubi, in quelli che sarebbero dovuti essere i propri sogni, quelli che sarebbero potuti diventarlo se avessero avuto loro come protagonisti; a prescindere da quanto macabra potesse essere la loro interpretazione. E quanto sfidò le sue dita a toccare con mano quel tormentato desiderio lo fece consapevole che quell'unico gesto avrebbe permesso a entrambi di riconoscersi dove altri non erano stati in grado di fare; dove non avrebbero mai avuto timore di confessarsi le loro pene, dove non le avrebbero considerate debolezze ma vanto.
Quella folle lettura della situazione la portò a schiudere le labbra non appena sentì le sue dita stringersi al proprio collo, non per racimolare aria ma per sorridere; una curva che, a vederla riflessa nella burrasca racchiusa nei suoi occhi, le ricordò quella che lo Specchio delle Brame le aveva restituito quando vi si era approcciata con le mani sporche di sangue ancor prima di scoprire fino a che punto lo fossero realmente.
Soddisfazione, frenesia, esigenza. Fu tutto ciò che gli trasmise quando la propria mano destra scivolò verso il suo polso e anziché stringerlo, una ribellione superflua dato che lo aveva condotto proprio dove voleva, lo carezzò con i polpastrelli, lentamente, tracciando ognuna delle vene in rilievo a farle da monile. Una presa che si fece più salda solo quando si sentì sospingere all'indietro, mostrando, quindi, il proprio disappunto in merito a quell'improvvisa lontananza; fu allora, solo allora, che percepì l'effettiva carenza di ossigeno, quello che aveva scoperto essere in grado di respirare tramite lui.
Le carezze divennero graffi, il sorriso si trasformò in cruccio e restò tale sin quando lo sguardo che le rivolse non sembrò capace di strapparle il cuore a morsi e risputarglielo nel petto alleggerito di qualunque cosa, fino a quel momento, gli avesse impedito di battere come avrebbe dovuto. Che fu un po' come si sentì lei quando, poco prima di tornare a respirare dalle sue labbra, si sentì mancare il terreno sotto i piedi.
Recuperò fiato dal suo, ansimandogli nella bocca, tra i denti che torturarono la propria com'era successo poco prima con la sua, e quando percepì la sua lingua muoversi per bere da sé vi fece scontrare prontamente la propria, catturandola tra le labbra, prima, e tra gli incisivi subito dopo. Le proprie mani, a quel punto, si mossero insieme alle sue e il mantello della propria divisa cadde a terra accompagnato non soltanto dal lievissimo tonfo sordo della stoffa ad ammassarsi ai propri piedi ma anche dallo strappo del tessuto di quella di lui: la Capitana aveva agganciato il collo della sua maglia strattonandolo violentemente verso il basso.
Si strinse a lui, quando la sollevò da terra, e il ritmo incostante all'interno dei loro petti parve uniformarsi com'era successo quando, con la fronte premuta contro la propria, l'abbandono aveva avuto il sapore della calma – per quanto la loro potesse esserla – per la prima volta.
Le gambe si strinsero alla sua vita, le dita si mossero freneticamente, dopo aver costretto il suo mantello sul pavimento insieme al proprio, nel tentativo di raccogliere quanto più tessuto possibile per liberare la sua schiena dal basso e finirono per infilarsi sotto la stoffa nello stesso istante in cui lei cozzò contro una superficie piana che non ebbe alcun interesse a riconoscere, vi trascinarono le unghie non appena le sue labbra furono sul proprio collo e Morgana sentì il bisogno d'esporlo maggiormente per permettere loro di vagarvi con più libertà.
Le proprie mani tornarono a tormentare le cuciture già saltate del collo della sua maglia, ne strattonarono la stoffa in direzioni opposte affinché potesse scivolargli lungo il torace e, nel frattempo, i propri talloni fecero pressione al fondo della sua schiena per diminuire ulteriormente la distanza tra i loro corpi, volenterosa di fargli sentire attraverso il tessuto la propria eccitazione e tornare a bearsi della sua. Forse maledisse il suo nome, sussurrandolo rabbiosamente, e lo fece quando le falangi della propria mano sinistra si strinsero alle ciocche color cioccolato sulla sua nuca per costringere il suo respiro a infrangersi sulla propria gola fin quando non fosse stato obbligato a strapparne la carne per cercarvi ossigeno all'interno.
