Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Lezione Quarta Pupilla - Aryanne Wolfe

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view post Posted on 6/1/2017, 07:43
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O Z Y M A N D I A S

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La Preside Kedavra entrò nell'Aula di Aritmanzia, alzò le tende alle finestre per far entrare la luce e accese le torce sparse in posizioni strategiche per la stanza con qualche pigra sequenza di cenni della bacchetta. L'Ufficio del Preside, dove passava gran parte delle sue giornate, aveva finestre più piccole, e i raggi solari che filtravano al Quartier Generale degli Auror erano convincenti, ma pur sempre artificiali. A eccezione della Sala Grande, si poteva dire che la sua Aula fosse uno degli ambienti più luminosi in cui trascorreva il suo tempo. Fuori dalle finestre - alle quali, dopo la prova conclusiva del corso del suo terzo Pupillo, non si avvicinava troppo volentieri - volteggiava una pigra nevicata. Il parco intono al Lago e i confini della Foresta Proibita erano già ricoperti: da quelle parti l'inverno affondava radici gelide nel grembo dell'autunno e quando arrivava, lo faceva con conclamata imminenza.
Erano passati alcuni mesi dal Corso Estivo, quando l'Aritmante aveva potuto osservare la sua futura Pupilla alle prese con prove più complesse e personalizzate di quelle che venivano proposte abitualmente in Aula. Nell'ultimo anno, Kedavra si era ritrovata a riconsiderare molte delle sue certezze, e tra quelle maggiormente messe in dubbio vi era la completezza dei programmi ministeriali imposti agli Insegnanti di Hogwarts. All'inizio del suo mandato come dirigente della scuola non aveva avuto nulla da ridire in merito, ma la sua compiacenza era anche dovuta all'inesistente esperienza nell'insegnamento. Per un certo periodo si era trovata a fronteggiare l'amara verità che prima o poi colpisce qualunque Docente: tra il desiderio dell'Insegnante di portare gli allievi a un vero progresso e le effettive capacità di questi - intese non solo come abilità innate, ma anche come volontà di impegnarsi nella loro messa in pratica - esisteva un'innegabile e dolorosa sproporzione che scoraggiava l'incamminarsi in un percorso fuori dal rassicurante "seminato" approvato dal Ministero.
Razionalmente, Kedavra comprendeva alla perfezione i motivi dell'esclusione di determinati argomenti e nemmeno dopo delusioni più brucianti rispetto a quelle che aveva vissuto fino a quel momento credeva che il suo ruolo di garante delle Leggi sarebbe venuto meno; tuttavia, quasi senza accorgersene, aveva iniziato a pensare a come aggirarle. Era tutto iniziato con il progetto stesso dei Pupilli, in tempi non sospetti, ormai diversi anni prima. La scelta di uno studente mostratosi particolarmente versato e quindi meritevole di un'istruzione specifica ricadeva pienamente sotto la sua autorità, ed esentandola dagli obblighi del Corpo Docente, le aveva permesso una certa libertà di manovra nella terra di nessuno al di fuori della competenza e dell'interesse del Ministero. Il suo Corso Estivo sperimentale, introdotto con successo l'estate prima, era il coronamento di quel progetto non esattamente clandestino, ma più vicino alla sua idea di vero insegnamento.
Le era piaciuto mostrare a un piccolo gruppo di studenti alcune delle meraviglie che la sua disciplina poteva offrire, e anche se si trattava a malapena di un'infarinatura pratica, non era stata certa scevra di spunti; osservando quegli allievi all'opera, aveva praticamente elaborato un programma personalizzato che le sarebbe piaciuto approfondire con ciascuno di loro. Era raro che nelle lezioni canoniche il rapporto studente-Insegnante in relazione all'argomento di studio raggiungesse quel livello dialettico dove erano entrambe le figure ad arricchirsi.
Aryanne Wolfe era stata scelta perché si era mostrata costantemente la migliore a un gran numero di lezioni, ma soprattutto aveva attirato l'attenzione di Kedavra perché le aveva mostrato, forse inconsapevolmente, un vero potenziale. Il suo terzo Pupillo, Fos McGene, era già un equilibrista in bilico tra due baratri diametralmente opposti quando era entrato lì dentro, e quel corso aveva dovuto essere una spinta verso la caduta giusta - una spinta che gli aveva dato lasciandosi cadere lei stessa. In Aryanne non albergavano quei paradossi, almeno non alla luce del sole, ma in lei c'erano molte cose nascoste ancora nell'ombra. L'Aritmante non intendeva farla cadere; voleva attirare allo scoperto la sua grandezza.
La Preside accese un fuoco blu in una piccola lanterna, che usò per riscaldarsi le mani. La carenza di sonno era sempre al suo posto con i suoi lasciti fisici, resi ancora più evidenti dal riverbero bianco e grigiastro della neve che incupiva l'interno dell'Aula. Alle nove in punto bussarono alla porta e Aryanne Wolfe fece la sua comparsa. Kedavra la accolse con un sorriso che si aprì lentamente sulle sue labbra. Il primo saluto con la futura Pupilla aveva un significato lontano dalla semplice convenzione: racchiudeva in sé anche la gravità legata alla responsabilità delle conoscenze a cui la ragazza avrebbe avuto accesso di lì a poco.

-Benvenuta alla tua prima lezione da Pupilla, Aryanne. Puoi sederti.

Il loro rapporto era già diverso da quando la Grifondoro aveva fatto il suo ingresso nell'Aula, ma si sarebbe spinto oltre via via che le sfide che Aryanne avrebbe dovuto affrontare l'avessero portata a quella scoperta reciproca che era sempre stata inevitabile, con ciascuno dei suoi predecessori.

-Confido che tu abbia ricevuto il mio Gufo sull'importanza della conoscenza mnemonica della Tabella Aritmantica. Ci sono svariati requisiti per essere scelti come Pupilli della mia materia e ce ne sono due da rispettare dopo la scelta. Uno di questi è il nostro punto di partenza. Anche affrontando un'area poco ortodossa dell'Aritmanzia -- non te ne farò un mistero: approfondiremo l'argomento che hai già conosciuto al Corso Estivo -- la capacità di eseguire Somme Aritmantiche rimane indispensabile; per velocizzare la consultazione della Tabella Aritmantica, è meglio non consultarla affatto e conoscerla a memoria, come qualunque Aritmante dovrebbe essere in grado di fare. Sono sicura che tu ti sia preparata.

La Tabella che terrorizzava alcuni dei suoi studenti, in realtà, si imparava a memoria con una certa naturalezza. Una volta, aveva scritto un articolo che analizzava l'ipotesi che il cervello degli umani dotati di poteri magici fosse naturalmente portato a riconoscere le connessioni tra lettere e numeri esplicitate dalla Tabella Aritmantica e per questo, superate alcune difficoltà iniziali, servirsi dell'Aritmanzia risultava immediato, quasi spontaneo. Ovviamente, sarebbe stato necessario approfondire perché ciò non valesse per tutti, ma Kedavra rimaneva convinta della sua teoria.

-Prepara una pergamena pulita, inchiostro e piuma. Alle mie spalle compariranno alcune parole, composte da sempre più lettere. Potrai scorgerle alla lavagna per cinque secondi; sarà il tempo che avrai a tua disposizione per tradurle in cifre aritmantiche, a memoria.

Puntò la bacchetta e si girò a quarantacinque gradi, il braccio steso verso la lavagna.

-Sei pronta? Allora via!

GUFO

BUFERA

POZIONE

CALAMAIO

OCCLUMANZIA

TRASFIGURAZIONE

CAMPO DI QUIDDITCH

NICK-QUASI-SENZA-TESTA




Kedavra osservò Aryanne al lavoro, appoggiata con il gomito a una pila di libri ingialliti. Sapeva che quello era soltanto il primo passo, un'esercitazione non molto diversa da quelle che proponeva in classe e una parte di lei era parecchio impaziente di cominciare a circoscrivere il vero programma. Mentre la sua Pupilla scriveva, l'Aritmante si ritrovò a ripercorrere mentalmente il Corso Estivo e ciò che era emerso. Si chiedeva se Aryanne avesse riflettuto sulla Classificazione di Sindoria e ciò che aveva detto di lei, ma qualcosa le suggeriva che lo aveva fatto.

//Ogni errore significherà che Aryanne non è riuscita a tradurre in tempo quella parola/espressione.

-Kedavra
 
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view post Posted on 8/1/2017, 05:48
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Le finestre dell’aula di Aritmanzia si affacciavano come occhi spalancati sul parco di Hogwarts. La stasi silenziosa dell’esterno sarebbe stata perfetta, se la danza fioccante della neve non avesse operato da disturbo bianco. Per un attimo le iridi toccarono quel panorama che, di norma, avrebbe piantato i semi dell’euforia nei cuori più infantili, compreso il suo. Alle nove in punto di quella mattina, tuttavia, lei non sentì niente, se non il lieve pulsare delle nocche che avevano da poco incontrato il legno.
Aryanne Wolfe, ferma sulla porta da un battito di ciglia, stringeva saldamente nel pugno il foglio di candida pergamena inviatole dalla Preside Kedavra. Il braccio in questione si trovava dietro la schiena, esposto all’ilarità del corridoio al quale la Grifondoro voltava le spalle. L’aveva tenuto di fronte a sé fin da quando era sgusciata fuori dalla Torre di Godric: sguainato come l’equivalente aritmantico di una bacchetta - che altro non era, forse, se non l’equivalente magico di una spada, - il foglio al quale la Docente aveva affidato le sue parole e le sue prime raccomandazioni era stato il suo biglietto dorato per la meraviglia. In quello che, ridotto ai minimi termini, non era altro che un collegio per maghi e streghe, l’esclusività e l’individualità erano concetti complessi: Aryanne viveva in branco, si spostava in gruppo, faceva parte di una Casata, indossava un’uniforme, dormiva in una stanza affollata, era membro di una squadra. Dopo aver firmato col proprio nome, era abituata ad aggiungere il cognome del buon Godric, al fine di identificarsi come quella di Grifondoro e collocarsi nell’insieme che le apparteneva dallo Smistamento. E non era mai stato un gran problema; il numeroso quadro familiare non le aveva permesso di pretendere un riflettore tutto per sé, dunque era piuttosto abituata all’idea di essere poco più di un minuscolo ingranaggio in un meccanismo colossale. Pur rimanendo affamata di considerazione, si fingeva sazia, satolla da scoppiare. No, grazie, sono piena.
Eppure le cose avevano preso a cambiare gradualmente. L’attenzione degli adulti di Hogwarts, generalmente depredate dalle voraci mani che scattavano in aria per offrire risposte e dalle bacchette assettate di esercizio, le era stata fornita in una porzione piuttosto esclusiva durante un’inaspettata gita sul lago, quando la sua voce era stata una delle poche e non aveva dovuto sgomitare. Disgraziatamente, aveva trovato quell’assaggio di unicità semplicemente squisito. Allora l’abitudine alla condivisione era diventata rassegnazione: una rassegnazione agitata, invero, perché la Grifondoro non s’era mai acquietata del tutto. L’esperienza di quella che era stata a tutti gli effetti una lezione privata l’aveva profondamente colpita: nel modo esclusivo con cui Kedavra aveva fatto sì che l’Aritmanzia e la Wolfe potessero approcciarsi in un inedito tête-à-tête c’erano la sapienza e l’eleganza di un ritrattista. Negli occhi acquamarina e nelle parole dell’Auror, Aryanne aveva rivisto qualcosa di sé e s’era conosciuta un po’ di più. Ansiosa di ritrovarsi ancora nelle trame aritmantiche che la Mandylion si accingeva a svelarle, non si domandò neanche per un momento perché il suo cuore fremesse più per il candore della missiva che stringeva tra le mani che per quello della neve che cadeva fuori dalle finestre. Non era più questione di crescere e aver paura di farlo, né di desiderare d’essere in qualunque luogo fatta eccezione per quello nel quale ci si trovava: era questione di conoscersi. Vivacemente, indagarsi.
Un battito di ciglia, dicevamo, e Aryanne nascose la pergamena stropicciata nella tasca della divisa, prima di rispondere al sorriso della Preside e chiudersi la porta alle spalle. L’ilarità del corridoio, con le sue voci e i suoi occhi, sarebbe rimasta dove doveva: lontana da loro.
«Buongiorno, Professoressa! - trillò, ingollando un sorso di titubanza. E giacché non sapeva cosa fare, si sistemò nervosamente la tracolla sulle spalle: per la prima volta era consapevole che in quella stanza non c’erano altri che lei e Kedavra, che gli occhi della Docente non avrebbero cercato nessun altro alunno e che solo a lei avrebbe offerto un assaggio del suo sapere. Era una situazione ambivalente: se da una parte l’avidità di conoscere ed essere conosciuta scalpitava, dall’altra la paura di fallire e deludere la tratteneva. - Grazie» si arrangiò a rispondere; pareva che un po’ di entusiasmo fosse stato sciacquato via dalla consapevolezza dell’importanza del momento. Con le fiamme delle torce che proiettavano la sua ombra sulle pareti, raccolse l’invito della donna, raggiunse il primo banco di fronte alla cattedra e si sedette. Non trattenne la curiosità e lasciò che gli occhi corressero su ciò che occupava la scrivania, alla ricerca di un indizio sullo svolgimento del Corso che, presto, le venne fornito dalla Mandylion stessa: annuì quando l’Aritmante le comunicò che avrebbero approfondito quanto trattato durante il Corso Estivo. La memoria tentò di raggiungere quei momenti di pura adrenalina vissuti sulla barca, in bilico tra gli avvincini e l’asciutto, senza neanche un pensiero intrecciato in testa, se non la lucida necessità di agire. Si domandò cos’avrebbe potuto chiederle di fare la Preside, mentre se ne stavano entrambe arroccate nell’aula di Aritmanzia, al caldo e al sicuro rispetto all’ambiente nemico e imprevedibile costituito dal lago.
Rapida, annuì una seconda volta per confermare alla Docente che aveva ricevuto il gufo e recepito il messaggio; istintivamente la mano corse a sfiorare la tasca sinistra, là dove si nascondeva la pergamena con le istruzioni della Preside. Per giorni l’aveva tenuta accanto alla prima lettera ricevuta dalla Mandylion e per giorni aveva tentato di convincersi che era tutto vero, che quell’Aryanne era proprio lei. C'era riuscita solo una volta entrata nell’aula e ora, seduta al suo posto, con la fiamma blu di una piccola lanterna a danzare poco distante, ne scopriva conferme in qualsiasi cosa: nelle torce accese per lei, nell’aula vuota a eccezione della Maestra e della sua Pupilla, nella lavagna pronta a essere riempita, nell’Aritmanzia che, prima di accendersi come un incendio, le domandava di sfregare legnetti e pietre focaie per produrre le necessarie scintille.
Riscaldamento.
La pergamena pulita venne srotolata sul banco, col bordo ancora arricciato che le toccava il grembo, pronto a scorrere sul piano qualora la Grifondoro ne avesse avuto bisogno. La piuma di civetta delle nevi, gonfia di inchiostro violetto, si trovò sfoderata come un fioretto, pronta ad agire per piantarsi nella carta. Ascoltò le istruzioni della Preside: con cinque secondi di tempo, non avrebbe potuto trascrivere anche le parole che presto sarebbero comparse alla lavagna, dunque si sarebbe limitata a riportare la traduzione in cifre aritmantiche.
«Pronta» asserì, fissando il rettangolo nero con le sopracciglia aggrottate. Trattenne l’impulso di spostare lo sguardo sulla donna per confermarle che sperava di essere davvero pronta, che non aveva mentito per farle piacere: avrebbe rischiato di perdere qualche parola per strada e non voleva che accadesse. Dunque, con le maniche rimboccate e il cuore che le martellava nelle orecchie, prese a scrivere.

