Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Smells like teen spirit, Privata

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view post Posted on 10/11/2013, 20:28
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Il tragitto dai Tre Manici di Scopa era stato reso più caldo dalla sciarpa-reperto di Mandy e da conversazioni condite di velati insulti ai capelli, alla reciproca igiene personale e a tipi di condotta infantile. Insomma, il vento soffiava sospingendo Jelonek ed Evey in direzione Hogwarts, e nemmeno i residui di torpore della Bubble Chocolate erano stati in grado di scaldare le loro vene. Attraversati i cancelli con i cinghiali alati ("Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate") Jelonek aveva potuto osservare quanto decadente apparisse il parco della scuola con l'arrivo dell'autunno: la coltre metallica del cielo sembrava adombrare ogni cosa. Il Lago Nero appariva come un mare di acciaio fuso letalmente calmo e tra le cime a picco degli alberi fitti della Foresta Proibita il vento sferzava indolente, trasportando odore di pioggia e qualche ululato.
J. F. aveva trovato molto difficile non cedere alla curiosità di Evey sul trofeo che aveva detto di volerle mostrare; non era mai stato una persona a cui piaceva tenere gli altri sulle spine. In quel caso, però, c'era una scommessa di mezzo. Un'altra.
Jelonek non ricordava assolutamente dove si trovasse la Sala Trofei, tanto meno rammentava il percorso per arrivarci. Combatté - a fatica, e solo perché in compagnia di Disagio Atkinson - l'impulso di precipitarsi nelle cucine per... vedere quello che bolliva in pentola (sospettava infatti che gli elfi domestici fossero già al lavoro sui dolci natalizi: il suo fine olfatto aveva captato aroma di caramello nell'attraversare la Sala d'Ingresso) e condusse Evey per alcuni giri sulle scale mobili, con la scusa di chiacchierare con alcuni quadri che erano delle sue vecchie conoscenze. Alla fine, la Serpeverde aveva perso la pazienza e aveva voluto condurlo di persona all'estremità del terzo piano.
Era evidente che lei si aspettava che si trattasse di una qualche burla o di un suo progetto segreto; l'ultima cosa che pensava, si accorse Jelonek gettandosi con molte aria la sciarpa di Grifondoro oltre la spalla (nei corridoi, un gruppo di Corvonero era stato sul punto di salutarlo ma poi aveva finto di non averlo scorto, dopo avere individuato il cimelio Godricheggiante; tipici Corvonero) era che lui potesse avere veramente un proprio trofeo in quella stanza.
Nessuno sembrava avere prescelto la noiosissima Sala Trofei come un posto interessante in cui passare la domenica pomeriggio, non con il sole ancora alto (sebbene invisibile dietro gli strati di nembi) e la possibilità di un'eccitante visita a Hogsmeade; quando entrarono, portandosi al centro del salone, Jelonek respirò a fondo l'odore di... trofei, vetrine e targhette, bandiere, complimenti incise su placche dorate, statuette e mobili impolverati.
L'odore della gloria.

-Ebbene- disse a Evey con sussiego, incrociando le braccia -Mi devi una torta. I debiti sono una cosa seria e il fatto che tu non colga i privilegi che la crema di nocciole può apportare al tuo cuoio capelluto non cancella niente. Tuttavia-

Sollevò un dito.

-Sono pronto a dimenticare la faccenda. Quattro pareti, signorina Pamperson. Quella a est, "Glorie delle Casate". Quella a sud, "Riconoscimenti per i Servizi Speciali Resi alla Scuola". Su quella a ovest troviamo il reparto "Coppe del Quidditch" e su quella a nord la sezione "Personalità di Rilievo"-

Alzò le sopracciglia e si inumidì le labbra, negli occhi il brillio della sfida.

-Indovina dove si trova il mio trofeo e... dimenticherò il tuo indimenticabile debito-

Un tipo sveglio come la Pamperson, che azzeccava indovinelli nei pub e si orientava come una bussola tra i corridoi di Hogwarts non avrebbe certo potuto sbagliare.

