Ogni uomo rispettabile ne nasconde un altro dentro di sé.
Uno fatto di istinti, lussuria e violenza.
Quell'uomo non sente ragioni e non si sottomette a nessuna legge.
Solo al desiderio.
P. N.
E s'era quella la vita di un gentiluomo, o di una gentildonna, che speranze poteva avere Morgana, che mai aveva preteso di esserlo, di resistere alla sua prepotenza?
Non l'aveva solo nascosta, la strega fatta d'impeto, brama e ferocia, l'aveva repressa, rifiutata, a volte aveva addirittura tentato di ucciderla – sicuramente aveva sperato che potesse morire con
lei –, ma quando aveva trovato
la persona il luogo adatto ai suoi lineamenti estremamente spigolosi, la luce capace di metterne il risalto la particolarità e non le imperfezioni – o semplicemente in grado di rendere quest'ultime le prime –, non era più riuscita a fingerne l'inesistenza. Non avrebbe potuto nemmeno volendo, non davanti allo sguardo carico di lussuria con cui Xavier le dava l'impressione di volerle divorare una per una come se non avesse aspettato altro che vederle. O che loro
vedessero lui, che si riconoscessero nelle sue.
Lo avevano fatto in ogni roco sospiro a risalirgli dalla gola, un suono che aveva immaginato essere simile al ribollire della lava al centro della Terra – profondo, rovente –, in ogni pressione esercitata dalle sue labbra o dalle sue mani, in ogni sguardo che s'era ritrovata a ricambiare con l'urgenza di assicurarsi che le onde agitate all'interno delle sue iridi non si scontrassero che con i propri, di scogli. Forse era paura, il terrore di tornare a essere cieca come lo era stata per anni.
Non era stata solo la cupidigia a far muovere le proprie dita sulla sua divisa fino a strapparla ma la volontà di recuperare quanto, in passato, s'era stupidamente rifiutata di vedere: oltre il controllo che s'erano imposti, oltre ciò ch'era stata spacciata agli altri come normalità, un invito a far cadere qualunque maschera fosse stato costretto a indossare, a spogliarsi di qualunque menzogna. Non voleva vedere la sua pelle ma la sua carne, lì le proprie unghie erano state desiderose di arrivare, dove pulsava una verità che li rendeva liberi solo se confessata insieme.
Il modo in cui il suo corpo s'era spinto contro il proprio per l'ennesima volta l'era parso esserne conferma, lo aveva fatto con la stessa voracità di un fulmine desideroso di illuminare a giorno un cielo incupito da un temporale in arrivo: si era abbattuto sull'albero della propria ragione attraversandone inesorabilmente il tronco, ne aveva incendiato i rami, accartocciato ogni foglia e il tuono che n'era seguito lo aveva accompagnato nella sua dipartita con un assordante boato.
L'eco di quella resa aveva fatto da sfondo agli istanti durante i quali la scozzese s'era ritrovata semplicemente a guardarlo. Lo aveva visto soppesare le condizioni della sua divisa, forse leggendo in quel gesto il medesimo significato che vi aveva dato lei o forse solo godendo della vista della propria voglia di lui, poi aveva notato la curva beffarda sulle sue labbra e la propria lingua, com'era già successo, aveva tracciato il contorno delle proprie imitandola inconsciamente.
Sapevano di
Patchouli e frustrazione.
Allora le proprie mani s'erano di nuovo mosse da sole approfittando di quell'apparente momento di calma, le iridi cerulee della Babbanologa le avevano seguite sino al petto dell'ex-Serpeverde, dove i polpastrelli avevano preso posto come ritrovando impronte digitali che non vi aveva mai lasciato ma ch'era certa in qualche modo avrebbe comunque potuto riconoscere, e durante il lento percorso che avevano intrapreso disegnando la curva del suo pettorale sinistro e scendendo lungo gl'incavi del suo addome. Lo aveva fatto senza incontrare una sola volta il suo sguardo, concentrandosi sulla reazione della sua pelle al proprio tocco, alla propria voglia di vederla contorcersi solo per sé. Un desiderio oltremodo irrazionale, estremamente pericoloso.