CITAZIONE

7366

236591

7689655

31314196

63333415891

291169739189655

31476 49 839449238

5932-83119-15581-25121


Una volta fatto, infilò la piuma nel calamaio e spostò leggermente il foglio, voltandolo verso la docente. Prese un respiro profondo e l’accumularsi paziente della neve sul davanzale le parve improvvisamente rumoroso ai limiti del fastidio fisico. Deglutì a vuoto e, grattando il banco con un’unghia, cercò lo sguardo di Kedavra per tentare di leggervi qualcosa.
 
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view post Posted on 12/1/2017, 00:58
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Quando terminò il tempo a disposizione anche per l'ultima parola, Kedavra porse la mano ad Aryanne. Il palmo rivolto verso l'alto indicava una gentile ma ferma urgenza: in quell'Aula, l'allieva avrebbe imparato a non soffermarsi a pensare troppo alla possibilità di errare, essendo essa stessa fonte di errori. Del resto, Aryanne non le aveva affatto dato l'idea di qualcuno che si facesse frenare, né era stata vittima di esitazioni nella sua situazione da Tela Bianca - e se Sindoria aveva ragione, quel pomeriggio estivo passato sul Lago le aveva dato un'ottima base per conoscere la sua futura Pupilla. Ma si aspettava comuque delle sorprese. La circostanza in cui si trovavano era prevedibile fino a un certo punto, e lo sarebbe stata sempre di meno via via che avessero progredito con le lezioni.
Per quanto contasse che un'aspirante Aritmante prendesse dimestichezza con gli strumenti fondamentali della disciplina, quel test preliminare non era diverso, nei suoi scopi, da quelli che Kedavra aveva somministrato ai Pupilli che l'avevano preceduta. Quei preziosi secondi le avevano dato una prima occasione di osservare Aryanne mentre si trovava da sola, davanti a lei, concentrata su un compito. Guardandola alle prese con le difficoltà che lei e il resto del gruppo stavano fronteggiando, la Preside si era trovata a una certa distanza; poteva cogliere il senso generale di un'azione, ipotizzare le caratteristiche temperamentali da cui era scaturita - qualcosa per cui si serviva spudoratamente delle sue conoscenze aritmantiche - deframmentare il comportamento individuale della Grifondoro dall'armonia di decisioni e messe in atto che si stava scatenando su quella barca che calava a picco. Era stato fondamentale per iniziare quel percorso, ma la quieta osservazione ravvicinata era un altro tassello irrinunciabile. Kedavra sapeva che Aryanne era più che conscia dello sguardo acquamarina su di sé, e in altre occasioni, quando l'Aritmante aveva creduto che il Pupillo non fosse in grado di reggerlo, lo aveva rivolto con maggiore discrezione. Ma il comportamento di Aryanne sulla scialuppa arricchiva di un soggetto ben definito quella tela che fino a quel momento aveva presentato nulla più di qualche abbozzo di matita. Il dipinto era ben lungi dall'essere concluso: non si potevano scorgere i colori, e soprattutto i contrasti che avrebbero colpito l'occhio donando all'opera la sua vera unicità, ma si poteva già intuire le sensazioni che quel soggetto avrebbe evocato e nessuna di esse era compatibile con il disagio per l'inedita intimità di quella situazione, al contrario. Si potevano già vedere gli occhi di Aryanne emergere da quel caos di forme fermato in una cornice. Erano occhi intrepidi, con ciglia fieramente incurvate verso l'alto come mani dalle dita spalancate che invitavano a entrare.
Fin dove? Fin dove si può arrivare, prima che quelle porte si chiudano?
La Preside non aveva prestato attenzione allo scorrere della piuma sulla pergamena, perciò non poteva anticipare la riuscita dell'esercizio, anche se aveva un buon presentimento al riguardo. Scorse rapidamente i risultati del compito, trovandoli corretti - arrivati a un certo livello di studi, era possibile anche svolgere l'operazione contraria, ovvero ricavare parole di senso compiuto dalle due o tre possibilità offerte da ciascuna cifra, perciò non impiegò che qualche secondo ad accorgersi che fosse tutto in ordine.
Annuì mentre restituiva la pergamena ad Aryanne. Sentiva, forse erroneamente, che la Grifondoro non avesse bisogno di gratificazioni per un successo tanto preliminare. Non avrebbe voluto darle l'impressione sbagliata sui limiti contro cui avrebbe dovuto spingersi, là dentro.

-È tutto giusto. - si limitò a osservare in un tono tranquillo. Pur senza dirlo esplicitamente, voleva che Aryanne sapesse che non si aspettava niente di meno.

-Partiremo con alcune riflessioni teoriche. Quando vedrai dove andremo a parare, capirai che non avremmo proprio potuto evitarle!

Tamburellò le dita sulla scrivania. Il Corso da Pupillo con Zerby Maranta aveva avuto una connotazione estremamente pratica; McGene era stato un altro paio di maniche. Con il senno di poi, la Comandante degli Auror era giunta alla conclusione di essere stata fin troppo prudente con lui. Non era certa di poterla considerare una colpa, tuttavia, non ancora. Tornò a concentrarsi sul momento presente. Non esisteva Corso che non fosse a misura del Pupillo che aveva davanti. Aryanne avrebbe trovato impersonale il corso di Zerby, e forse addirittura offensivo quello di Fos; così come Zerby non si sarebbe affatto realizzata con quanto Kedavra aveva in mente per la Wolfe, e Fos... Fos avrebbe potuto diventare pericoloso.

-Ti ho anticipato che avremmo trattato ancora dell'approccio sindoriano all'Aritmanzia. Durante il Corso Estivo ho spiegato a te e ai tuoi compagni che Sindoria, con i suoi studi pionieristici, ha voluto tornare all'origine più profonda dell'Aritmanzia, che è anche il suo stesso scopo, in fondo. L'individuo. Quando hai studiato l'Aritmanzia Semplice, ti sarai accorta che tutto ruotava intorno all'individuo. L'Aritmanzia Avanzata si è sviluppata sull'importanza del presente, nella sua unicità, ed è questo che ha messo in rapporto con l'Aritmante. Sappiamo che non esiste una branca di Aritmanzia Avanzata priva di connessioni con l'Aritmanzia Semplice: abbiamo branche con un legame stretto e vicino, altre più distanti, per esempio diverse evoluzioni Ibride si "allontanano" dall'Aritmanzia Semplice perché trattano l'applicazione di risultati in cui l'individuo si rispecchia in maniera non unica, non irripetibile. Tuttavia, è convinzione abbastanza diffusa per il proliferare di branche di Aritmanzia Avanzata, tutte più o meno valide, rischi di far dimenticare il significato più profondo della nostra disciplina. Sindoria è sempre stata molto affezionata all'autenticità. Nel suo approccio, la conoscenza che l'Aritmante fa di se stesso è un viaggio che ha tre caratteristiche: ha un punto di partenza incontaminato (la Tela Bianca), è priva di punto di arrivo (vedremo cosa significa) e avviene all'interno di una relazione.

Kedavra piegò la testa da una parte, come faceva spesso quando si apprestava a porre una domanda.

-Il Corso Estivo ti ha fatto capire e vivere la prima caratteristica del percorso di auto-conoscenza sindoriano: sai a cosa serve la Tela Bianca, come si ottiene, come viene valutato ciò che gli Aritmanti al suo interno vi "dipingono". Ti chiedo di riflettere sulle altre due caratteristiche. Scegline una -- l'assenza di punto di arrivo di questa ricerca e la necessità di una relazione -- e riflettici. Ad alta voce. Questa non è una lezione normale, non esiste una risposta giusta. Esiste una tua risposta. Ed è quella che voglio sentire.

L'espressione di Kedavra si tinse di un principio di curiosità. Quel percorso era già cominciato, e molto prima che Aryanne mettesse piede sulla barca. A un'analisi davvero profonda, i loro nomi avrebbero rivelato che un giorno sarebbero finite entrambe lì, l'una di fronte all'altra, a cercare di svelare una minima parte delle enigmatiche connessioni che animavano loro e il resto dell'universo.