 
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view post Posted on 12/8/2023, 15:01
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D I R T Y H A N D S

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Non era mai stato bravo ad usare la ragione, ci aveva provato diverse volte a non farsi guidare dall'istinto e dalle passioni. Aveva fallito miseramente e, per un lungo periodo della sua vita, aveva vissuto infelicemente comportandosi come altri desideravano e non guadagnando assolutamente nulla se non un senso di inadeguatezza. Poi un giorno l'aveva fatto, si era staccato dalle severe regole della famiglia Bertrand ( da suo padre ) e da quel momento erano passati anni, anni in cui a stento riusciva a riconoscersi allo specchio eppure sentiva di aver finalmente trovato un senso... seppur sbagliato, malato.
Lo stesso senso che riuscì a trovare sulle labbra di Morgana, contro quel corpo caldo e bisognoso di attenzioni, le stesse che scoprì di desiderare lui. Avvertì il respiro diventare più pesante ed il fiato morirgli in gola ma non gli interessava. Ricercare ossigeno dall'aria non era, in quel momento, la sua principale fonte di interesse. Aveva altri modi per respirare, per nutrirsi e Morgana non faceva altro che servirglieli su un piatto d'argento. Lo fece, si nutrì di quella passione che esplose in maniera prepotente all'interno di quella stanza che mai aveva visitato. Un sentimento folle, totalmente malato e velenoso, qualcosa che avrebbe potuto trovare solo in lei, su di lei, su quelle labbra che desiderò baciare ancora e strappare. Un gemito strozzato si infranse contro quella morbidezza macchiata di rosso, la punta della sua lingua le accarezzò con voracità e allo stesso modo tirò quello inferiore verso il basso; con gli occhi socchiusi la guardò dall'alto, la punta del naso si scontrò con quella della Celebrian e il suo viso virò per riservare lo stesso trattamento alla mascella, nuovamente lungo la gola, prima di staccarsi di colpo e osservare ciò che lei aveva fatto.
L'aveva sentito il tessuto strapparsi, quelle mani piccole ma per nulla delicate fare a pezzi qualcosa che ostacolava il loro folle desiderio di unirsi, di morire e rinascere, solo per farsi nuovamente a pezzi e ricominciare. La pressione dei suoi talloni aveva fatto cozzare i loro copri, le parti più sensibili a quella voglia che entrambi non riuscivano più a tenere a bada. Si era spinto verso di lei, tirandosi indietro solo per poter avanzare e scontrarsi con lei, tra le sue gambe. Il suo corpo bruciava e non solo di bramosia, ma a causa dei graffi che lei non aveva perso tempo a lasciargli sul corpo. Quello stesso corpo che ardeva per lei, voglioso e assetato, voleva insinuarsi dentro di lei e trascinarla alla fine del barato. La divisa, la cui parte superiore era ridotta a un mero ricordo, gli ricadde lungo i fianchi lasciandogli il petto completamente scoperto e l'addome parzialmente coperto. Bertrand osservò il risultato di quella furia, di quella cieca rabbia e proibita passione: le sue labbra si stesero in un ghigno e la lingua si mosse lenta sulle labbra carnose, inumidendole. Le rimase distante, ancora qualche secondo, prima di scoprire anche quella parte di addome ancora nascosta al suo sguardo. E non ci fu bisogno di chiedere, sapeva perfettamente che quella vista avrebbe solo aumentato il suo desiderio. Avanzò nuovamente verso di lei, le mani presero il viso della Capitana e le labbra si unirono ancora ricercando immediatamente la lingua di colei che era la sua nemica e, al tempo stesso, compagna in quello che era il loro personale inferno e condanna. Furono le mani di Xavier, questa volta, a vagare sul corpo della Celebrian e a raggiungere il retro delle sue gambe, le sollevò maggiormente lasciando che tornarono ad agganciarsi ai suoi fianchi. Inclinò il busto in avanti costringendola a spingere la schiena all'indietro, contro la scrivania malconcia sulla quale l'aveva obbligata a stare. E la sovrastò con il proprio corpo, muovendosi tra le altrui gambe, mentre le mani trovarono aggancio sulla sua divisa; riservò ad essa la stessa sorte della propria, con un unico strattone costrinse le cuciture a cedere, senza alcuna fatica. Con uno schiocco, accompagnato ad un ringhio, lasciò le sue labbra sporche del proprio veleno, raggiunse la sua