J. F.
 
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Era stata un'agonia.
Pura e semplice agonia.
Jelonek aveva chiaramente qualcosa che gli frullava in testa; la guidava in giro per il castello senza avere la più pallida idea di dove stesse andando, fermandosi con scuse poco plausibili. Non aveva voluto farla tornare in Sala Comune a cambiarsi (il suo vero scopo era quello di sistemarsi i capelli, al diavolo l'uniforme scolastica), quindi si ritrovava a vagare per Hogwarts con un cespuglio ondulato sulla testa.
- Sono affari tuoi se dopo mi fermano perchè non ho la divisa. - borbottò contrariata, mentre prendevano la stessa scala per la quarta volta - Voglio proprio vedere cosa ti inventerai contro i Prefetti questa volta. -
Eloise non era con loro quel giorno, Jelonek era assolutamente disarmato. Si chiese il motivo per cui tenesse più alla balestra che non alla bacchetta (Jelonek aveva una bacchetta? Non gliel'aveva mai vista); forse era un Magonò e la cosa lo imbarazzava.
Ecco una cosa da aggiungere alla lista del nonno. Professore, Legilimens, galeotto, aiuto Mangiamorte, Magonò.
(Il nonno sarebbe fiero di me.)
Alla fine, come sempre, Evey aveva preso in mano la situazione. Si chiese come facesse Jelonek a trovare il bagno quando ne aveva bisogno, quindi lo direzionò verso la Sala Trofei, la più plausibile delle sue mete, dove il suo teatrale mistero avrebbe avuto fine.
Giunsero dunque nella Sala, dove Evey si guardò intorno. Di tutte le targhette ne conosceva solamente una, commemorativa, ma era molto tempo che non la guardava. Per il resto erano nomi sconosciuti, citati da questo o quel parente, ma che ad Evey non interessavano affatto. Seguì con lo sguardo i punti cardinali che Jelonek le fornì, perplessa, per poi riportare gli occhi su di lui.
L'aveva fatta girare come una trottola per Hogwarts solo per indovinare il suo trofeo? Che razza di egocentrico. Tuttavia accolse la sfida; alzò scettica un sopracciglio e si voltò ad est, sulla parete della Gloria delle Casate.
- No, non penso proprio. - disse con un sorrisetto di scherno. - Secchioni e perbenisti. Se buttavi la gente nel Lago già allora, non credo proprio tu sia su quella parete. Per quanto difficile mi sia credere che tu sia su una di queste pareti. -
Già, chi glielo diceva che non fosse l'ennesimo trucco di Jelonek? Uno come lui che si guadagnava un riconoscimento? Volle concedergli il beneficio del dubbio, perchè Evey Atkinson era una persona generosa.
Guardò a sud, ma nemmeno quella le sembrava la giusta direzione.
- Altri secchioni e perbenisti, generalmente Prefetti che si sono più venduti alla Presidenza. - disse con spregio, passando oltre.
La parete ad Ovest, l'unica degna di nota, attirò la sua attenzione. Se Evey avesse potuto scegliere, sarebbe voluta figurare lì, un giorno, tra i campioni di Quidditch di Hogwarts, con Rhaegar a sollevarla e i suoi anelli dietro.
- Ti direi questa, ma non sei in grado di fare due passi nel castello senza perderti, figurarsi trovare le porte avversarie o un Bolide da lanciare. Per non parlare del boccino; ti espellerebbero sicuramente nel momento in cui cercassi di appuntartelo come forcina per capelli. - Anche il Quidditch era bocciato.
Restava solamente il nord, Personalità di rilievo. Ma perchè diavolo Jelonek avrebbe dovuto essere una personalità di rilievo? Forse era un Legilimens già all'epoca di Hogwarts e aveva aiutato qualcuno o qualcosa all'interno del castello, qualche missione o operazione segreta o giù di lì.
Si voltò a guardarlo, interrogativa, indicando l'ultima parete alle sue spalle con il pollice.
- Anche se non so per quale motivo dovresti essere una personalità di rilievo. Hanno premiato il tuo coraggioso origami? - domandò con un ghignetto divertito.
 