-Kedavra
 
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La presenza di Kedavra Mandylion aveva un qualcosa di destabilizzante. Aryanne la osservava controllare i suoi calcoli e cercava nelle trame visibili della donna un indizio che potesse suggerirle la via per trovare l’oggetto di quel sentimento sbilanciato. Sarebbe stato facile attribuire la colpa di un’eccessiva soggezione ai ruoli dell’Aritmante: Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Capo del Corpo Auror del Ministero della Magia inglese, Membro Onorario del Wizengamot... erano le parole che, in calce a qualsiasi missiva, avrebbero aggiunto pressione, influenza e reso un po’ più consistenti tutti i desideri della Docente. Era probabile che le sarebbe bastato annunciare uno solo dei propri titoli per vedere i capi chinarsi e le porte aprirsi. Eppure, forse per la prima volta, questi non erano sufficienti. C’era qualcos’altro, oltre all’ufficio protetto dal grifone di pietra, oltre a un corpo di elementi addestrati a eseguire i suoi ordini, oltre al peso della giustizia. C’era qualcosa nella persona che quei ruoli se li era conquistati, che quella vita se l’era costruita. Aryanne non sapeva se, cercando la tana di quel tarlo che le rosicchiava lo stomaco, l’avrebbe trovata davvero osservando la donna che le stava di fronte, poiché - e ora arriva il punto - Kedavra non finiva alla punta delle sue scarpe, non era contenuta nei propri vestiti, non era solo la persona ristretta nei suoi confini di carne, sostenuta dalla sua struttura d’ossa e ferrea volontà. Come un disegno colorato con foga, i suoi contorni potevano essere ignorati, perché la sua stessa essenza si diluiva tutt’intorno: la Mandylion era tanto la Preside dai capelli corvini quanto Hogwarts stessa. Per la Wolfe, che considerava la scuola come casa propria e non riteneva d’aver mai vissuto davvero prima di mettervi piede, il motore che silenziosamente muoveva i fili di tutto il castello non poteva che essere parte integrante del castello stesso. E dunque, finché lei avesse abitato la torre di Grifondoro, non avrebbe immaginato nessun altro sedere al posto d’onore del tavolo degli insegnanti, né, nelle occasioni formali che si presentavano durante l’anno scolastico, avrebbe voluto sentire un discorso pronunciato da un’altra voce o cogliere per caso il lampo di un diverso paio di stivaletti che si arrampicavano giù dalla scalinata dell’ufficio del Preside. Era destabilizzante, dunque, trovarsi da sola con qualcuno che per lei aveva fatto tanto; ed era più che probabile che di questo “tanto” l’Aritmante non fosse propriamente cosciente: a quanti altri studenti era arrivata la lettera d’ammissione a Hogwarts? Quanti s’erano diplomati, erano cresciuti ed erano cambiati, protetti dalle mura del castello? Molti si erano sicuramente persi, ma ancor di più erano riusciti a trovarsi e ritrovarsi, sotto la giurisdizione della Mandylion: come poteva Aryanne comunicarle quanto enormemente tanto significasse quel tutto, per lei? Sarebbe stato come se i proprietari delle bacchette che vendeva da Ollivander l’avessero fermata per i corridoi, con le lacrime agli occhi, e le avessero parlato delle porte della magia che lei - proprio lei, durante un turno di lavoro come un altro - aveva aperto per loro. Sciolto l’imbarazzo, l’avrebbe trovato carino, forse. Ma definire “carino” il sentimento d’appartenenza che legava la Wolfe a Hogwarts e, dunque, alla donna che le stava di fronte e aveva scelto di farle da Maestra, era un insulto. Era insufficiente, era un tentativo insopportabile di sminuire qualcosa che non tutti avevano il lusso di possedere: una Casa. Che non è propriamente il luogo nel quale puoi appendere il cappello e infilare le pantofole, ma - come saprà chiunque non ne abbia avuta una e l’abbia cercata - è una cosa immensa.
Dovette schiarirsi la voce, perché una briciola di quel miscuglio di riflessioni le si era impastata in gola e, per un attimo, le aveva mozzato il fiato. Riprese a respirare regolarmente solo quando la Preside decretò che le sue traduzioni in cifre aritmantiche erano giuste: aveva temuto fortemente di poter essere una Pupilla deludente fin dal suo ingresso nella stanza e dietro ogni angolo vedeva acquattarsi e prepararsi al balzo la più brutta delle figure. S’era aspettata di ruzzolare tra i banchi, inciampare sulla cattedra, travolgere la lavagna, ma l’imbarazzo degli inconvenienti della goffaggine le era stato risparmiato; effettivamente, non era mai stata granché goffa, ma non era mai stata neanche la Pupilla di Aritmanzia: le potenzialità di quel giorno, dunque, erano infinite. Secondo le anticipazioni che la Docente le offrì, le si apriva davanti un’ampia vallata di riflessioni da coltivare e raccogliere, e ogni battito delle ciglia dell’Aritmante poteva significare per lei e per il suo raccolto una violenta grandinata o il calore di un raggio di sole. Come dicevamo, però, il sereno si ostinava a regnare nell’aula di Aritmanzia, con sommo sollievo della Wolfe, che non poté trattenere un sorriso contento; lo nascose premendo le labbra tra loro, ma il brillio negli occhi era inequivocabilmente quello di qualcuno felice di aver fatto il proprio dovere a regola d’arte.
Annuì in risposta alle parole della Preside.
«Mi piace la teoria, quando la spiega lei: è sempre interessante» confermò, arrischiandosi a scendere in qualche dettaglio trascurabile della propria persona e delle sue preferenze. Non si domandò se a Kedavra la cosa potesse far piacere, ma si limitò a pensare che, considerato che avrebbero passato del tempo insieme, non doveva essere una cattiva idea tentare di mettersi a proprio agio sotto la luce del riflettore che avrebbe illuminato loro due sole. Non si sarebbe azzardata ad alzare la mano nel bel mezzo di una normale lezione per informare la Professoressa riguardo i suoi gusti e le sue considerazioni, ma quella era una buona occasione per smettere di essere un nome sul registro - Aryanne Wolfe, Grifondoro - e presentarsi alla Mandylion in vesti di sindoriana fattura: come un individuo. E allora, in un’ideale pagella nella quale figuravano i risultati mediocri ottenuti nelle materie che richiedevano ragionamento, lucidità e solide basi teoriche, Aritmanzia brillava come l’Eccezione per antonomasia. Che fosse per una vocazione insita in Aryanne fin dal suo Stato Originario o se fosse l’innesto della passione che le aveva trasmesso Kedavra stessa col suo essere interessante, poi, era ancora da scoprire.
Ascoltò la premessa della donna; senza rendersene conto, prese a reggersi al bordo del banco, come se fosse stata sul punto di cominciare una corsa sulle montagne russe. Il solito bisogno di prendere febbrilmente appunti venne accantonato in favore di un’attenzione esclusivamente dedicata alla Preside, ai suoi gesti, ai disegni che le sue parole tracciavano nell’aria tutt’intorno, trasfigurando di fatto le pareti dell’aula in spazi sconfinati nei quali era possibile correre forte e volare in alto. Dedicò un momento di silenzio più alla scelta dell’argomento da trattare per primo che a una vera riflessione: era consapevole dell’acuto spirito di osservazione della Mandylion, poiché l’Approccio Vivace trattato sulla barca aveva fatto sì che questo emergesse in tutta la sua gloria. Dunque si domandò cos’avrebbe letto l’altra nella sua decisione e se, effettivamente, il tutto fosse oggetto d’osservazione e analisi. Poi abbandonò ogni remora, poiché aveva attraversato la soglia dell’aula di Aritmanzia ben sapendo che là dentro si sarebbe conosciuta e che l’avrebbe fatto attraverso lo sguardo intensamente azzurro di Kedavra. Le si offrì, allora, senza vergogna e su un piatto d’argento.
«Penso che l’assenza di un punto di arrivo sia caratteristica della natura umana. Ogni individuo è sfaccettato, possiede infiniti lati, angoli e spigoli, una moltitudine di sfumature e, oltretutto, è in costante evoluzione. Se Sindoria mira all’indagine dell’individuo e il suo approccio è finalizzato a permettere all’Aritmante di fare un viaggio in se stesso per conoscersi, credo che abbia tenuto conto di queste caratteristiche: e cioè che non è possibile arrivare a conoscere se stessi ed esserne completamente soddisfatti, poter dire di aver finito e di non avere nient’altro da scoprire. - Nuovamente cercò nelle iridi acquamarina un indizio riguardo la direzione presa dalle sue riflessioni. Ravviò una ciocca di capelli dietro le orecchie e riprese a parlare. - Anche nel remoto e assurdo caso in cui qualcuno dovesse ritenersi soddisfatto di ciò che ha compreso di sé, come dicevo, dobbiamo considerare che noi stessi siamo soggetti a costanti cambiamenti, che proprio le Tele Bianche intorno a noi ci permettono di sfoderare tinte inedite o di mischiare quelle conosciute per scoprirne di nuove. Forse… ecco, noi siamo un po’ tutto il nostro universo, no? E tutta la realtà passa attraverso di noi, viene filtrata e diventa unica e caratteristica dell’individuo. Com’è possibile dire di conoscere tutto dell’universo? E come si può pensare di arrivare alla fine di un viaggio tanto soggettivo? Sì, io credo sia per questo che non c’è un punto d’arrivo. E non intendo dire che si tratta di un viaggio senza meta: al contrario. Piuttosto è come se la meta venisse man mano spostata un po’ più in là. Ogni volta che si raggiunge una risposta, ce n’è un’altra che non aspetta altro che d’essere conosciuta, ecco.»
Annuì e arricciò le labbra, attendendo il permesso della Docente di procedere con le riflessioni sulla seconda caratteristica del viaggio sindoriano. Cercò in lei la traccia di un’opinione, poi le sorrise, inclinò il capo d’un lato e si sentì fremere, perché quella giornata già le piaceva, e le piaceva immensamente.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 01:50
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Un paio di muscoli facciali vennero stuzzicati dal commento della studentessa e l'angolo della bocca di Kedavra si sollevò con l'immediatezza con cui una corda di violino emette una nota se un dito la pizzica. Uno dei difetti che la Preside aveva acquisito destreggiandosi tra aule scolastiche e di tribunale era la scarsa spontaneità. L'addestramento nelle tecniche d'Interrogatorio, poi, era forse ciò che l'aveva scoraggiata già in giovane età a lasciare che le proprie emozioni trapelassero senza controllo: qualunque ruga d'espressione era un appiglio, lo spiraglio in una porta segreta che l'Interrogato avrebbe preferito lasciare sigillata. La Legilimanzia, nei suoi frangenti più spietati, insegnava la medesima lezione, ed era impossibile non premurarsi per proteggersi da chi potesse disporre dei suoi stessi mezzi di indagini. Da studentessa era stata una ragazza curiosa e distratta, capace di lasciarsi andare a reazioni aperte e naturali di fronte alle cose che scopriva per la prima volta; con l'età, Kedavra aveva imparato a mettere un freno a quella tendenza, anche se di tanto in tanto capitava che un'emozione sfuggisse al suo ferreo controllo.
Come capitava nei suoi anni da allieva, fu ancora una volta la novità a farla sorridere spontaneamente, quel mattino, nell'Aula di Aritmanzia, come se tutte le sessioni di sguardi di Legilimanzia non ci fossero state, e con esse gli addestramenti, gli inganni, i giornali.
L'interesse per la sua materia aveva brillato negli occhi di diversi studenti: di certo non si trattava della maggior parte, ma una fetta che l'Aritmante vedeva come considerevole, calcolata la difficoltà e la nomea generalmente ostica che la sua disciplina spargeva intorno a sé. Quell'interesse le era stato manifestato tramite alzate di mano, risposte dettagliate, compiti che ricoprivano vari rotoli di pergamena; all'interno di quell'Aula, con gli studenti scelti che avevano preceduto Aryanne, l'interesse era sbocciato in passione, e per la Preside era stato meraviglioso assistervi.
Non di meno, nessuno le aveva mai parlato così apertamente. Kedavra era consapevole di quanto potesse essere difficile esprimere sincera passione in qualcosa che non fosse il Quidditch, all'interno di quelle mura, per paura di essere esclusi dai compagni o magari persino presi in giro. Lei stessa aveva tenuto a distanza gli Insegnanti verso cui provava più ammirazione, e in alcuni casi aveva avuto tutto il tempo per pentirsene amaramente.
Aryanne Wolfe non stava compiendo quell'errore ed era difficile dire se fosse stata la porta dell'Aula a facilitare quella semplice e rivoluzionaria confessione, o se in lei la volontà di affermarsi era così forte e sfacciata da non temere il giudizio altrui. Forse, gli altri non erano nemmeno nel quadro.
L'individualità di Aryanne era prorompente. Kedavra aveva già avuto modo di scoprirlo, ammirando il modo in cui la ragazza e Danny Macbeth avevano potuto alternarsi sul piccolo palcoscenico della scialuppa, creando un gioco di luci e ombre che si intrecciavano e prendevano, a turno, il sopravvento l'una sull'altro. Non era un gioco di dominazione. La Grifondoro non aveva bisogno di dimostrare nulla, e il suo ego era già sopravvissuto a molte sfide.
L'Aritmante aveva formulato varie ipotesi su quale fosse la risposta più probabile, trovando motivi a favore di entrambe le alternative. Se si fosse trovata a propendere nettamente per una delle due opzioni, non le avrebbe del resto nemmeno posto il quesito. Era qualcosa che aveva in comune con Aryanne: non le interessava avere ragione, né prevalere. Voleva soltanto scoprire.

-Credo che il tuo raffinato ragionamento abbia centrato il punto, Aryanne.

Annuì, battendosi il labbro superiore con il dito. Non si preoccupò nemmeno questa volta di sbilanciarsi troppo; la sua Pupilla aveva iniziato a dettare le regole di quell'incontro, e la prima regola sembrava essere la Naturalezza; la seconda, la Mancanza di Spettatori. Nessuno guardava, a parte loro due. E loro due dovevano vedersi.

-Il concetto di "infinito" è un'idea umana che deriva, paradossalmente, proprio dai limiti della comprensione degli esseri umani. "Infinito" e "incommensurabile" sono praticamente sinonimi, ma il secondo aggettivo è meno poetico. Come spesso accade con i termini prosaici, si dà il caso che sia anche più vero. - inclinò la testa da una parte. -Anche i Babbani si interrogano spesso sui confini. Si parla di infinitamente grande, di infinitamente piccolo... Ovunque volgiamo lo sguardo ci si disperde in spazi, serie, sequenze senza fine. I nostri sensi e il nostro intelletto non arrivano ai confini dell'infinito e per questo non lo concepiamo come un contenitore chiuso e limitato; lo definiamo infinito, incommensurabile, indefinito, immane. L'Aritmanzia si potrebbe definire come una danza dei confini. La sua essenza è proprio l'ammissione che i limiti della nostra comprensione siano l'unica cosa che ci frena dal controllo assoluto su tutto ciò che ci circonda.

Fece una breve pausa per rendere giustizia all'immensità di quegli argomenti, poi scrollò leggermente le spalle.

-Naturalmente, il punto di vista dell'Aritmanzia è più ottimistico di così. Il rovescio della medaglia di quanto abbiamo appena detto è che iniziando a comprendere si inizia a controllare. Per quanto il controllo assoluto sia al di fuori della nostra portata, vi è una relazione fondamentale e innegabile nell'universo che costituisce la chiave della comprensione di una parte infinitesimale, ma tangibile, della sua trama. Parlo, ovviamente, della relazione tra numeri e lettere che la Tabella Aritmantica ha svelato. - sollevò le sopracciglia lasciandosi andare a un altro sorrisetto. -Sembra terribilmente pomposo e persino un po' sciocco ridurre qualcosa di tanto maestoso a una misera tabellina che per giunta non ha un valore universale -- sappiamo che ne esistono tante versioni quanti alfabeti -- ma questo è perfettamente in linea con ciò a cui possiamo approdare con la più banale delle riflessioni filosofiche. La realtà che noi percepiamo, l'unica che conosceremo mai, è una realtà umana, filtrata da mezzi sensoriali e intellettuali umani. È sensato che per comprenderla ci serviamo di uno strumento ben radicato nella nostra umanità, che abbia un'origine, un utilizzo, una fruibilità e una semplicità in tutto e per tutto umane. Possiamo dire che la Tabella Aritmantica e con essa l'Aritmanzia siano in grado di svelare i misteri dell'universo, quello vero, che esiste al di là della nostra percezione? Probabilmente no. Ma la Tabella Aritmantica può guidarci nella scoperta di quella minima frazione di universo con cui abbiamo interagito dal momento in cui siamo nati, e con cui interagiremo fino alla nostra morte. Oserei dire, persino oltre.