gola e desiderò affondarci i denti. Lo fece, ancora, come a strapparle la pelle per bagnarsi la bocca e la gola del suo sangue infetto come il proprio, liquido scarlatto che avrebbe fatto bere anche a lei. Scese sempre di più, raggiungendo parti del corpo che per un lungo periodo aveva solo immaginato di poter vedere. Strappò ancora quel tessuto permettendosi un maggiore accesso, una migliore visuale, vi passò la lingua prima di risalire verso la sua gola e lungo il mento, sulle labbra. Portò una mano sulla coscia di Morgana, nell'interno sinistro, risalendo sempre di più verso l'alto mentre la destra si incastrava tra i capelli rossi della Celebrian. In un attimo di lucidità riuscì a guardarla negli occhi, torturando ogni centimetro di corpo che riusciva a raggiungere, muovendo le dita con irruenza, lasciano trapelare tutto il proprio desiderio... avvertendolo tra le sue gambe, di lei oltre che tra le proprie. Raggiunse l'orlo dei pantaloni e insinuò le dita appena oltre l'elastico, dopo aver tastato con mano lo stesso desiderio intenso e fremente che aveva travolto lui. Scese, scese ancora... ma poi si impose qualcosa. « Vuoi fermarti? » Un attimo, un solo attimo di razionalità, la scelta di lasciare a lei quella decisione. E si sarebbe adeguato anche ad una risposta positiva a quella domanda, lasciando seppur contro voglia quel calore invitante, quel corpo che chiedeva di essere posseduto e divorato.
 
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view post Posted on 26/8/2023, 19:57
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Ella distrugge per ricreare


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Ogni uomo rispettabile ne nasconde un altro dentro di sé.
Uno fatto di istinti, lussuria e violenza.
Quell'uomo non sente ragioni e non si sottomette a nessuna legge.
Solo al desiderio.

P. N.

E s'era quella la vita di un gentiluomo, o di una gentildonna, che speranze poteva avere Morgana, che mai aveva preteso di esserlo, di resistere alla sua prepotenza?
Non l'aveva solo nascosta, la strega fatta d'impeto, brama e ferocia, l'aveva repressa, rifiutata, a volte aveva addirittura tentato di ucciderla – sicuramente aveva sperato che potesse morire con lei –, ma quando aveva trovato la persona il luogo adatto ai suoi lineamenti estremamente spigolosi, la luce capace di metterne il risalto la particolarità e non le imperfezioni – o semplicemente in grado di rendere quest'ultime le prime –, non era più riuscita a fingerne l'inesistenza. Non avrebbe potuto nemmeno volendo, non davanti allo sguardo carico di lussuria con cui Xavier le dava l'impressione di volerle divorare una per una come se non avesse aspettato altro che vederle. O che loro vedessero lui, che si riconoscessero nelle sue.
Lo avevano fatto in ogni roco sospiro a risalirgli dalla gola, un suono che aveva immaginato essere simile al ribollire della lava al centro della Terra – profondo, rovente –, in ogni pressione esercitata dalle sue labbra o dalle sue mani, in ogni sguardo che s'era ritrovata a ricambiare con l'urgenza di assicurarsi che le onde agitate all'interno delle sue iridi non si scontrassero che con i propri, di scogli. Forse era paura, il terrore di tornare a essere cieca come lo era stata per anni.
Non era stata solo la cupidigia a far muovere le proprie dita sulla sua divisa fino a strapparla ma la volontà di recuperare quanto, in passato, s'era stupidamente rifiutata di vedere: oltre il controllo che s'erano imposti, oltre ciò ch'era stata spacciata agli altri come normalità, un invito a far cadere qualunque maschera fosse stato costretto a indossare, a spogliarsi di qualunque menzogna. Non voleva vedere la sua pelle ma la sua carne, lì le proprie unghie erano state desiderose di arrivare, dove pulsava una verità che li rendeva liberi solo se confessata insieme.
Il modo in cui il suo corpo s'era spinto contro il proprio per l'ennesima volta l'era parso esserne conferma, lo aveva fatto con la stessa voracità di un fulmine desideroso di illuminare a giorno un cielo incupito da un temporale in arrivo: si era abbattuto sull'albero della propria ragione attraversandone inesorabilmente il tronco, ne aveva incendiato i rami, accartocciato ogni foglia e il tuono che n'era seguito lo aveva accompagnato nella sua dipartita con un assordante boato.