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view post Posted on 11/11/2013, 20:57
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Jelonek si sentiva un maestro dell'indovinello e del mistero mentre seguiva i ragionamenti a voce alta della Pamperson (si era particolarmente affezionato a questo cognome) e non le staccava gli occhi di dosso per non perdersi nemmeno una frazione di quel torrente di pensieri sprezzanti e giocosi che gravitavano intorno all'interrogativo che le aveva posto.
Se non fosse stato tanto impegnato a frugare tra i suoi flussi di coscienza, l'avrebbe anche invidiata per quel suo non sapere. Era molto più divertente giocare, senza conoscere già le soluzioni. Con il tempo non era riuscito a sviluppare quelle capacità logiche di cui invece facevano uso tutte le persone che lo circondavano, perché c'erano ben poche domande che necessitassero di un ragionamento costruito per giungere alla risposta. Giusto quelle riguardanti il futuro, oppure gli indovinelli arguti che si trovavano sui giornali e ti costringevano a comprare il numero successivo se volevi conoscere la soluzione e tornare a dormire sonni tranquilli.
(C'è poi da stupirsi se la tua vita è diventata un gioco? Come avresti potuto divertirti, altrimenti? C'era chi giocava a Scacchi Magici e a Spara Schiocco. Tu giocavi a fallire gli esami parlando ad alta voce dei segreti più inconfessabili di ciascuno dei tuoi Professori, creando scandali. Giocavi a fare origami con pergamene che avrebbero potuto cambiarti la vita. Giocavi a distruggere le persone.)
Io sono un gioco. Un giocattolo costruito per far divertire i bambini più grandi.
Cosa avrebbe trovato un Legilimens, guardando nella sua testa?
[Continui a fantasticare che Evey, o Mandy, o chiunque altro raggiunga un livello tale di Legilimanzia da fare con te quello che tu fai con loro. E a quel punto cosa accadrebbe? ]

|| Ti piacerebbe sapere cosa sta pensando, vero? Peccato che tu non possa. Non fai tanto il pagliaccio davanti a lui, eh? Perché non ci dici cos'ha fatto ieri notte? Forse perché non lo puoi sapere? ||



STAC.
Il suono di un osso piccolo che si spezzava, un rumore che gli risuonava nella mente, più che nelle orecchie. Pollice, indice, medio, anulare, mignolo, polso. In ogni caso, sapevano rimetterlo a posto con un colpo di bacchetta. Quando le sue urla li avevano divertiti abbastanza.
E quando lo Silenziavano, bé, lì durava un po' di più.
Le meraviglie della magia.
Insomma, secondo Evey, lui non era degno di nessuna delle quattro pareti della Sala Trofei di Hogwarts. I suoi pensieri erano sommergibili in esplorazione in grotte sommerse, barriere cristalline che qualcuno aveva già visitato prima. Jelonek la seguiva con lo sguardo, con i suoi sguardi, mentre si toccava le dita distrattamente, come per assicurarsi che fossero ancora intere e non facessero male (sono fuori di lì, fuori di lì, fuori di lì), e non poteva fare a meno di sorridere con amarezza. Il suo sorriso preferito, ormai ne abusava.
Sapessi quanto le assomigli.
Lui si avvicinò alla parete nord, a fianco a lei. Le teche erano straordinariamente splendenti, lucidate di fresco da non si sapeva bene chi.

-Acqua. Oceano- le disse scuotendo la testa, portandosi la lingua dietro i molari.

La prese per mano e la condusse verso la parete sud, dalla parte opposta. Una volta lì, le indicò la vetrinetta lucente come cristallo, iniziando a cercare.

-Le targhe più vicine al muro sono quelle più vecchie. Le mensole più in alto sono riservate ai meriti considerati più importanti-

Trovò la targhetta che gli serviva, una sullo scaffale più alto.

-Eccola qui. Noah Pamperson - era un tuo parente, si vede - per la rivoluzione ingegneristica all'impianto idraulico della scuola-

Ridacchiò.

-Era un Prefetto di Corvonero. Nel tempo libero mi veniva a cercare e mi infilava la testa nel water dei bagni del terzo piano. Una volta mi caddero gli occhiali -- li portavo perché facevano tendenza -- e lui, siccome era un Corvonero assai astuto e brillante, tirò l'acqua, creando un danno alle tubature senza precedenti, a parte il Basilisco, ovviamente-

Sollevò le sopracciglia.