Sospirò brevemente, gli occhi acquamarina che brillavano.

-Abbiamo davvero bisogno di conoscere altro? Se anche ci fosse concesso, probabilmente sarebbero verità troppo sconvolgenti e inconcepibili per noi, e ne verremmo schiacciati. C'è da dire che già con determinate branche dell'Aritmanzia abbiamo di che rimanere sconvolti e, in alcuni casi, genuinamente spaventati.

Abbassò la mano tornando a tamburellare sulla scrivania.

-Ma non lasciamoci trasportare, per ora. Tu hai parlato di una scoperta continua, di un'evoluzione senza punto di arrivo. E l'approccio Sindoriano all'Aritmanzia riguarda proprio questo. Ammesso che l'infinito sia semplicemente l'incommensurabile, la scoperta di sé è un viaggio che prevede un traguardo -- teoricamente esistente -- a cui non arriveremo mai. Questo concetto è alla base della Classificazione Sindoriana detta "a Scatole Cinesi", anche se mi piace pensarla come una matrioska. Una bambola enorme, delle dimensioni di questo castello, che una volta aperta contiene una bambola solo leggermente più piccola, e poi un'altra ancora più piccola, e così via fino ad arrivare a bamboline di dimensioni sub-atomiche. Senza una fine... senza una fine? No, probabilmente una fine c'è, ma dopo avere svitato e aperto miliardi di miliardi di matrioske, chi ha davvero voglia di trovarla, giusto? Ebbene... - spiegazzò una pergamena, lisciandone la superficie mentre parlava, assorta -Prima di definire nel dettaglio la Classificazione Sindoriana a Scatole Cinesi, andiamo a esplorare l'altra scelta del bivio, ovvero la terza caratteristica del viaggio dell'Aritmante. Vorrei che tu immaginassi che ogni individuo, alla nascita, come un uniforme blocco di creta. Cosa ci ha modellati, rendendoci quello che siamo? Che cosa rende un individuo diverso dall'altro?

C'erano molte sfaccettature anche intorno al piedistallo su cui il monumento dell'Aritmanzia si reggeva. Kedavra batté le ciglia pazientemente, curiosa di indagare le risposte di Aryanne.

-Kedavra
 
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view post Posted on 6/2/2017, 03:52
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Come le pupille di un paio d’occhi, Kedavra e Aryanne se ne stavano dietro le finestre dell’aula di Aritmanzia. Non si muovevano davvero, concentrate nel microcosmo che la disciplina stessa aveva creato per loro, poiché non c’era niente oltre la conoscenza che la Mandylion donava alla Wolfe. O almeno così era per la Grifondoro. Le armature che costellavano i corridoi avrebbero potuto lanciarsi in una marcia trionfale per il castello, i soggetti dei quadri avrebbero potuto intonare canti gregoriani a squarciagola e le piante del professor Moody avrebbero potuto ribellarsi alla prigionia delle serre: a lei non sarebbe importato, probabilmente non se ne sarebbe neanche accorta. Per quanto la riguardava, non c’era nulla che andasse oltre il confine disegnato magistralmente dalla sua Maestra. Lo spazio vitale che l’Aritmante aveva pensato per entrambe, pur essendo a loro misura, era curiosamente vasto e saturo: dovunque la Pupilla si voltasse, c’era qualcosa da ammirare, un concetto da afferrare, un sentiero che conduceva lontano da Hogwarts, verso piani della Magia e della Conoscenza che nessun’altra materia della scuola avrebbe potuto indicarle. Aveva cominciato a intravedere scorci di quella disciplina dovunque guardasse, da prima che la civetta che confermava l’esistenza di un Corso tutto per lei le atterrasse dolcemente di fronte. Avrebbe voluto dire a Kedavra che anche lei, ignorante e piccola com’era, forse aveva iniziato a capire che l’Aritmanzia era ovunque, che la sua complessità si annidava nei dettagli, nelle sfumature, nelle solide basi mentali e in quelle più astratte, entrambe necessarie per capire. E nel piccolo universo dell’aula, con una sovrastruttura la cui enormità non le sarebbe stato possibile indagare a fondo se non dopo qualche vita di studio, tutti i conti tornavano: lei doveva trovarsi lì. In qualche stringa aritmantica, si nascondeva una domanda che, nel cuore della Grifondoro, trovava la sua sospirata e decisa risposta: “questo è il posto dove devo stare. Questo e nessun altro.” E per qualcuno che si tormentava nell’adolescente ricerca del proprio spazio nel mondo quella consapevolezza non era affatto cosa da poco.
Allora, mentre entrambe se ne stavano chiuse nel baccello che la conoscenza aveva offerto loro come riparo, un luogo dove non potevano che esserci loro due, la donna le parlava dell’Aritmanzia come una danza dei confini. Non si era accorta, Aryanne, che i confini avevano già cominciato a ballarle tutt’intorno? Le barriere si muovevano inesorabili e i rapporti venivano ridefiniti: il sorriso di Kedavra diventava un’esclusiva tutta per lei, così come il suo sguardo, le sue parole, la sua preziosa attenzione. Mai avrebbe creduto di potersi trovare in una situazione simile, ma di certo ci aveva sperato; la semplice realizzazione di una speranza non era anch’essa lo spostamento gentile di un confine? E dunque la Professoressa si trovava suo malgrado toccata dalle sue smanie e diventava la destinataria di richieste accorate che mai si sarebbe sognata di poterle rivolgere: guardami ancora, parlami ancora, sorridimi ancora. Era concentrata e annuiva mentre tutt’intorno si tracciavano i contorni di nuove idee: le immaginò delinearsi nell’aria come filamenti d’inchiostro nero che nascevano direttamente dal capo corvino della docente. Vide l’incommensurabilità della conoscenza che si faceva sfocata come un orizzonte lontano, raggiungibile, ma solo con un mortale dispendio di fatica e tempo. Le parve allora di trovarsi su un’isola al centro di un oceano che avrebbe potuto esplorare, se solo si fosse ingegnata per costruire una barca e avesse imparato a navigare. E nell’immaginare quel mare, la Wolfe guardava nell’acquamarina delle iridi di Kedavra.
Arricciò le labbra e strinse gli occhi, vedendo la matrioska sindoriana - o mandyliana, forse: quell’immagine era tutta della Preside - che non aspettava che di essere esplorata, svuotata in preda alla frenesia della curiosità. C’era qualcosa di spietatamente animalesco in quell’idea: prendere a piene mani la conoscenza dal grembo di chi la custodiva. Fino a che punto avrebbe saputo - o potuto - spingersi? Aryanne si tormentò brevemente l’orlo della gonna, domandandosi se sarebbe stata in grado di vedere anche ciò che era incommensurabilmente piccolo o se si sarebbe trovata costretta dai suoi legittimi e castranti limiti umani. Limiti che, per quanto radicati nella sua natura di essere umano, al cospetto della Mandylion e dell’Aritmanzia tutta le parevano insopportabili. Fortissimamente avrebbe voluto brillare e impressionarle.
Prese dunque la parola dopo una riflessione piuttosto breve: non voleva perdere la spontaneità del momento e pensò che un ragionamento a voce alta sarebbe risultato più gradito di una serie di parole accuratamente scelte. Abbassò per un momento lo sguardo sulla pergamena vittima della concentrazione della Docente e della passione di cui era intriso il suo discorso; sorrise al foglio e poi alla donna, perché quella parentesi di normalità e umanità le piacque.
«Le esperienze, credo. Sì, penso che siano le cose che ci succedono a modellarci uno per uno, fino a renderci ciò che siamo oggi. Però... però non è solo questo, vero? - Gli occhi si strinsero, scattando tra una pupilla e l’altra dell’Aritmante per cercarvi una risposta. - No, forse c’è anche qualcosa in noi stessi che ci spinge a reagire in modo unico e diverso di fronte a tutte le esperienze della nostra vita. Insomma, se prendessimo una coppia di gemelli praticamente inseparabili, di certo non sarebbero l’uno la copia dell’altro solo perché hanno vissuto esperienze molto simili, giusto? C’è qualcos’altro... forse la nostra sensibilità. Cioè, il nostro modo speciale e tutto personale di percepire e dunque rispondere a ciò che succede. È come una sorta di filtro. - Se si fossero trovate divise dalla grata di un confessionale, probabilmente si sarebbe sentita a proprio agio nel parlare con Kedavra di “anima”, ma in quel caso le parve sciocco. - Ecco, le esperienze sono la mano che modella il blocco di creta, mentre questo filtro è la misura della pressione applicata. In effetti, però, penso che la cosa più importante o, per meglio dire, più determinante sia l’agente esterno stesso, ovvero ciò che ci accade intorno. Se non succedesse niente, potremmo anche essere infinitamente sensibili, ma non ci sarebbe nulla da interpretare, da filtrare. Per tornare alla metafora del blocco da modellare, immagino che uno scultore non possa avere un senso del tatto particolarmente sviluppato, se effettivamente non ha mani. - Inclinò il capo e stette in silenzio per un attimo, mentre un mezzo sorriso storto le piegava le labbra. La riflessione nella quale si era lanciata l’aveva condotta a un punto curioso: osservando il volto di Kedavra, tentò di indovinare se la Preside trovasse il tutto demenziale. - Per fare delle esperienze, ciò che ci serve è un agente esterno. Dobbiamo entrare in contatto con qualcuno o con qualcosa all’infuori di noi stessi, ecco. Certo, anche il caso improbabile di un essere umano isolato dalla nascita immagino comporterà qualche cambiamento nel suo blocco di creta. Ma l’isolamento stesso è la conseguenza dell’azione di un agente esterno, no? - Aggrottò un sopracciglio, allora, aprendo come ventagli le mani sul banco, mentre tentava di trarre delle conclusioni. - Quindi... sì, penso che ciò che ci ha modellati, ci modella e lo farà in futuro sarà l’esperienza, ovvero l’insieme delle nostre interazioni col mondo all’infuori di noi e, dunque, del nostro modo di percepirle.» Annuì e, involontariamente, fece schioccare la lingua sul palato per marcare il punto alla fine del discorso. Se ne stette lì, poi, e con tanto d’occhi si mise a fissare la Mandylion, famelica nella sua curiosità riguardo le riflessioni che Kedavra avrebbe svelato a lei sola.
 
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Kedavra assottigliò leggermente gli occhi, come sempre quando meditava. Le parole di Aryanne toccavano corde molto profonde dell'Aritmanzia, ma sarebbe stato sciocco credere che la ragazza non se ne rendesse conto. Il suo tono di voce, i suoi movimenti, così come le cornee incandescenti di sete di sapere, il modo in cui la Preside aveva l'impressione che l'altra si sporgesse appena verso di lei - era lei a volere che lo facesse? Era lei a immaginarlo? - tutto rimandava alla considerazione solenne in cui la Grifondoro teneva quelle tematiche.
Ogni singolo Pupillo che aveva preceduto la Wolfe aveva serbato lo stesso rispetto verso la materia - forse si trattava del primo requisito da soddisfare per essere scelti, qualcosa che Kedavra poteva avvertire quasi istintivamente nel relazionarsi con uno studente - eppure con Aryanne la disciplina sembrava elevarsi a qualcosa di sacro.
Era curioso quanto Sindoria, nell'immagine che Kedavra si era fatta di lei studiandola, le assomigliasse. Non l'aveva mai incontrata di persona, ma leggendo i suoi scritti si era convinta che il suo approccio all'Aritmanzia non potesse essere troppo diverso da quello di Aryanne.
Ciò nonostante, Sindoria richiedeva che si sporcassero le mani. La Tela non sarebbe rimasta Bianca per sempre, e quella della Grifondoro presentava già una moltitudine di contorni da riempire, segni da interpretare. Avrebbero dovuto scendere a terra, di lì a poco, ma per evitare di schiantarsi (un pensiero che ancora le faceva correre un piccolo brivido alla base del collo, a formularlo in quell'Aula) era necessario procedere a piccoli passi.
Eppure non c'era nulla di piccolo nel procedimento mentale di Aryanne, anche se la leggiadria con cui la ragazza si destreggiava tra concetti di quella portata poteva trarre in inganno.
Le spiegazioni più semplici erano quelle che celavano la maggiore complessità. Era paradossale che quei discorsi fossero molto più vicini alle lezioni destinate agli studenti dei primi anni, piuttosto che ai più esperti. Dare un qualsiasi cosa per scontata si rivelava un errore teorico tristemente indispensabile. Anche le regge più maestose hanno fondamenta piantate tra vermi in putrefazione. Nessuno poteva essere dispensato dal riflettere su ciò che era elementare, e i suoi Pupilli meno di tutti.

