Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Smells like teen spirit, Privata

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J. F.
view post Posted on 17/11/2013, 03:42 by: J. F.
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«Unique blend of love and power.»

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La mano di Jelonek esitò per ancora qualche secondo accanto al viso di lei, dopo che le sue labbra ne sfiorarono il palmo. Si era mosso senza volerlo, certamente senza aspettarsi niente da lei. Non era più possibile aspettarsi qualcosa da qualcuno, non dopo Mandy.
Siamo quello che ci fanno diventare.
Evey poteva non avere una visione globale di quello che stava succedendo. Poteva non sapere quasi niente di lui (in realtà, non è del tutto vero, ormai) e non avere le idee chiare nemmeno su quello che lei stessa stava facendo. Ma non sarebbe arrivata alla suprema incoerenza di disprezzarlo per ciò di cui si era lordato le mani.
(Si tratterebbe di incoerenza, certo, soltanto se lei fosse profondamente convinta dei suoi principi. È così?)
Ha diciassette anni. L'età del disdegno supremo e della fede incrollabile. Non ci sono vie di mezzo. Su alcune cose si sputa, per altre si indossa una maschera e ci si prepara a uccidere e morire. Certo che ci crede. Crede di crederci, almeno. È esattamente la stessa cosa.
(Era un po' come se si trovasse in fila da uno di quei Babbani che con un ago passano ore a disegnarti un tatuaggio, inserendo l'inchiostro sotto pelle. Nella sala d'attesa tutti erano un po' nervosi e un po' eccitati. Avrebbe fatto male? Era qualcosa che avrebbe lasciato per sempre un segno su di loro e l'ansia di questa consapevolezza si combatteva con una cieca convinzione. Jelonek era appena uscito, mostrando le sue belle cicatrici su petto, schiena, gambe, braccia... Evey lo guardava, tra ammirazione e panico. Lui aveva già fatto qualcosa che a lei forse sarebbe stato richiesto presto. Presto il tatuatore avrebbe chiamato il suo nome e non si sarebbe potuta sottrarre dal Marchio che voleva disegnarle addosso. Presto Evey avrebbe ucciso e quel segno le sarebbe rimasto addosso per sempre.)
La presa sul suo polso non si era allentata; aveva visto il suo Peccato, o almeno il suo pallido riflesso smorzato da "forse" e "ma" e dopotutto, gli si era avvicinata. Se Jelonek avesse sospettato altrimenti, avrebbe tenuto la bocca chiusa.
(Ma poter essere sinceri con lei su una serie di omicidi a sangue freddo... wow, è già qualcosa.)
È pur sempre una Mangiamorte.
Le sue ipotesi su quello che sarebbe successo erano vaghe e prevedibilmente la vedevano come indefessa anti-eroina, una rivisitazione de La Libertà che Guida il Popolo con molte nudità e morti in meno, ovviamente. Jelonek non sapeva se quelle convinzioni sarebbero sopravvissute alla realtà; non sapeva se lei sarebbe sopravvissuta alla guerra, ammesso che di guerra si fosse poi trattato.

Need a little understanding for all I've done
In another situation I don't belong



Quello che scorse a quel punto tra i suoi pensieri lo lasciò interdetto. Lei aveva abbassato le palpebre per pochi secondi, e quando il loro contatto visivo era tornato integro, Jelonek aveva visto che lei non si stava figurando la scena. Non si era fermata a immaginare chi avesse ucciso o perché; non lo aveva dipinto con le mani strette attorno al collo di qualcuno o intento a massacrare di calci un poveretto riverso a terra. No, Evey, in quella brevissima parentesi dall'esistenza, aveva provato a immaginare come ci si sentisse a essere lui. Aveva pensato a come sarebbe stato vivere con ricordi fasulli in testa. Aveva assaggiato una briciola molto amara di quella torta andata a male che era il suo unico pasto ogni giorno da anni a quella parte.
Non era la stessa cosa che sopravvivere (a fatica) con quella condanna. Però lei ci aveva provato.
(Chi l'hai mai fatto prima? Per te?)

-Bé, finalmente sarei libero di sentirmi veramente in colpa- rispose alla sua strana, inedita domanda -Ogni giorno è un po' come... Venirlo a sapere per la prima volta. Rifarlo ogni volta-

Chi credeva che fosse un tormento subire torture, abbandonare pezzi di epitelio e sangue, udire e provare lo spezzarsi delle ossa, la fuoriuscita del midollo, non aveva mai provato cosa costasse infliggere dolore. O essere indecisi sull'averlo fatto oppure no.

-Cerco di ricordarmi nuovi dettagli. Particolari che possano... provare che non sono mai stato lì, che non l'ho mai fatto-

Ancora quel sorriso amaro, quello che alloggiava di frequente tra la sua barba corta.

-Ma la mia mente è fottuta. Non stava troppo bene neanche prima, questo bisogna dirlo-

La lingua finì dietro i molari mentre le guance apparivano scavate e gli occhi erano attraversati da un brillio divertito.

- Non mentirmi. Mai più. -



Non si era aspettato niente da lei, eppure Evey accettava la sua confessione, accettava lui, accettava quel tocco inspiegabile a cui lui non aveva potuto rinunciare. Lasciò scivolare la sua candida mandibola nell'incavo della sua mano e rimase a osservare

(sentire)

il suo pollice saggiare la concretezza della sua pelle arida e callosa, dei nodi delle sue dita zigzagate da cicatrici asimmetriche. Poi le sue labbra.
Questa è la mia decadenza. Questo è il mio degrado. E la mia anima non è messa affatto meglio.

-Non mentirti mai? Sarei la persona più bugiarda del mondo a promettere una cosa simile- sollevò le sopracciglia, senza mutare espressione -E tu quella più stupida a crederci-

La mano appoggiata appena sotto il suo collo si spostò. Percorse la linea della sua guancia finché le dita non affondarono nei suoi capelli. Nonostante tutto, non la trasse a sé. Era Evey che si era allontanata, quando avevano parlato delle vittime dell'era di Shaverne, e lui non avrebbe forzato in alcun modo il suo riavvicinamento. Sarebbe stata lei a decidere. Sarebbe stata lei a volerlo davvero.
O sarebbe stato inutile.

J. F.
 
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