| Desmond era venuto in quel posto per avere un attimo di pace. Si era accorto che quando metteva piede nel Crogiolo, aveva la capacità, seppur per poco tempo, di lasciare i suoi demoni sulla soglia dei gradini che portavano a quello spazio che poteva considerare la sua comfort-zone. Era lì per fermarsi un attimo, per respirare quell’aria pulita che non aveva la capacità, purtroppo, di dissipare il fumo nero che aleggiava dentro di lui, ma almeno era un breve periodo di tempo, in quel luogo, poteva definirsi una persona normale. Quando era uscito dal Castello e aveva messo piede da Scribbulus, non avrebbe mai immaginato di avere un confronto, il secondo, con la professoressa di Babbanologia. Durante quell’incontro in classe si erano detti e non detti molte cose, al Corvonero ci erano voluti giorni per metabolizzare il tutto, e vederla di nuovo in uno spazio che, un po’ egoisticamente, considerava suo, gli faceva provare una strana morsa allo stomaco che non sapeva identificare. Era entrato nel suo mondo, nella sua aula di Babbanologia, lo aveva fatto cercando di muoversi piano e in silenzio, invece lei era entrata qui e lo aveva fatto come un uragano, scuotendo se stesso in modi che non sapeva spiegare. Non sapeva perché, ma una parte di sé gli diceva di stare lontano dalla Celebrian, gli consigliava di mantenere il rapporto freddo e distante, come quello di un alunno con la sua professoressa, ma quella parte era troppo piccola per essere ascoltata. Quindi Desmond aveva lasciato il suo posto al tavolo, lasciando lì tutto il materiale che avrebbe usato per il suo disegno, dopo la fine della lettura del libro, per sedersi di fronte a lei senza pensare che questo, forse, non sarebbe stato consono. “E come mi immaginava?" gli chiese. Si fece quella domanda nella testa, chiedendosi se doveva mentire e portare rispetto per il rapporto professoressa/alunno o dire la verità esponendo, senza alcun filtro, il suo pensiero. C’era una linea di confine, la immaginava di fronte a lui e che divideva a metà il tavolo a cui erano seduti, non sapeva cosa sarebbe accaduto se mai avesse oltrepassato quella linea, ma Desmond era oramai conosciuto per non saper rispettare alcune regole, quindi decise che avrebbe detto la verità alla professoressa, rischiando sicuramente qualche sguardo d’ira, o peggio. Mi chiede come la immagino? Vuole sapere la verità? Non le diede tempo di rispondere. Certo che vuole sapere la verità, che domanda sciocca. Eppure gli venne qualche sospetto che la professoressa avrebbe apprezzato anche una bella bugia. La immaginovo sola, nel suo ufficio, contornata da cristalli di ogni tipo nella speranza che il loro potere faccia davvero effetto su di lei. Immagino qualche cristallo di Ematite, ottima per l’ansia derivata da pensieri ossessivi, immaginavo della selenite, che serve per la ricerca della serenità e infine l’immancabile turchese, sparso un po’ dappertutto. Immaginavo ancora il suo ufficio pieno d’incenso, che aiuta a purificare le pietre da tutta la negatività a cui sono esposti quotidianamente. E comunque vorrei dirle che mi sono spiegato male, io intendevo che non immaginavo che lei venisse qui, in questo luogo, ma no che non fosse un’artista. Immaginavo solo che i suoi disegni desiderasse farli rimanere privati, timorosa che essi potessero rivelare qualcosa di lei, che qualcuno, vedendoli, riuscisse a carpirne davvero il significato. Gli artisti sono molto gelosi dei loro lavori, lo capisco, lo sono anche io con i miei scritti. In fondo lui non amava far leggere i suoi scritti, nessuno lo aveva fatto fino ad ora, erano troppo privati, a differenza dei disegni che, per quanto fossero parte di lui, non riuscivano ancora a mostrare il suo vero io, per fortuna. La immaginavo scervellarsi per la prossima lezione di Babbanologia, immaginavo correggere i nostri compiti con gli occhi al cielo per errori davvero banali e immaginavo che