-Sono osservazioni interessanti, e soprattutto vere. Ho corretto numerose tesine M.A.G.O. nel corso degli anni sullo Stato Originario. È uno dei concetti più ineffabili dell'Aritmanzia, tanto astratto quanto importante. È incredibile credere che sia di così difficile definizione che tutt'oggi c'è chi ne dibatte l'esistenza. La sua portata, però, non può essere dissacrata. Anche se alcuni studiosi, tra cui Sindoria stessa, ne negano uno dei tratti più caratteristici.

Annuì, pensosa.

-Ho visto che parli liberamente, e questo è un bene. È molto importante, per chi pratica Aritmanzia, lasciare che le parole fluiscano senza argini. Una volta che sono state dette o scritte, le riflessioni precedenti non possono essere cancellate da quelle che seguono. È il solo modo per far sì che il pensiero evolva. La connessione tra passato, presente e futuro è stata già toccata nell'Aritmanzia Profetica e nell'Aritmanzia della Sorte, in particolare delle Date, che abbiamo trattato nell'ultima lezione e avrà un peso ancora maggiore nella prossima. Se avessi continuato a parlare, sono sicura che nel giro di qualche minuto saresti approdata a un'altra riflessione. - avvicinò ancora le ciglia tra loro -Ciò che hai chiamato "filtro" è lo Stato Originario: la predisposizione già data dell'essere umano, quella da cui parte la sua esistenza. È una predisposizione percettiva? Certamente. Vi è un codice genetico, caratteristiche fisiche che pur essendo conseguenza di una storia pregressa che anticipa la nostra nascita, ha un'influenza più o meno possente sul nostro presente e sul nostro futuro. Nel continuare il tuo ragionamento, hai parlato di esperienza e di interazione con gli altri come se fossero due cose distinte. In Aritmanzia, trattando lo Stato Originario, si porta spessissimo l'esempio dell'uomo isolato dalla nascita. Durante i miei M.A.G.O...

Si passò la lingua sul labbro inferiore e fece una pausa. L'espressione sul volto della strega si fece improvvisamente grave e vigile. Il suo autocontrollo si acuiva quando sentiva di avvicinarsi a un'emozione prevedibile. Non poteva evitarla, ma anticiparla era possibile.

-Portai una tesina sullo Stato Originario. Allora era un tema molto di moda tra gli Aritmanti, ed è tornato attuale negli ultimi anni. Il professor Balerion lo trattò a propria volta nel suo M.A.G.O. di Aritmanzia: parlò di un tentato riavvicinamento allo Stato Originario da parte di un soggetto che aveva condotto fino a quel punto una vita normale. Nella mia tesina, io parlai di qualcosa di simile, ma nel mio caso volevo studiare le conseguenze aritmantiche di un isolamento forzato. Come sai, l'Aritmanzia Avanzata si riferisce a chi compie i calcoli: sono pochissime le branche che permettono analisi su soggetti diversi da chi compie il calcolo, è più facile trovare casi, come quello dell'approccio Sindoriano o del lavoro che segue la Notte dell'Aritmante, in cui un secondo soggetto, in genere un esperto della disciplina, fornisce un aiuto nei calcoli, ma sempre relativamente al "soggetto calcolante". L'Aritmanzia Avanzata è soprattutto riflessiva. Siccome avevo le mie buone ragioni per credere che un isolamento volontario non costituisse un avvicinamento allo Stato Originario, dovevo per forza cambiare alcune variabili: scelsi quindi un isolamento indipendente dalla scelta dell'individuo ed ebbi la fortuna di trovare un soggetto che, per quanto non coincidente con chi effettuava i calcoli, cioè me, potesse almeno essere un Aritmante. Credevo che potesse portare a risposte più precise, anche se probabilmente era una scelta un po' ingenua. Ebbene...- alzò le sopracciglia, mantenendo l'aria grave e gli occhi fissi in quelli della sua giovane interlocutrice. -Forse lo hai già immaginato. Per completare la mia ricerca, riuscii a ottenere, tramite il mio professore di Aritmanzia, che aveva lavorato per l'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, il permesso di fare visita a un detenuto di Azkaban che prima della reclusione era stato un Aritmante.

La scelta di quei tempi verbali non fu casuale, e l'espressione seria che aleggiava al di sopra della mascella leggermente contratta lo confermava. Non si poteva dire che una persona rimanesse quello che era stata prima di entrare ad Azkaban. L'identità era solo una delle tante cose che i detenuti della prigione perdevano; quella prima visita glielo aveva fatto scoprire nella maniera più brutale.
(E non è solo Azkaban. Come visite più recenti ti hanno fatto scoprire, forse ancora più brutalmente.)

-Lo chiameremo G.X., per proteggere il suo anonimato. Non trovai quello che cercavo. La mente di quell'uomo era...- si interruppe, e deglutì -Non era più. Si trovava ad Azkaban da sette anni. Curiosamente, era stato arrestato e portato alla prigione lo stesso giorno in cui io avevo fatto il mio ingresso a Hogwarts. C'era una coincidenza perversa in questo? Non lo so. Forse è una dei miliardi di connessioni che non siamo portati a vedere. Comunque, mi fu subito chiaro che lo stato della sua salute mentale non avrebbe reso giustizia al mio calcolo. Tuttavia, potei sfruttare i pochi minuti che mi erano stati concessi per la visita osservandolo. Lui era... solo vagamente consapevole della mia presenza. Parlava fitto e bassa voce, osservando punti molto precisi della parete della cella che dava sul mare. Prendendo appunti, distinsi parecchi nomi propri nel suo eloquio: quarantadue, per la precisione. Joshua, Gail, Demi, Trudy, Polly, Oliver... Non era una vera e propria litania, sembrava più una conversazione a più persone. Mentre parlava, si voltava verso punti diversi della sua cella. Quando tornai a Hogwarts, mentre scrivevo la mia tesina e negli anni seguenti, mi interrogai a lungo su cosa quel comportamento potesse significare. La pazzia è soltanto una delle versioni possibili di noi stessi: può essere rivelatrice quanto la sanità mentale, forse lo è addirittura di più. C'è chi sostiene che i pazzi siano gli unici in grado di riattivare lo Stato Originario dopo essere stati "contaminati" da esperienze esterne. Non so se condivido una posizione tanto estrema, ma non è questo che importa, in questo momento. No, il punto di questo lungo discorso è che G.X., e come lui tutti coloro che cercano di ritrovare lo Stato Originario nell'isolamento, non sono buoni soggetti per quel tipo di ricerca. Perché un essere umano dotato di capacità intellettive non è mai veramente solo.

Sospirò profondamente, ora lievemente più rilassata.

-G.X. parlava con le pietre che costituivano le pareti della sua cella. Ognuna di loro aveva un nome, una personalità, gli rispondeva. Erano diventate per lui di una tale compagnia che nemmeno la presenza di un vero essere umano al di là delle sbarre poteva distrarlo da una conversazione con loro. - abbassò appena lo sguardo -G.X. non era mai stato davvero isolato. Il pensiero che più mi tormenta, quando mi soffermo a ricordarlo, è che le pietre erano per lui più reali di me. Avevano contribuito alla sua costruzione, alla sua evoluzione, più di quanto potesse fare un breve incontro con me, che pure ero lì, in carne e ossa.

Fece una pausa. Poi, si schiarì la voce.

-Non esiste esperienza che non includa un altro essere umano. Ciascuno di noi è continuamente in rapporto con qualcuno, anche in assenza di un'altra persona vera e propria. Siamo in contatto con noi stessi, e per questo intendiamo le persone che siamo state in passato, le possibili versioni di noi che convivono nel presente e che possono realizzarsi nel nostro futuro. Capisci ora come "filtro", "esperienza" e "interazione con l'altro" siano praticamente la stessa cosa: è tutto riducibile a una pluralità di percezioni in continua connessione con se stessa. - si portò una mano sotto il mento -Ma questo come si lega all'Aritmanzia? Nell'unicità indescrivibile e irriproducibile di ogni istante abbiamo una fitta rete di relazioni arricchenti e costituenti tra un uomo e una pietra. Un oggetto presente nel nostro campo percettivo ci "modella", seppur in maniera infinitesimale, conferisce un'unicità irripetibile a un dato momento. Un singolo oggetto può avere un enorme valore aritmantico se deriva da esperienze ricche di significato aritmantico: è ciò che definiamo Charm, un concetto di cui ho già parlato con una mia Pupilla passata e che probabilmente si ripresenterà a lezione nel programma futuro. Il Charm è una componente potente del quadro in cui si svolge un'azione di cui vogliamo controllare un esito, anche se in minima parte.

Inarcò ancora le sopracciglia mentre fissava Aryanne con aria intrigata.

-Nell'Aritmanzia da Duello, e in generale nell'Aritmanzia Avanzata, abbiamo un elevato potenziale di controllo su situazioni molto circoscritte: è quello che possiamo ottenere con un Charm. Per situazioni meno circoscritte, più ampie, il controllo si fa più vago e incerto: per questo, c'è bisogno di un elemento estremamente più contestualizzante di un Charm. Abbiamo parlato della fitta di relazioni che un uomo isolato può intessere con un pezzo di pietra. Abbiamo detto cosa si intende per "esperienza", sempre e comunque. Ripensa alla Tela Bianca, a quello che hai vissuto nel Corso Estivo. E dimmi qual è, secondo te, l'elemento fondamentale di cui un Aritmante può disporre per controllare una data situazione. Quella variabile così altamente complessa e unica da poter fungere da sola da fetta importantissima del contesto.

Il silenzio attorno a loro, dopo le sue parole, si fece più denso. Si accentuò la consapevolezza che concludeva quel discorso: c'erano soltanto loro due, lì dentro.
Ed era proprio quello il punto.