L'eco di quella resa aveva fatto da sfondo agli istanti durante i quali la scozzese s'era ritrovata semplicemente a guardarlo. Lo aveva visto soppesare le condizioni della sua divisa, forse leggendo in quel gesto il medesimo significato che vi aveva dato lei o forse solo godendo della vista della propria voglia di lui, poi aveva notato la curva beffarda sulle sue labbra e la propria lingua, com'era già successo, aveva tracciato il contorno delle proprie imitandola inconsciamente.
Sapevano di Patchouli e frustrazione.
Allora le proprie mani s'erano di nuovo mosse da sole approfittando di quell'apparente momento di calma, le iridi cerulee della Babbanologa le avevano seguite sino al petto dell'ex-Serpeverde, dove i polpastrelli avevano preso posto come ritrovando impronte digitali che non vi aveva mai lasciato ma ch'era certa in qualche modo avrebbe comunque potuto riconoscere, e durante il lento percorso che avevano intrapreso disegnando la curva del suo pettorale sinistro e scendendo lungo gl'incavi del suo addome. Lo aveva fatto senza incontrare una sola volta il suo sguardo, concentrandosi sulla reazione della sua pelle al proprio tocco, alla propria voglia di vederla contorcersi solo per sé. Un desiderio oltremodo irrazionale, estremamente pericoloso.
Quand'era risalita lo aveva fatto dal centro, l'unghia del proprio indice s'era fatta strada tra la leggera peluria del suo torace e vi si era fermata nel mezzo, all'altezza di un organo su cui probabilmente nessuno dei due era stato istruito a dovere; vi aveva tamburellato contro, forse facendogli intendere di volerlo raggiungere o forse intimandogli di restare al sicuro dov'era, forse immaginandosi a carezzarlo o forse a stringerlo fatalmente tra le dita.
Non aveva avuto il tempo di riflettere su quale vista l'avrebbe soggiogata di più: le sue mani costrinsero i propri occhi a risollevarsi sui suoi e i propri polmoni a riempirsi nuovamente del suo fiato. Morgana attorcigliò la lingua alla sua, sembrò quasi farlo con tutta l'intenzione di privarla di qualunque sapore vi si fosse depositato prima del proprio, e trascinò le mani sulle sue braccia ancorandone i tricipiti per attirarlo a sé come aveva fatto nella landa disseminata di cocci ch'era stato il salotto del numero venti quanto entrambi avevano toccato con mano quelli che componevano i rispettivi lati più oscuri.
Le proprie gambe si strinsero di nuovo ai suoi fianchi e il resto del proprio corpo assecondò i movimenti del suo non solo nel poggiare la schiena alla scrivania su cui sedeva ma anche nella danza provocante con cui il suo bacino si esibì sul proprio e a cui lei, ovviamente, non riuscì a sottrarsi. Si mosse sotto di lui quindi, come la serpe che era, e fu lei a quel punto a incorniciargli il volto con le mani, le labbra schiuse a un soffio da quelle di lui – dalle quali si era momentaneamente allontanata – e un ansimare appena udibile ad abbandonarle per scivolare all'interno delle sue mentre l'azzurro dei propri occhi si scuriva all'ombra burrascosa dei suoi.
Voleva vedere il suo tormento, obbligarlo a nutrirsi del proprio, e lo fece continuando ad ancheggiare contro il mago fin quando una scossa più violenta delle precedenti non la obbligò a farsi sanguinare l'interno della guancia destra stretta tra i propri denti; allora tornò a gemere tra le sue labbra lasciando che la sua lingua si facesse di nuovo scarlatta, che si avvelenasse ancora.
Il rumore che la propria divisa fece tra le sue mani fu quasi impercettibile, quello che aleggiò tra loro poco prima che la sua bocca finisse di nuovo sul proprio collo, invece, le colpì lo stomaco con furia e parve dettare, per un attimo, il ritmo di tutte le proprie funzioni vitali. Il suono con cui la propria pelle sembrò acconsentire alla violenza dei suoi denti scandì sicuramente l'inarcarsi della propria schiena quando la sua lingua li sostituì, una frusta incandescente che parve tracciare il contorno dei pezzi in cui il proprio corpo si sarebbe potuto facilmente frantumare al suo passaggio. Il braccio dominante si distese all'indietro, sulla superficie della scrivania, cercandone il bordo a cui le proprie dita si strinsero quasi esasperate e il sinistro avvolse le sue spalle, o meglio, il retro del suo collo, per costringerlo a respirare ancor più vicino a sé, attraverso i pori della propria pelle persino.