Quand'era risalita lo aveva fatto dal centro, l'unghia del proprio indice s'era fatta strada tra la leggera peluria del suo torace e vi si era fermata nel mezzo, all'altezza di un organo su cui probabilmente nessuno dei due era stato istruito a dovere; vi aveva tamburellato contro, forse facendogli intendere di volerlo raggiungere o forse intimandogli di restare al sicuro dov'era, forse immaginandosi a carezzarlo o forse a stringerlo fatalmente tra le dita.
Non aveva avuto il tempo di riflettere su quale vista l'avrebbe soggiogata di più: le sue mani costrinsero i propri occhi a risollevarsi sui suoi e i propri polmoni a riempirsi nuovamente del suo fiato. Morgana attorcigliò la lingua alla sua,
sembrò quasi farlo con tutta l'intenzione di privarla di qualunque sapore vi si fosse depositato prima del proprio, e trascinò le mani sulle sue braccia ancorandone i tricipiti per attirarlo a sé come aveva fatto nella landa disseminata di cocci ch'era stato il salotto del numero venti quanto entrambi avevano toccato con mano quelli che componevano i rispettivi lati più oscuri.
Le proprie gambe si strinsero di nuovo ai suoi fianchi e il resto del proprio corpo assecondò i movimenti del suo non solo nel poggiare la schiena alla scrivania su cui sedeva ma anche nella danza provocante con cui il suo bacino si esibì sul proprio e a cui lei, ovviamente, non riuscì a sottrarsi. Si mosse sotto di lui quindi, come la serpe che era, e fu lei a quel punto a incorniciargli il volto con le mani, le labbra schiuse a un soffio da quelle di lui – dalle quali si era momentaneamente allontanata – e un ansimare appena udibile ad abbandonarle per scivolare all'interno delle sue mentre l'azzurro dei propri occhi si scuriva all'ombra burrascosa dei suoi.
Voleva
vedere il suo tormento, obbligarlo a nutrirsi del proprio, e lo fece continuando ad ancheggiare contro il mago fin quando una scossa più violenta delle precedenti non la obbligò a farsi sanguinare l'interno della guancia destra stretta tra i propri denti; allora tornò a gemere tra le sue labbra lasciando che la sua lingua si facesse di nuovo scarlatta, che si avvelenasse ancora.
Il rumore che la propria divisa fece tra le sue mani fu quasi impercettibile, quello che aleggiò tra loro poco prima che la sua bocca finisse di nuovo sul proprio collo, invece, le colpì lo stomaco con furia e parve dettare, per un attimo, il ritmo di tutte le proprie funzioni vitali. Il suono con cui la propria pelle sembrò acconsentire alla violenza dei suoi denti scandì sicuramente l'inarcarsi della propria schiena quando la sua lingua li sostituì, una frusta incandescente che parve tracciare il contorno dei pezzi in cui il proprio corpo si sarebbe potuto facilmente frantumare al suo passaggio. Il braccio dominante si distese all'indietro, sulla superficie della scrivania, cercandone il bordo a cui le proprie dita si strinsero quasi esasperate e il sinistro avvolse le sue spalle, o meglio, il retro del suo collo, per costringerlo a respirare ancor più vicino a sé, attraverso i pori della propria pelle persino.
Quando le loro labbra tornarono a modellarsi le une sulle altre ebbe l'impressione di poter saggiare, sulle sue, il gusto amaro di tutto ciò che di tossico avevano raccolto su di sé... mischiato alla sua saliva sembrò meno acre, più sopportabile, come l'inquietudine che li caratterizzava. Non per questo meno irruente, però, come le lingue di fuoco che le sue dita attizzarono scivolando tra le proprie gambe e che si allungarono, di pari passo ai movimenti delle sue mani, facendole dimenare ogni organo interno. Nella controversia di quel momento, nel quale le dita della sua mano destra, stringendosi ai propri capelli, sembravano tenerla ancorata alla realtà e quelle della dominante istigarla a perdere totalmente il contatto con essa, Morgana si sentì sospesa tra due mondi per i quali sarebbe morta volentieri.