-Kedavra

Edited by J. F. - 12/2/2017, 06:19
 
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Era ovvio che Kedavra fosse stata una studentessa, ma ad Aryanne la faccenda suscitò comunque una vaga perplessità. Le risultava piuttosto strano immaginare la Preside alle prese con i suoi stessi esami, con gli stessi dubbi, l’ansia in vista di un’esercitazione complessa, la noia soporifera tipica della materia più odiata. Eppure in tempi diversi avevano abitato la stessa sala comune, il Cappello Parlante aveva gridato per loro il nome della medesima Casata e in Sala Grande avevano occupato lo stesso tavolo. Inclinò il capo di lato, guardandola con la testa retta dai pugni chiusi con le nocche sbiancate, in un atteggiamento di rapita concentrazione. In quella scuola che per lei era una casa, dunque, era possibile piantare i semi dell’ambizione per vederli sbocciare in un tripudio di traguardi e realizzazione personale: era una certezza che accarezzava da un po’, ma vederla muoversi, ascoltarla parlare e respirare era tutt’altra cosa. Kedavra Mandylion, che qualche anno prima aveva indossato la stessa cravatta che colorava la divisa di Aryanne, era la personificazione di una consapevolezza, di una possibilità. Era possibile essere grandi, in più di un senso; si poteva crescere e restare interessanti. La passione per l’Aritmanzia che accomunava Maestra e Pupilla era per la Wolfe un altro degli invisibili fili del destino che, annodati intorno al suo mignolo, la legavano al mondo: il primo l’aveva strattonata verso i sotterranei del castello, mentre il secondo l’aveva guidata dolcemente fino all’ufficio della Preside. Erano felicità e speranze di natura piuttosto diversa, ma potevano di certo convivere, soprattutto finché entrambe fossero state venate della stessa sottile ambizione.
Dunque la Wolfe ascoltava l’Aritmante che le parlava del viaggio ad Azkaban fatto quando era solo una studentessa in cerca di risposte. Teneva gli occhi in quelli marini della donna e immaginava di vedervi il tormentato agitarsi delle acque intorno alla prigione, di respirare l’aria lambita dai rantoli delle guardie della struttura, di riuscire a porsi le domande scomode che si affacciavano sempre nella mente di fronte agli abissi dell’umanità: potrebbe succedere anche a me? Ma per Kedavra la risposta era scritta nell’apparente coincidenza temporale che aveva voluto che l’uomo interrogato fosse stato rinchiuso in prigione proprio quando la Mandylion undicenne metteva piede a Hogwarts. Mentre la carriera aritmantica di G.X. si avviava al patibolo, quella della Preside alzava il capo verso il cielo e si preparava a spiccare il volo. G.X. era stato un Aritmante, ma Azkaban doveva avergli strappato ogni dono, ogni attitudine e interesse. L’Aritmanzia in cambio delle pietre con cui conversare: doveva essergli sembrato uno scambio accettabile.
Annuì, assorta, quando la Preside le svelò che non esisteva esperienza che non includesse qualcun altro, anche nella solitudine. Inizialmente, in uno slancio irrazionale d’indipendenza, quel pensiero la spaventò: pur trovandosi generalmente a proprio agio con le persone, preferiva considerarsi intimamente estranea e lontana da loro. L’idea di non poter essere mai davvero sola le parve sfiancante, ma l’accenno al Corso di una precedente Pupilla arrivò lesto a sciacquare via ogni cruccio. Si agitò vagamente sulla sedia, mettendosi ben dritta e tendendosi verso la docente per ascoltarne ogni parola e non perdere neanche un fiato della sua spiegazione. Avrebbero trattato i Charm anche a lezione: l’idea di poter dare un’approfondita sbirciata alle conoscenze riservate a uno degli altri Pupilli la fece sentire elettrica.
Arrivò la domanda successiva e Aryanne l’accolse nel silenzio. Arricciò le labbra, mentre teneva in considerazione gli elementi che Kedavra le aveva offerto per formulare una risposta. Prima di eccedere nel mutismo, prese a riflettere ad alta voce.
«Abbiamo detto che l’esperienza è l’insieme delle percezioni che ci modellano attraverso le nostre interazioni con un altro essere umano o con noi stessi. Le Tela Bianca Sindoriana, invece, è la Normalità, ovvero una situazione caratterizzata da comunione, oggettività e novità - riassunse, tentato di lastricare il sentiero che, forse, l’avrebbe condotta a una risposta. Ripensò alla barca che si muoveva in seguito al tuffo della Preside e per un momento si sentì ondeggiare. - Si tratta in entrambi i casi di qualcosa all’infuori di noi. Penso che l’elemento fondamentale e contestualizzante sul quale un Aritmante può contare sia la conoscenza, ovvero il modo di mettere in conto l’influenza e le interferenze altrui nel quadro generale. Per G.X. si trattava di conoscere le voci delle quarantadue pietre con le quali aveva intessuto delle relazioni indispensabili, mentre per noi si tratterà di conoscere chi ci sta intorno per tentare di prevedere le sue azioni, le sue parole, e, in questo modo, poter avere un maggior controllo della situazione. È un discorso applicabile anche a noi stessi, in effetti: conoscendoci, siamo in grado di spiegare, metabolizzare e dunque controllare le nostre reazioni, o almeno una parte. Una maggior consapevolezza di sé e di chi ci sta intorno tende a diminuire la possibilità che vi siano delle sorprese, piacevoli o meno, e questo ci permette di non perdere mai davvero il controllo. È l’inaspettato che ci priva della facoltà di controllare ciò che ci circonda, dunque è la conoscenza che ci aiuta ad avere padronanza di noi e del mondo. - Strinse gli occhi, cercando le parole giuste per argomentare. - Sulla barca, al corso estivo, lei ha tracciato dei brevi profili di tutti noi. Quando, dunque, ci siamo trovati completamente immersi nella Tela Bianca Sindoriana, con gli avvincini che tentavano di rovesciare l’imbarcazione e di raggiungerla mentre nuotava, avevamo qualche elemento utile per prevedere il comportamento altrui e, dunque, avere un maggior controllo della situazione. Sapendo che alcuni di noi si sarebbero occupati delle creature attaccate al fianco della barca, conoscevamo un elemento necessario a comprendere la situazione e agire di conseguenza. Con la consapevolezza che, secondo la propria natura, qualcuno l’avrebbe aiutata a liberarsi dei suoi inseguitori, poi, chiunque avesse deciso di occuparsi della barca avrebbe potuto farlo con minori incertezze e maggior controllo, senza dover pensare alla sua incolumità. - Aggrottò le sopracciglia, allora, e allungò le braccia sul banco di fronte a sé, intrecciando le dita tra loro. - Sì, dunque… credo che sia la conoscenza l’elemento fondamentale per il controllo di una situazione. Si tratta di una variabile perché non è detto che noi conosciamo qualcosa della situazione data o che ne conosciamo abbastanza elementi da potervi esercitare un controllo effettivo; è complessa e unica perché… beh, ogni situazione è diversa dall’altra, sì.» Annuì e deglutì rumorosamente, mentre aspettava un riscontro da Kedavra. Scoprì con grande meraviglia di essere arrivata a sedersi tanto sul ciglio della sedia da essere sul punto di scivolare giù: non se n’era accorta.
Pur sapendo che la Preside era una persona adulta e, dunque, ben più matura e intelligente di lei, non poté trattenersi e si sentì in colpa per non aver neanche tentato di salvarla dagli avvincini che la tallonavano; le scappò il guizzo di un pensiero infantile e si domandò se l’Aritmante si fosse mai offesa per quella sua scelta spietata. Un lieve rossore alle guance denunciò il trenino di pensieri sciocchi e inopportuni che le correva inarrestabile per la testa: vi portò le mani e rivolse un sorriso tremolante alla professoressa.
 
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L'Aritmante ascoltò con grande interesse le riflessioni di Aryanne. La strega era profondamente convinta che i flussi di coscienza fossero come fiumi che scorrevano, a volte in piena corrente, talvolta con più tranquillità: se ci si armava di setaccio e pazienza, era possibile trovare qualche piccola pepita d'oro tra la fanghiglia fertile. Era un'operazione che richiedeva almeno due persone, una che parlasse, e l'altra che fosse disposta all'ascolto. Spesso gli studenti cadevano nella convinzione erronea che filtrare i pensieri prima di tradurli in parole, quando si trattava di rispondere a una domanda aperta, fosse un'operazione dovuta. Il trattenersi dall'esporre un lungo ragionamento od opinioni troppo oneste era una buona norma sociale che si apprendeva per evitare imbarazzo e mancanze di rispetto; ma vi erano dei casi in cui la presenza di un ascoltatore più o meno autorevole doveva essere messa in secondo piano per il bene di ciò che da una libera riflessione a voce alta avrebbe potuto fare emergere.
Kedavra aveva già notato che queste barriere erano sovente superate durante i Corsi Pupillo, in un rapporto privilegiato in cui il modello della lezione lasciava spazio a una conversazione dove non esistessero gerarchie, né di ruoli, né di conoscenza posseduta. Era vero che la Preside aveva studiato a lungo, ma in Aritmanzia le scoperte erano frequenti, e non esisteva via più fruttuosa per incontrarle se non conversare con qualcuno che potesse analizzare le questioni senza essere schiavo di schemi mentali ormai ben costruiti e solidi.
L'Aritmante fissò Aryanne con attenta curiosità. Grazie alla fluidità del discorso della Grifondoro, aveva iniziato a capire come funzionasse il suo modo di ragionare e il rapporto che intercorreva tra questo e la sua scelta espositiva. Dopo una breve considerazione, decise di parlare francamente.

-Hai un ottimo intuito, Aryanne. - osservò, muovendo leggermente il mento in un cenno di assenso -Sei arrivata a tutte le risposte finora, ma lo hai fatto solo dopo averne preventivamente selezionata una da presentarmi. Fai bene a scavare più a fondo. Non dovresti avere fretta di isolare uno solo dei concetti che analizzi. Vorrei per questo aiutarti ad arrivare alla verità, di cui mi hai già parlato, vedendola però con i tuoi occhi.

Inclinò la testa, ripensando alle sue parole.

-La conoscenza è l'elemento fondamentale di cui può disporre un Aritmante, certo. La conoscenza è per un Aritmante mezzo e fine. Ciò che cambia è il contenuto di questa conoscenza. Conosciamo la Tabella Aritmantica, la Somma Aritmantica, la Griglia di Interpretazione di rami dell'Aritmanzia già consolidati. Conosciamo la metodologia da applicare, ciò che dobbiamo osservare e tradurre in cifre, calcoli e procedimenti. Usiamo come strumento la conoscenza dell'immanente, potremmo dire, il qui e ora, per giungere alla conoscenza di un contenuto trascendentale: l'aderenza delle nostre scelte al corso del Destino, stralci di futuro, la Propensione al lancio di determinati Incantesimi, e molto altro. Conoscenza come mezzo, conoscenza come scopo. Ma siamo nell'ambito dell'Aritmanzia Avanzata, adesso. Abbiamo parlato dell'incommensurabile vastità delle variabili di ogni situazione, il primo e più importante ostacolo alla nostra vera conoscenza dell'immanente, l'unico limite che la nostra umanità ci pone nei confronti della conoscenza aritmantica di ciò che è trascendente. Ti ho fatto l'esempio del Charm, anche se non siamo entrate nel merito dell'argomento -- richiederebbe un Corso Pupillo come quello che ho svolto con l'attuale professoressa Maranta! -- per darti un'idea di come la conoscenza -- e il conseguente controllo -- di una piccola fetta del contesto possa portare a una maggiore conoscenza degli effetti attesi. Ti ho portato l'esempio della mia esperienza con G.X. per dimostrarti che un oggetto può racchiudere in sé molte variabili, ma che in realtà gli oggetti veri e propri, in senso aritmantico, non esistono. G.X. non vedeva pietre, e non conversava con sassi. Nel comportamento di un uomo isolato rimane comunque una tendenza alla completezza, alla complessità che soltanto un elemento del nostro essere umani ci può assicurare: quello su cui la nostra identità, potremmo dire biologica, è fondata. Un oggetto, specie se legato a proiezioni dell'interiorità dell'Aritmante, può fungere da importante predittore di controllo di determinate situazioni, aiutarci notevolmente con i calcoli e con il controllo che cerchiamo. Il nostro lavoro sarà meno sicuro di quello con un Charm; per renderlo possibile, dovrà essere più focalizzato su una circostanza più definita e meno riproducibile; perché la variabile che tenteremo di controllare non sarà un oggetto. Interverremo aritmanticamente sulla variabile più complessa che possa esistere, quella più vicina all'essenza dell'umanità stessa. Una variabile senza la quale, come hai detto tu stessa, saremmo rimasti dei blocchi di creta per lo più informi. Il Charm è un oggetto che tramite determinati processi diventa un elemento di controllo del contesto, da sfruttare in determinati modi. Riesci a pensare a una variabile fondamentale per un essere umano, presente in qualunque situazione (ricorda il caso G.X.), generalmente imprevedibile, ma così ricca di caratteristiche uniche che la sua sola presenza possa avere un'influenza enorme su un contesto?

G.X. ne era stato privato, e aveva dovuto costruirsele da solo.
Aryanne riusciva a pensarci, perché molte sue riflessioni l'avevano già condotta alla risposta. Adesso si trattava soltanto di fare l'ultimo collegamento, di capire che da quando quella lezione era cominciata, avevano parlato soltanto di una cosa.

-Kedavra
 
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view post Posted on 27/2/2017, 00:06
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Aver mancato il punto le fece aggrottare le sopracciglia e abbassare lo sguardo. Era tragicamente certa che, se avesse scrutato il volto della Preside, l’avrebbe trovato illuminato brevemente dal lampo della delusione, perciò non si azzardò ad alzare gli occhi su di lei, spaventata com’era all’idea di poter tornare nell’ombra. Per un lungo momento, invece, fissò la pietra del pavimento. Il bisogno di compiacere Kedavra perché lei, con tutto ciò che rappresentava, la considerasse una strega degna di quella scuola, della bacchetta che brandiva, del futuro che voleva, le correva addosso come una scarica elettrica e la faceva fremere; sfogò il nervosismo facendo dondolare scompostamente un piedino sotto il banco e riportò le pupille sull’Aritmante. Le sue parole presto la catturarono e fu lieta di sentirsele fluire addosso: i pensieri innescati dalla Mandylion erano acqua fresca e attenuavano ogni bruciore. Anche G.X., con le sue pietre, aveva sentito quello che lei riusciva a percepire in presenza della Preside? I sassi avevano influito sul suo umore, avevano pesato sulle sue giornate fino a cambiarle? Lo facevano sentire felice, triste? Lo gratificavano e gli davano un motivo per esistere, per resistere alla spirale spersonalizzante innescata da Azkaban?
Il volto si distese, mentre prendeva un breve respiro.
«Non è un oggetto. È presente in qualsiasi situazione. È qualcosa su cui è fondata la nostra natura di esseri umani, qualcosa che ci completa e ci rende più complessi. È ciò con cui modelliamo la creta della quale siamo fatti. - Riassunse gli elementi raccolti dall’esposizione della Professoressa. Involontariamente tese un indice nell’aria tra sé e la donna. - Sono... le relazioni con gli altri? I legami e le interazioni che li compongono. Nella cella di G.X. non c’era nessuno a parte lui. Non poteva intrecciare alcun rapporto, perché non c’era nessun altro all’infuori di lui. Per continuare a esistere come essere umano, nella ricerca di una completezza e di una comunità che potesse offrigliela, grazie alla moltitudine di relazioni possibili con tutte le pietre che componevano la sua cella G.X. ha posto rimedio al suo isolamento. Ha immaginato e creato per se stesso una folla di personalità complesse che potessero continuare a offrirgli esperienze e input utili per modellare se stesso. Ha risposto al proprio bisogno dando a queste entità dei nomi, delle voci, le ha fatte diventare delle identità a sé. Con le pietre ha intrattenuto conversazioni che l’hanno talmente assorbito da fargli dimenticare la realtà che lo circondava, una realtà effettivamente triste e indesiderabile. - Si umettò le labbra. - In condizioni normali non sono necessari tali sforzi di immaginazione e disperazione, poiché, come ha detto lei poco fa, siamo costantemente in contatto con gli altri, anche quando con noi non c’è nessuno. Forse quest’ultima condizione non è stata sufficiente nel caso dell’isolamento forzato di G.X. per aiutarlo a sopravvivere, dunque ha dovuto ricorrere alle pietre della cella. Ma tra gli altri le relazioni sono una costante, ci sono sempre, pur variando nella loro natura. Che siano superficiali, approfondite, tormentate o noiose, modellano la nostra vita e noi stessi in modo unico: se in quest’aula fossimo state entrambe in compagnia di qualcun altro, ci staremmo comportando in modo diverso e l’incontro lo sarebbe stato altrettanto. - Le sorrise. -Quindi... sì, ecco. Le relazioni. Immagino che in alcune situazioni la presenza di una relazione, avendo inoltre la possibilità di alterarne la natura, possa influire pesantemente sul contesto.» E mentre con la mente pregava di non aver fatto schifo, gli occhi le brillavano di entusiasmo e continuavano a comunicare alla Preside quanto fosse felice di poter discutere di argomenti tanto alti che, probabilmente, passeggiavano leggeri sul soffitto dell’aula.
 