alla fine di tutto questo lei trovi pace nel silenzio più assoluto, anche se il silenzio è sempre troppo rischioso perché si sentono i nostri pensieri ad alta voce. Aveva parlato di lei o di sé stesso? Non lo sapeva, per un momento sembrava che le loro due figure si mischiassero e diventassero qualcosa di indefinito. Aveva parlato troppo? Era certo di averlo fatto, ma non era riuscito a trattenere i pensieri, perché dopo quel primo incontro aveva iniziato a pensare alla professoressa e a tentare di capirla, con tutte le difficoltà che la situazione comportava. Ma questa è solo la mia fervida immaginazione. Sicuramente mi sbaglio. No, non pensava di aver sbagliato ma in fondo lui era solo uno studente, e provocare l’ira di una professoressa con la sua lingua troppo lunga, non era affatto una cosa da fare, ma non era riuscito a resistere e aveva tirato fuori quel groppo che aveva in gola senza nessuna remora. Intanto la professoressa aveva iniziato a rispondere alle sue domande riguardo al protagonista del libro, lo stava facendo lasciando che le dita seguissero una linea sul foglio, sostituendo il carboncino che si era appena spezzato. Il Corvonero in silenzio ascoltò ciò che pensava, i suoi dubbi, le sue domande e nella sua testa si stavano palesando subito le risposte ma anche altre mille domande riguardanti lei. Che si identificasse con il mostro? L’aspetto fisico notevole della professoressa, non mascherava un animo tormentato. Se n’era accorto dagli occhi che, nonostante fossero chiari e luminosi, avevano perennemente un velo di tristezza che cambiava quasi i connotati alla donna. Ora toccava a lui rispondere ai suoi quesiti, e lo fece nello stesso modo in cui lei lo aveva fatto. Passò quella linea di confine immaginaria, afferrando il foglio che poco istanti prima lei aveva avuto fra le mani. Lo girò per averlo di fronte nella direzione giusta e iniziò a lisciare con le dita nel punto della le unghie erano state troppo impetuose e avevano provocato dei tagli. Aggiustò il foglio, alla bene e meglio, per poi afferrare il carboncino spezzato e iniziare a disegnare linee più nette sulle sfumature che lei aveva appena fatto. Non penso che Dracula cerchi approvazione, ha ragione non vuole essere giustifcato perché sa quello che è, per lui è la normalità togliere la vita per proseguire la sua ma ci vedo comunque tanta malinconia in un personaggio come il suo. Non vuole l’approvazione di tutti, ma magari cerca disperatamente quella persona che lo accetti per quello che è, senza dover per forza cambiare o adattarsi. Lei aveva creato le sfumature, lui stava creando le linee nette per completare quella strana Aurora boreale e sugli strappi disegnava senza cambiare rotta, come se il foglio fosse completamente intatto. Gli dei dell’Ogdoade, erano otto divinità egizie, quattro maschi e quattro femmine, esse esistevano prima di tutte, in un caos che sembrava eterno. Ma le otto divinità, anche se diverse fra loro, riuscivano ad essere in armonia e in simbiosi. Nun e Nunet erano le acque primordiali, Kuk e Keket, l’oscurità, Huh ed Huhet, l’illimitatezza e Amon ed Amonet, l’invisibilità. Insieme crearono cose stupende, l’una non poteva vivere senza l’altro e viceversa e solo quando erano insieme riuscivano a consentire al sole di sorgere proteggendolo ogni volta che esso calava. Completò il disegno e lasciò il carboncino ritrovandosi le dita sporche di nero, ma per lui non era un problema. Voltò il foglio e lo fece tornare al suo posto, di fronte alla professoressa. Questo per dire che, per gli dei o per i mostri o per i semplici esseri umani, esiste la metà della mela. Purtroppo è raro trovarla, non abbiamo voglia di impegnarci, è più facile abbandonarsi alla solitudine o accontentarsi. Solo in quel momento alzò gli occhi verso di lei, fino ad ora erano stati fermi, quasi bloccati, sul loro disegno.
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