Se lui glielo avesse chiesto. Ma solo con lui.Non fu pronta, invece, a ciò che le chiese davvero. Le proprie orecchie fischiarono, per un momento, e le tempie pulsarono più di quanto non avesse fatto la loro eccitazione sino ad allora.
«Non... - Con il petto ancora animato dalla frenesia degli istanti precedenti cercò nel suo sguardo un appiglio qualsiasi.
Non
fermarti.Non
chiedermelo.Ma lo sapevano entrambi quanto la razionalità dell'uno dipendesse dall'altra, cogliere la sua fu fatale e successe come in campo: la fece schiantare a terra.
Non avrebbe saputo quantificare il tempo che le ci volle per formulare una risposta ma il proprio cervello c'impiegò meno d'un istante a immaginarla di nuovo intenta a lanciare cristalli contro le pareti.
Non
puoi.Non
vuoi.Le parole di Sugar le fecero di nuovo visita, le urlarono tutta l'incoerenza di cui era capace di macchiarsi, tutta l'ingratitudine con cui aveva ricambiato la sua amicizia. Il grido con cui Jessica, quel pomeriggio, aveva colorato l'ovale d'una disperazione ben diversa dalla loro si unì tragicamente a esse.
Non
va bene per te.E anche se una parte di sé avrebbe sicuramente lottato fino allo stremo per credere nel contrario il fatto che lui fosse riuscito a ritagliarsi un angolo di senno dove lei non aveva visto che follia la terrorizzò. Ma forse c'era anche del dispiacere, dell'amarezza, nello sguardo che gli rivolse quando le immagini di guerra che si erano susseguite sotto i propri occhi svanirono insieme alla bolla all'interno della quale erano evidentemente state create, quella che lui aveva bucato con due parole.
D'improvviso non fu più la libidine a scuotere i propri muscoli ma il nervosismo. La mano che aveva cominciato a scendere sul suo fianco per raggiungergli i pantaloni si poggiò, ben aperta, nell'incavo della sua spalla destra e lo sospinse all'indietro per rimettersi seduta. -
...avremmo nemmeno dovuto cominciare.»Non solo quel giorno, probabilmente, per quanto detestasse quel pensiero.
Sospirò, stanca, tornando a poggiare i piedi a terra e trascinandosi le dita tra i capelli in maniera agitata, smise quando ebbe l'impressione che lo stesse ancora facendo lui. Certa che fosse riuscito a leggere tra le linee della propria espressione e dell'esitazione che aveva anticipato la propria risposta non sentì l'esigenza di dire altro, a riguardo, forse semplicemente perché non vedeva l'ora di mettere della distanza tra loro... di farsi una doccia capace di silenziare lo stridulo lamento con cui la propria pelle sembrava richiamarlo a sé. Si rivestì dopo aver eseguito un rapido
Reparo sulla divisa e poi arretrò d'un passo verso la porta ma senza dargli le spalle, affatto volenterosa di scoprire se desiderasse ancora che i propri capelli gli si attorcigliassero al polso.
«Non deve più succedere. - Con il capo accennò all'esterno, riferendosi a ciò ch'era successo in campo.
Solo a quello? -
Vedi di risolvere questa situazione per... - Te.
Me. Noi. -
...la squadra.» Si schiarì la voce facendo ciò che l'era sempre riuscito meglio: fingere che non fosse successo
niente. Rigirò la chiave nella toppa, attendendo che si avvicinasse per aprirla, e l'occhiata che gli rivolse fu molto simile a quella preghiera ch'era aleggiata nell'aria, angosciata, al numero venti.