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view post Posted on 2/3/2017, 01:21
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Kedavra era troppo impegnata a osservare la reazione di Aryanne a quel sentimento nuovo per commentare immediatamente. Tutti i suoi Pupilli, a un certo punto, si erano sentiti inadeguati. Fos, come lei aveva previsto, si era infuriato con se stesso e aveva lasciato che quella rabbia si proiettasse anche all'esterno; Zerby, invece, era stata elegante. L'attuale professoressa Maranta aveva gestito l'intera durata del corso con una classe che andava realmente al di là della sua età: il suo primo fallimento con gli Esami l'aveva forgiata, regalandole esperienze nuove di cui aveva potuto raccogliere i frutti, alla fine.
Alla Preside non sfuggì l'accenno nervoso del piede della Grifondoro, un modo come un altro per scaricare la tensione, o forse addirittura il fastidio, che la ragazza adottava proprio perché passasse inosservato. Ma nulla era al di fuori del suo interesse, niente di ciò che Aryanne potesse fare, e quelle piccole deviazioni dal comportamento standard che tutti, che lei stessa, si aspettavano dalla Wolfe, erano preziosi brilli di diamante nell'oscurità di quella routine che doveva reggere là, fuori dalle porte di quell'Aula.
La reazione di Aryanne presentava una qualche forma di regressione. Per un attimo, la Grifondoro apparve come una bambina, non così piccola da non avere mai ricevuto rimproveri, ma nemmeno tanto grande da avere già imparato a interiorizzarli. Eppure, non era stata affatto bacchettata; quella parte inconsciamente percettiva che a volte agisce negli esseri umani aveva portato Kedavra a esprimersi con estrema delicatezza, facilitata del resto dalla sicurezza che nelle parole della studentessa non ci fosse comunque nulla di completamente errato.
Registrò quanto era appena avvenuto e lo mise da parte come appunto mentale, quindi annuì, sentendo lei stessa un leggero sollievo da una tensione che forse aveva già iniziato a riflettere, come cassa di risonanza. Era bizzarro, ma in situazioni di estrema intimità come quella, si poteva arrivare anche a rassicurarsi da soli.

-La relazione. In particolare, la relazione tra esseri umani. Il caso di G.X. è particolarmente importante perché ci fa capire che in senso aritmantico non è importante che l'essere umano sia fisicamente presente, o che sia fisicamente separato dall'Aritmante: potrebbe essere semplicemente una sua proiezione. A dire il vero, se vogliamo di nuovo disturbare la filosofia, qualunque altro essere umano è una nostra proiezione: di ciò che possiamo percepire dell'altro, di ciò che ci è dato vedere, sentire, comprendere, e di ciò che siamo. Modelliamo mentre veniamo modellati.

Intrecciò le dita fino alle nocche. Alcune erano ormai permanentemente spellate per via delle esercitazioni con Jelonek e ciò non donava loro un bell'aspetto.

-Vale la pena precisare l'ovvio. Una pietra non è un essere umano, anche se in presenza di un essere umano può diventare molto di più di una pietra. Andiamo quindi a definire un nuovo concetto che ci tornerà molto utile: l'essere umano senziente è un Soggetto Aritmantico in quanto portatore e produttore di unicità. L'Aritmanzia parte dal presupposto che qualunque elemento dell'universo, anche quelli indefinitamente grandi o piccoli, esista in un momento e in uno spazio unici e irriproducibili. Appoggia però anche l'idea che l'incalcolabilità di queste variabili sia in qualche modo, in piccola parte, tangibile. Alla conoscenza segue il controllo, al controllo la conoscenza... ne abbiamo già parlato. Tuttavia, non esiste nell'universo un elemento tanto unico, irriproducibile e generatore di significati come l'essere umano, che è un portatore di un numero incalcolabile di variabili. Mi segui fin qui? Ciò significa che in un contesto in cui è presente un essere umano, la conoscenza aritmantica di quell'essere umano è conoscenza di una parte molto consistente del contesto. Alcuni studiosi, tra cui la nostra Sindoria, sostengono addirittura che in un contesto come può essere quello della cella di una prigione, la conoscenza aritmantica del soggetto che la abita -- G. X. -- corrisponda grossomodo alla conoscenza della metà delle variabili in gioco. Qual è la metà dell'infinito? Possiamo dire che sia un altro infinito. In ogni caso, è proprio una grandissima fetta di contesto, molto più di quanto potremmo sperare.

Sollevò un dito con aria intrigata.

-Sta per arrivare una domanda importante a coronare questo ragionamento. Ricorderai come è iniziato il Corso Estivo a cui hai preso parte, l'argomento su cui si è concentrato prima di parlare dell'Approccio Vivace. Dopo questo discorso, capirai da cosa è motivata la moderna riscoperta dell'Aritmanzia Semplice. Però tu hai parlato, correttamente, di relazione come strumento più fondamentale dell'Aritmante. L'Aritmanzia Semplice non presenta relazioni, si limita a descrivere. Potremmo dire che si fermi alla conoscenza. Ma cosa abbiamo appena detto del contesto? Che un Soggetto Aritmantico che conosce aritmanticamente se stesso, in un contesto, conosce idealmente già metà delle variabili in gioco. Grossolanamente possiamo dire che l'Aritmanzia Semplice rappresenti la conoscenza di sé a un certo livello, sei d'accordo? Ora ti chiedo: se un Soggetto Aritmantico in uno spazio rappresenta la metà delle variabili in un contesto... come possiamo avvicinarci, con una buona approssimazione, alla totalità di quelle variabili?

La prospettiva di una conoscenza così vasta si accompagnava a quella di un controllo quasi assoluto. Per quanto si trattasse di una possibilità teorica, era abbastanza per farla sentire elettrizzata. Guardò Aryanne, chiedendosi se stesse comprendendo dove voleva arrivare. Erano ormai lontane anni luce dagli argomenti del programma, e se non si faceva attenzione, la mente rischiava di vacillare.


-Kedavra
 
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view post Posted on 9/3/2017, 03:48
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Le parole di Kedavra le aprivano orizzonti di infiniti relativi: era complesso scrollarsi di dosso la concezione infantile di un infinito misurabile, grande come un oceano del quale era possibile quantificare l’estensione e la profondità - e che dunque era miseramente finito. Era tanto complesso che quasi sentì un vuoto nello stomaco. Si tenne ben salda al bordo del banco, aggrappandovisi con le mani ossute e insopportabilmente calde. Immaginava incombere su di loro un universo vibrante di immensità che l’avrebbe inghiottita, se non fosse stata attenta. Ma con lei c’era la Preside e la Preside l’aveva scelta: si disse che se avesse dovuto spingerla fuori dal nido, l’avrebbe fatto sapendo di averle concesso almeno una possibilità di non sfracellarsi miseramente al suolo, perché era così che si comportavano i Maestri. E giacché la Mandylion non le ispirava che fiducia, sentiva di poter credere in quella possibilità con una versione tremolante della stessa incrollabile forza con la quale credeva in Kedavra.
Ripensò al dondolio della barca, alle deduzioni dei corsisti e alle risposte della professoressa che si perdevano nell’aria ferma dell’estate. Di cosa avevano parlato, prima di essere presentati ufficialmente a Sindoria e al suo Approccio Vivace? Avrebbe dovuto chiedere alla docente il permesso di scrivere all’Aritmante, tra l’altro: magari le avrebbe fatto piacere ricevere la lettera di una studentessa fanatica che si scusava per tutte le volte che le aveva fatto fischiare le orecchie, tante erano state le occasioni di rivolgerle i propri pensieri. E mentre si immaginava nell’atto di vergare il nome della destinataria della sua ammirazione su una busta precedentemente inzuppata nel proprio profumo, compose pezzo per pezzo una risposta che le accese il volto come un Lumos.
«Forse dobbiamo conoscere il nome del maggior numero possibile di variabili presenti. Se conosciamo i nomi delle variabili in gioco, possiamo calcolare e trovare la loro Epitome S. - Strinse gli occhi, riportando alla memoria quanto era stato discusso in proposito sulla barca. - Durante il Corso Estivo abbiamo detto che l’Epitome S è il fulcro dell’Aritmanzia, che attraverso il suo calcolo e il successivo studio abbiamo la possibilità di indagare in profondità il soggetto scelto, poiché, nonostante per ottenerla ci si basi esclusivamente sull’Aritmanzia Semplice, l’Epitome S non vi resta confinata. Considerato che per ottenerla è necessario sommare il Numero del Cuore, il Numero del Carattere e il Numero Sociale, allora credo che conoscere il nome della variabile sia fondamentale. Conoscendo aritmanticamente tutte le variabili di uno spazio e potendo contare sulla conoscenza di metà del contesto grazie alla conoscenza aritmantica di se stessi, potremmo puntare a conoscere la totalità delle variabili. - Aggrottò le sopracciglia. - Prima ha detto che, aritmanticamente, gli oggetti veri e propri non esistono. Dall’esperienza di G.X., grazie alla complessa relazione con le pietre della sua cella che gli ha permesso di renderle qualcosa di più di semplici sassi, penso che allora sia possibile la conoscenza aritmantica degli oggetti, a patto che tra noi e loro vi sia un legame. Venendo in contatto con noi, smettono di essere delle semplici cose, acquistano un valore aritmantico e potrebbero diventare utili per conoscere un maggior numero di variabili. È una deduzione un po’ precipitosa?» domandò, afferrando sgraziatamente la piuma tanto per tenere impegnate le mani e fare qualcosa. Intanto cominciava a strisciarle in fondo alla pancia un’impazienza angosciante e vaga, perché si rese conto che i due soggetti più prepotentemente umani della stanza erano proprio lei e Kedavra; allora forse avrebbero potuto conoscersi meglio e tanto bastava per gettarla in uno stato di adolescente irrequietezza.
 
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view post Posted on 14/3/2017, 18:55
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Vedeva Aryanne avvicinarsi inevitabilmente al conflitto; ne era attratta e ne era respinta, in un gioco di forze che teneva in ostaggio la sua mente. Lei, Kedavra, lo aveva osservato durante il Corso Estivo: la Grifondoro era tentata dalla propria individualità, con cui intratteneva un duplice rapporto.
La personalità di Aryanne, per quanto ancora in nuce, era già tratteggiata per essere maestosa; lei l'aveva costruita affinché supplisse a quelle mancanze che temeva di riscontrare negli altri. Come G.X., non aveva paura di rimanere da sola; piuttosto, era pronta a fare di tutto per far sì che rimanere in compagnia di se stessa non avesse nulla di paragonabile alla solitudine. Già non le mancava niente. Si era preparata a contare sulle proprie forze, non per disprezzo verso gli altri, né per superbia. Il suo era un solipsismo antico che trovava nella profondità insondabili della propria anima un numero di risposte che eccedevano le domande che le avrebbe potuto rivolgere il mondo.
L'Aritmante non si sorprese di quella resistenza da parte sua. Giungere alla risposta non avrebbe significato superarla, ma avvicinarsi al modo in cui funzionavano i suoi ragionamenti, a capire cosa si potesse celare in quelle zone d'ombra che la sua percezione le occultava.

-Certo, l'Epitome S è uno dei mezzi aritmanticamente più affidabili per approdare a una vera e propria conoscenza dell'individuo. Ne faremo uso, richiamandoci a quanto i nostri studi sull'approccio Vivace hanno già avuto modo di confermare. - accompagnò il filo dei pensieri della ragazza in tono tranquillo.

Non poteva sapere per quanto quella cecità selettiva avrebbe tenuto Aryanne Wolfe lontana dalla risposta, la pietra angolare del loro lavoro successivo, ma non esisteva alcuna fretta. Il Corso che aveva preparato per lei era lungo e particolarmente disseminato di scogli, per cui era necessaria una certa serenità di fondo, da parte sua abbastanza scontata. Era possibile che invece la Grifondoro si spazientisse per quelle frustrazioni? Se Kedavra avesse dovuto giudicare dalle proprie esperienze con Fos McGene e con diverse Reclute Auror, avrebbe certamente risposto di sì. La frustrazione non proviene necessariamente da chi insegna; a volte è semplicemente il frutto di proiezioni, il fiore che sboccia quando le aspettative dell'apprendista su se stesso, nate in parte proprio dalle credenze sulle attese altrui, non vengono realizzate. Forse Aryanne si sarebbe lasciata sedurre dalla delusione e dal senso di sconfitta, prima o poi, ma ne sarebbe uscita. Su questo, Kedavra non aveva dubbi.
Per il momento, comunque, la Preside misurò con attenzione voce e parole. Non esistevano ancora traguardi da raggiungere, in quella conversazione. Era soltanto una costruzione fatta a due, e che lei conoscesse già la risposta alle domande che le poneva non bastava a creare un vero squilibrio tra di loro. Sperava che la sua Pupilla riuscisse a tenerlo presente.