Quando le loro labbra tornarono a modellarsi le une sulle altre ebbe l'impressione di poter saggiare, sulle sue, il gusto amaro di tutto ciò che di tossico avevano raccolto su di sé... mischiato alla sua saliva sembrò meno acre, più sopportabile, come l'inquietudine che li caratterizzava. Non per questo meno irruente, però, come le lingue di fuoco che le sue dita attizzarono scivolando tra le proprie gambe e che si allungarono, di pari passo ai movimenti delle sue mani, facendole dimenare ogni organo interno. Nella controversia di quel momento, nel quale le dita della sua mano destra, stringendosi ai propri capelli, sembravano tenerla ancorata alla realtà e quelle della dominante istigarla a perdere totalmente il contatto con essa, Morgana si sentì sospesa tra due mondi per i quali sarebbe morta volentieri.
Se lui glielo avesse chiesto. Ma solo con lui.
Non fu pronta, invece, a ciò che le chiese davvero. Le proprie orecchie fischiarono, per un momento, e le tempie pulsarono più di quanto non avesse fatto la loro eccitazione sino ad allora. «Non... - Con il petto ancora animato dalla frenesia degli istanti precedenti cercò nel suo sguardo un appiglio qualsiasi.
Non fermarti.
Non chiedermelo.
Ma lo sapevano entrambi quanto la razionalità dell'uno dipendesse dall'altra, cogliere la sua fu fatale e successe come in campo: la fece schiantare a terra.
Non avrebbe saputo quantificare il tempo che le ci volle per formulare una risposta ma il proprio cervello c'impiegò meno d'un istante a immaginarla di nuovo intenta a lanciare cristalli contro le pareti.
Non puoi.
Non vuoi.
Le parole di Sugar le fecero di nuovo visita, le urlarono tutta l'incoerenza di cui era capace di macchiarsi, tutta l'ingratitudine con cui aveva ricambiato la sua amicizia. Il grido con cui Jessica, quel pomeriggio, aveva colorato l'ovale d'una disperazione ben diversa dalla loro si unì tragicamente a esse.
Non va bene per te.
E anche se una parte di sé avrebbe sicuramente lottato fino allo stremo per credere nel contrario il fatto che lui fosse riuscito a ritagliarsi un angolo di senno dove lei non aveva visto che follia la terrorizzò. Ma forse c'era anche del dispiacere, dell'amarezza, nello sguardo che gli rivolse quando le immagini di guerra che si erano susseguite sotto i propri occhi svanirono insieme alla bolla all'interno della quale erano evidentemente state create, quella che lui aveva bucato con due parole.
D'improvviso non fu più la libidine a scuotere i propri muscoli ma il nervosismo. La mano che aveva cominciato a scendere sul suo fianco per raggiungergli i pantaloni si poggiò, ben aperta, nell'incavo della sua spalla destra e lo sospinse all'indietro per rimettersi seduta. - ...avremmo nemmeno dovuto cominciare.»
Non solo quel giorno, probabilmente, per quanto detestasse quel pensiero.
Sospirò, stanca, tornando a poggiare i piedi a terra e trascinandosi le dita tra i capelli in maniera agitata, smise quando ebbe l'impressione che lo stesse ancora facendo lui. Certa che fosse riuscito a leggere tra le linee della propria espressione e dell'esitazione che aveva anticipato la propria risposta non sentì l'esigenza di dire altro, a riguardo, forse semplicemente perché non vedeva l'ora di mettere della distanza tra loro... di farsi una doccia capace di silenziare lo stridulo lamento con cui la propria pelle sembrava richiamarlo a sé. Si rivestì dopo aver eseguito un rapido Reparo sulla divisa e poi arretrò d'un passo verso la porta ma senza dargli le spalle, affatto volenterosa di scoprire se desiderasse ancora che i propri capelli gli si attorcigliassero al polso.
«Non deve più succedere. - Con il capo accennò all'esterno, riferendosi a ciò ch'era successo in campo. Solo a quello? - Vedi di risolvere questa situazione per... - Te. Me. Noi. - ...la squadra.» Si schiarì la voce facendo ciò che l'era sempre riuscito meglio: fingere che non fosse successo niente. Rigirò la chiave nella toppa, attendendo che si avvicinasse per aprirla, e l'occhiata che gli rivolse fu molto simile a quella preghiera ch'era aleggiata nell'aria, angosciata, al numero venti.
 
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8 replies since 29/6/2023, 21:41   356 views
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