| Talvolta si è capaci di navigare altrove senza spostarsi di troppo ed era ciò che stava accadendo nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure... Mentre due pergamene già venivano colorate dall’inchiostro utilizzato dalla scozzese per riportare ogni parola,ogni intervento che aleggiava nella stanza,qualcosa altrove si stava muovendo. Non era scontato che ,trattando di Dissennatori,si citasse il Patronus in grado di contrastarlo. L’argomento macabro era affiancato dalla possibilità di evocare un incanto costituito ,principalmente,da positività e contentezza. Alla base dell’incantesimo,infatti, vi era la focalizzazione su un ricordo felice...Non uno banale,di scarsa intensità: il ricordo in grado di suscitare tuttora emozioni forti. Benedetta posò l’occorrente necessario e rilassò il proprio corpo,partendo dalle spalle che tirò indietro. Cominciò a respirare lentamente e socchiuse gli occhi per qualche istante affinché potesse aver chiaro lo scorrere della propria vita. Un percorso durato anni,ricco di colori in cui si incastravano momenti deleteri a quelli sereni,felici: fra quest ultimi avrebbe dovuto trovare la chiave del proprio incanto. Cosa era un ricordo intensamente gioioso? Il Patronus rappresentava la nutrizione offerta al dissenatore,dunque doveva contenere speranza,desiderio di vita,gioia e ,perché no, ilarità. Il cimelio che avrebbe deciso di prendere in prestito ,dal cassetto della memoria, doveva seguire queste caratteristiche. In primis,pensò alla prima volta sulla sua nimbus millecinquecento. Era confusa,timorosa e insicurissima: non sperava neanche di riuscire a mantenere l’equilibrio per più di due minuti. Nonostante la partenza svantaggiata,aveva superato sufficientemente l’allenamento tanto da aggiudicarsi il posto in squadra. Quella rievocazione,però,non era abbastanza. Era frivola,scontata: non era sua. Chiunque avrebbe potuto considerarlo come momento felice,ma chi poteva definirlo il più intenso? Si incamminò nel cammino tortuoso dei graffiti dipinti nel passato dalla vita trascorsa e le sembrò di non ritrovare nulla: dove si celava il suo tesoro,la sua chiave? Probabilmente avrebbe dovuto muoversi in avanti... Giunse al momento in cui venne nominata Prefetta di Corvonero. Ricevette il gufo dal preside e a stento concepì quella missiva come reale... Rammentò di aver saltato,di averlo comunicato all’erede di Salazar il pomeriggio seguente e di aver scherzato insieme. Fu una felicità immensa perchè rappresentava il punto di partenza che non aspettava. Le sue delusioni,i suoi fallimenti l’avevano trasportata lì... La scozzese aprì gli occhi,volse lo sguardo fiero verso la spilla,ma neanche il ricordo dell’ottenimento di quel riconoscimento era abbastanza da poter alimentare un Patronus che avrebbe dovuto,a sua volta,sacrificarsi per essere cibo di un essere deputato principalmente alla morte. Ripropose l’esercizio: stavolta avrebbe osservato minuziosamente le smussature di quegli angoli dove si celava il patrimonio umano e sentimentale della corvonero... Dovette correre per afferrarlo poiché sfrecciava con la sua bicicletta rossa a cui era ben adeso,ancora,un fiocco blu premunizione del colore che poi sarebbe appartenuto alla sua casata. Il sorriso del padre,mentre le raccomandava prudenza,sembrò scaldarla dal freddo del castello. Concentrandosi attentamente poteva rammentare il profumo di gelsomino del suo giardino misto a quello della figura genitoriale,decisamente pungente tanto da provocare uno starnuto alla piccola bambina,nonché alla Weapon Junior. Manson indossava una camicia bianca,ma ciò che spiccava realmente era la cravatta blu con dei pupazzi di neve raffigurati al di sopra: era il regalo di compleanno che gli aveva scelto la figlia. Trasmetteva la sua creatività e sperava che fosse ben accetta... La bambina pedalava,pedalava,pedalava e pedalava senza sosta trascrivendo una circonferenza lineare tanto che il padre la nominò ‘piccolo architetto’. La giovane e ,oramai,cresciuta strega accennò un sorriso,senza distaccarsi da quel ricordo. Lo teneva stretta a sè gelosamente ornato da ilarità e momenti di paura,principalmente della madre che ignorava la capacità innaturale della figlia nel ciclismo. Benedetta Weapon aveva sette anni e godeva di una felicità che in pochi momenti della vita si ha la possibilità di gustare. Scese dopo quasi due ore dal mezzo regalatole e corse ad abbracciare i suoi genitori. La barba del padre che stava crescendo le graffiava le guance in modo solleticante,mentre il rossetto rosa pesca della madre le sporcò il vestitino verde acqua con le balze che aveva deciso autonomamente di indossare. Se avesse potuto si sarebbe rifugiata lì,nello spazio vuoto lasciato da entrambi i volti dei suoi genitori. Le loro mani che la stringevano forte e lei che cercava di divincolarsi per poter giocare ad ‘prendi la strega’. Quel pomeriggio ricordò di aver strappato le calze e che la madre fece lo stesso per tenerle compagnia,per non farla sentire sola al mondo. I ‘ti vogliamo bene’ più volte sussurrati li percepiva ancora,lontanamente e ne assaporava il tono mellifluo. La studentessa era pronta per conferire con la classe e con la docente. Aveva scovato la chiave per l’utilizzo dell’incanto Patronus. Alzò la mano e quando le fu concesso di parlare,si espose. “Benedetta Weapon,Corvonero. Professoressa Riddle il mio ricordo tende le sue radici molto lontano... Avevo precisamente sette anni e i miei genitori mi regalarono una bici. Mi rendo conto di quanto possa essere scontato e banale,ma il contesto che si creò non lo fu affatto. Rammento gli odori,i colori,i vestiti e persino la temperatura di quel giorno. Ero insieme ai miei genitori,mentre mi donavano amore ed affetto. Quel pomeriggio rappresenta per me la congiunzione fra l’essere amati ed amare incondizionatamente,ovvero una felicità intensa. Il profumo pungente di mio padre si confondeva con quello dei fiori del nostro giardino,mentre l’eleganza di mia madre si disperdeva tra l’ilarità del vestiario di mio padre Manson. I loro sorrisi erano caldi come l’abbraccio in cui mi stringevano e li percepisco ancora,se chiudo gli occhi. Potrei sentire le loro voci mentre pronunciano il mio soprannome ‘Betty’ con tono di rimprovero misto a dolcezza,ma anche sicurezza. È il ricordo migliore che ho,il più felice perché mi riporta a casa,con le persone che amo di più al mondo.” concluse il suo discorso tentando di non lasciar trapelare il velo di imbarazzo nel raccontare un episodio tanto personale... In realtà,durò poco in quanto risultò essere rigenerante parlare di qualcosa di non macrabro in una situazione storica e sociale complessa. Il morbo Bianco aveva aggravato la loro quotidianità,privandoli di qualsiasi bene materiale,ma non l’amore. Quello era l’unica cosa alla quale avrebbero potuto aggrapparsi e alla quale,in quel preciso istante,la scozzese,stava facendo riferimento per non crollare. Non cedeva facilmente ai sentimentalismi,ma se avesse voluto dissuadere un dissennatore poteva far riferimento solo a quello.
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