-La relazione è strumento e fine dell'indagine aritmantica. L'Aritmanzia Semplice ha un carattere piuttosto riflessivo. Si tratta di calcoli fatti dall'Aritmante su se stesso. Abbiamo detto che la totalità delle variabili in gioco è ineffabile per noi; possiamo avvicinarci a conoscerla solo con una certa approssimazione. È la complessità dell'essere umano a renderlo possibile. La semplice presenza di un essere umano -- un Soggetto Aritmantico -- introduce un'altra "finita infinità" di variabili in un contesto, ma a differenza di quanto avviene con le variabili selvagge ed estranee del mondo esterno, noi possiamo conoscere in maniera alquanto approfondita l'essere umano proprio grazie all'Aritmanzia Semplice. È vero, un Soggetto Aritmantico non vive senza relazioni, ed è pronto a "soggettivizzare" anche oggetti, materia priva di profondità, come è accaduto a G.X. Non di meno, una pietra non potrà mai auto-conoscersi tramite l'Aritmanzia Semplice, giusto? Soltanto un essere umano può farlo. Ripetiamo. La teoria sostiene che un Soggetto Aritmantico che conosce aritmanticamente se stesso, in un contesto, conosce idealmente già metà delle variabili in gioco. Fin qui abbiamo parlato di relazioni, e abbiamo appena detto che l'essere umano vive di relazioni anche a costo di intesserle con materia non cosciente; quest'ultima, però, non è un Soggetto Aritmantico. Un Soggetto Aritmantico in un contesto rappresenta un numero così elevato di variabili da costituirne la metà, la metà di qualcosa di infinito; se nell'altra metà ci fosse il vuoto, per esempio la nuda materia di un pavimento, di un muro, del tempo che passa, queste variabili rimarrebbero fuori dal nostro controllo. Abbiamo parlato di relazioni, relazioni vere, non tra un Soggetto Aritmantico e una pietra da lui soggettivata, ma tra un Soggetto Aritmantico e...? Quale altro elemento può pareggiare la sua complessità? Cosa ci deve essere nell'altra metà, perché anche la restante metà possa essere conosciuta? Cos'altro potrebbe avere un'Epitome S calcolabile, a parte il nostro Soggetto Aritmantico di partenza? Abbiamo parlato di relazioni. - ripeté, gli occhi brillanti rivolti verso la Pupilla.

-Kedavra
 
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view post Posted on 15/3/2017, 03:02
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Le finite infinità di Aryanne e Kedavra convivevano nell'aula di Aritmanzia, miracolosamente contenute tra le pareti della stanza. Mentre la prima vorticava intorno a se stessa, rimuginando e brontolando, la seconda porgeva una mano gentile e si lasciava sfiorare: il contatto tra un infinito e l'altro permetteva alla conoscenza di correre libera, raggiungere la Pupilla e contaminarla, come una foglia di tè capace di tingere un'intera tazza d'acqua. La Grifondoro ascoltò attentamente le osservazioni della Preside, sbattendo le ciglia ogni volta che un concetto minacciava di sfuggirle. Aggrottò le sopracciglia, si trovò immersa nella vergogna fino alla gola e avvampò: il volto si chiazzò dell'imbarazzo di chi voleva far bene, ma non era capace di tradurre quell'intenzione in fatti. Era più brava a traslare in cifre aritmantiche che a dar voce ai propri pensieri; paradossalmente la cosa la fece sorridere. Alzò gli occhi sulla Preside e annuì man mano che il filo del suo discorso veniva dipanato e Aryanne credeva di riuscire a seguirlo, di poterlo risalire fino a trovare il bandolo della matassa.
«Nell'altra metà devono esserci delle persone. Per avvicinarci alla conoscenza della totalità delle variabili presenti, dovremmo conoscere aritmanticamente le persone o la persona presenti. Sono loro ad avere un'Epitome S che potremmo calcolare. In questa stanza, per esempio, lei dovrebbe conoscere aritmanticamente me per avere un quadro più o meno completo dell'intero contesto. Io dovrei fare lo stesso con lei. Se ci fosse qualcun altro con noi, dovremmo tenere in considerazione anche lui e tutti quelli che si aggiungeranno. Più persone aggiungiamo al totale dei presenti, più il numero di infinità finite aumenta, tendendo a un infinito piuttosto finito, credo - rispose, inclinando il capo. - Le chiedo scusa, Professoressa: prima non mi sono proprio spiegata, ho fatto un pasticcio. Ecco, rispondendo alla sua domanda e parlando di quelle variabili delle quali era necessario - secondo me - conoscere il nome, non sono stata precisa, sono stata vaga - e annuì, osservando le iridi acquamarina della donna e cercandovi l'immagine di se stessa. - Mi riferivo alle persone, inizialmente, ma non l'ho detto. Per questo, poi, ho azzardato l'ipotesi riguardo la possibilità di conoscere gli oggetti: perché ero tutta bell'e convinta di aver già parlato di variabili intese come altre persone, altre finite infinità, ma non l'ho fatto. - Arricciò le labbra. - Mi scusi. Mi sono fatta trascinare dal discorso, ma... - Tamburellò con le unghie sul banco, nervosamente, sempre più in tinta con le righe scarlatte della sua cravatta, mentre rimuginava e frugava in un baule di sincerità. - È tutto interessante e mi entusiasma parecchio, ecco.» Annuì, infine, e sorrise, più per imbarazzo che per reale allegria. Certo, era più felice di quanto fosse mai stata in un'aula scolastica, ma il rischio di un auto-sabotaggio era piuttosto spaventoso, dunque non c'era niente di cui ridere. La sua individualità, rispetto a quella che Kedavra le manifestava con quieta eleganza, le sembrava tanto storta e stonata da fare orrore.
 
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view post Posted on 22/3/2017, 02:25
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O Z Y M A N D I A S

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Erano arrivate - già arrivate - al punto in cui la loro relazione, che in quel momento era rappresentata dalla loro conversazione, diventava concreta, si materializzava tra loro, e potevano già percepirla come un vero e proprio oggetto nella stanza. Questo aveva già a che vedere con ciò che avrebbero realizzato insieme. Kedavra se ne accorse quando si ritrovò prima ad annuire, poi ad alzarsi dalla cattedra per prendere a misurare il lato più lungo della lavagna a passi meditabondi, con un mezzo sorriso, grato, timido e fiero insieme, in risposta alle parole della Grifondoro. Quell'imbarazzo quasi fisiologico dovuto alla situazione insolita del trovarsi faccia a faccia con uno studente si era sciolto, aveva lasciato spazio a qualcosa di molto più importante; lei stessa aveva inconsciamente abbandonato il controllo delle proprie espressioni, perché non aveva più tempo da perdere a guardarsi dall'esterno, specchiandosi negli occhi affamati di sapere di Aryanne.
Le mani allacciate dietro la schiena, Kedavra camminava lasciando che la gonna dell'abito le ondeggiasse intorno alla parte alta degli stivaletti: altri rumori che non sentiva.
Quello che si accingeva a spiegare era un argomento noto e certamente più assodato di quello che aveva sottoposto a Fos McGene, però meritava la sua massima attenzione. Non c'era nulla di troppo scontato nell'Aritmanzia, e in quel campo meno che in altri. Soprattutto, in ogni punto di quel percorso che si apprestava a presentare alla sua Pupilla potevano aprirsi nuove porte, e loro dovevano essere abbastanza accorte da non lasciare che si chiudessero.

-Durante il Corso Estivo ho svolto il ruolo di Osservatrice esterna, se ben ricordi. Ti ho detto che Sindoria appoggia questo tipo di ragionamenti, tant'è vero che la Tela Bianca si dispiega efficacemente in una situazione di interazione collettiva tra più soggetti. L'Aritmanzia Semplice assegna già una certa importanza alla socialità: uno dei tre numeri che la costituiscono riguarda proprio il comportamento del soggetto nell'interazione, e il modo in cui il soggetto appare agli altri. Ora, durante la tua prova della Tela Bianca io non sono intervenuta se non, appunto, come osservatrice esterna: ho tratto le somme di quello che ho osservato, svolgendo il compito che Sindoria mi ha assegnato in quanto unica partecipante con una lunga esperienza aritmantica. Abbiamo raccolto alcuni dati sulle tue caratteristiche, tratti arricchenti il Profilo Aritmantico che emerge da una banale analisi di Aritmanzia Semplice. Torneremo a utilizzare quei dati in uno dei numerosi calcoli -- lunghi, ma non complessi -- che Sindoria ha elaborato nella frangia applicativa del suo approccio.

Si fermò a metà della lavagna, sfiorandone distrattamente la superficie, caricandosi i polpastrelli di gesso.

-Nel nostro discorso introduttivo abbiamo detto che l'Aritmanzia si serve dell'analisi del contesto per poterlo conoscere, e poi usa questa conoscenza per arrivare a un controllo sul contesto stesso. Le definizioni canoniche inseriscono questo fine pratico dell'Aritmanzia sotto l'enorme categorizzazione dell'Aritmanzia Avanzata, ma secondo me si dovrebbe parlare di Aritmanzia Avanzata solo laddove il fine sia conoscitivo. Sarebbe più appropriato parlare di Aritmanzia Ibrida, un concetto che ho presentato nella mia ultima lezione, e che senza dubbio, dopo un attimo di mente locale, saprai rispiegarmi. È bene tenerlo presente. Prima che tu possa farlo, addentriamoci in questo argomento.

Si appoggiò la mano sul fianco, senza accorgersi delle impronte bianche sulla stoffa. Gli occhi rimanevano socchiusi e lo sguardo per lo più assente, rivolto a una successione di rivoluzioni invisibili.

-L'approccio Sindoriano, come avrai certamente notato, è estremamente vasto e ricco; non è un caso che i suoi sostenitori più accaniti lo considerino addirittura un'Aritmanzia a parte, e non sono del tutto contraria a questa idea. Sindoria è una studiosa molto prolifica, e una caratteristica della "vivacità" delle sue scoperte è il fatto che debbano avere necessariamente un versante applicativo, pratico. Nell'incontro tra studio dell'individuo, risultati di quello studio e applicazione di tali risultati per quell'individuo -- ti accorgi di questa circolarità? -- una qualsiasi di queste parti è assolutamente inutile se disgiunta dalle altre. Per questo l'approccio Vivace all'Aritmanzia va oltre l'Aritmanzia Avanzata, in cui troviamo branche spesso e volentieri incentrate soltanto su una conoscenza teorica. Lunghi calcoli, confronti, risultati da consultare nell'apposita Griglia di Interpretazione, che per quanto interessanti ci fanno dire: "D'accordo... e adesso che lo so?".

Si spostò un ciuffo di capelli neri dietro l'orecchio.

-La Classificazione a Scatole Cinesi Sindoriana serve a dare un'idea dell'inconcepibile complessità dell'analisi aritmantica dell'individuo. Nel corso della nostra prova della Tela Bianca abbiamo appena sfiorato questa complessità, arrivando a estrarre due livelli di informazione, se ben ricordi: il genere di Accettazione, se Esplicita o Implicita, e il tipo di Accettazione. Non ci inoltreremo più in là con le Scatole Cinesi, perché il discorso diventa incalcolabilmente più complicato, anche se sempre molto affascinante. Tuttavia, andremo a vedere dove Sindoria ha trovato un'applicazione aritmantica di queste informazioni, e torneremo a parlare di Incantesimi. Vedremo come un'altra branca di Aritmanzia degli Incantesimi, diversa da quella che abbiamo studiato in classe, utilizzi i risultati della prova della Tela Bianca per raggiungere uno scopo davvero utile: il miglioramento della resa nelle sue caratteristiche più importanti -- potenza e velocità -- in relazione alla peculiarità unica dell'individuo.

Incrociò le braccia, accorgendosi solo in quel momento delle ditate di gesso. Sbatté la mano sul tessuto in maniera distratta, mentre continuava a parlare.

-Ma l'approccio Vivace all'Aritmanzia è sempre in vivo, altamente esperenziale. La Tela Bianca ci ha fatto raccogliere due dati importanti. Ma per sapere come utilizzarle, come legarle agli Incantesimi, è necessaria una conoscenza più alta del contesto, più completa. Abbiamo detto che un elemento necessario è la conoscenza basilare dei due soggetti aritmantici coinvolti nel contesto. Ma per Sindoria non c'è conoscenza che si limiti alla teoria, è tutto orientato alla pratica. Inoltre, non basterebbe forse un registro globale delle Epitomi S di tutti gli Aritmanti per poter prevedere già una moltitudine di contesti? Non c'è nulla, in Aritmanzia Avanzata, che sia generale o universale. Tutto è legato a elementi di unicità. Se vogliamo che questi elementi di unicità conosciuti vengano definiti come due, e soltanto due, in un rapporto unico, diverso da quello che hanno con tutti gli altri, cosa possiamo fare? Come si legano indissolubilmente due persone, rendendole diverse da tutte le altre? È un quesito complesso, ma penso che si alla tua altezza. Ancora una volta, ti invito a pensare a quello che hai appreso sulla metodologia di Sindoria al Corso Estivo.

-Kedavra
 
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