-Lasciò che il panico si diffondesse nella scuola. Fu abbastanza divertente, in realtà. Per qualche settimana, tutti dovemmo armarci di vasi da notte. Al momento giusto, Pamperson si recò dal Preside e lo condusse al bagno del terzo piano, dove tutto aveva avuto inizio. Con un geniale Incantesimo di... quello che attira le cose, ripescò i miei occhiali e tutto venne risolto. Ovviamente io fui accusato di averli lasciati cadere e avere tirato l'acqua come scherzone alla scuola e venni messo in punizione. Lui si prese questo premio, perché il Preside lo reputò un eroe in una situazione di emergenza. Ma...-

Sollevò un dito e lo premette forte sul vetro, lasciando una serie di impronte che rendessero impossibile leggere il nome di Noah Pamperson.

-Il mio trofeo si trova più in alto del suo-

Si guardò furtivamente intorno, poi le fece un occhiolino e scivolò dietro la teca. Infilò entrambe le mani dietro il legno e spostò l'espositore in avanti. Tirò Evey vicino a sé, le prese la mano e le fece indicare una macchia scura informe attaccata al muro.

-Durante il mio secondo quinto anno, portai qui una scala e appiccicai quella gomma di masticare dietro il mobile. Ogni volta che fossi passato di qui, avrei visto il chewing gum spuntare da sopra la teca. Più in alto del trofeo di Pamperson. Come vedi, è ancora lì-

Gonfiò il petto con autentico orgoglio.

-E tu sei ancora in debito con me-

J. F.
 
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Era pronta a scommettere che Jelonek si stesse inventando tutto. Si rifiutava categoricamente di credere che Jelonek avesse ricevuto un Riconoscimento per i Servizi Speciali Resi alla Scuola, ed in parte ebbe ragione.
Roteò gli occhi sentendolo chiamare ancora Pamperson, nonostante fossero soli. Doveva correggerlo immediatamente, Evey detestava qualsivoglia sorta di nomignolo, specie quelli che non avevano nulla a che vedere con il suo nome.
- Non chiamarmi così! - disse, mentre veniva trascinata verso sud. Fu costretta a guardare la targhetta del "suo" parente e ad ascoltare le sue mirabolanti imprese. Forse era davvero un suo parente, se passava il tempo a ficcare le teste altrui nei water, in effetti doveva essere un piacevole modo di scaricare la tensione.
- Scommetto che la tua testa entrava nella tazza in maniera assolutamente fluida. - ghignò con gusto, cercando di visualizzare nella mente l'immagine di Jelonek intrappolato con i suoi ridicoli occhiali. Doveva essere stato davvero una mammoletta per lasciare che un tizio come Noah Pamperson (non le piaceva affatto il nome Noah) facesse il bullo con lui, specie se Corvonero, specie se Prefetto. Che razza di femminuccia lo avrebbe mai permesso?
- Ti sei fatto ficcare la testa nel water da questo tizio? Seriamente? Potrei riuscirci anche io allora. - considerò seriamente la prospettiva, pensierosa; se ce l'aveva fatta Noah Pamperson, per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi e avrebbe vendicato i propri capelli, così violentemente vittimizzati da Jelonek.
- Aspetta... hai ripetuto il quinto anno? - domandò, corrugando le sopracciglia e guardandolo. Non potè perpetrare la sua curiosità, Jelonek le spiegò l'origine della macchia scura, con molto orgoglio, mentre le dirigeva il dito verso di essa. L'avrebbe anche toccata, preda della propria curiosità, pochi millimetri la separavano dalla macchia. Evey riuscì a ritrarsi per miracolo, sentendosi le gambe mancare e i sudori freddi farla rabbrividire. Si voltò, furiosa, contro di lui: aveva letto i suoi pensieri sulle gomme da masticare e adesso gliene portava una a distanza così ravvicinata?
- Cos... che schifo! -
Evey sgusciò via dalla sua presa, ritraendo la mano e guardandosela come se fosse infetta. Non l'aveva toccata, stava continuando a ripeterselo, guardando ossessivamente il polpastrello dell'indice come se fosse putrefatto. Non l'aveva toccata, ne era certa, tuttavia le sembrava che la distanza ravvicinata l'avesse seriamente danneggiato. Doveva disinfettarsi, doveva disinfettarsi immediatamente, ma non poteva pulirsi su se stessa o avrebbe infettato altre parti del suo corpo.
Strofinò la mano compromessa sull'orlo del pastrano di Jelonek, con tanta forza da arrossarsi la mano. Dunque lo fulminò con lo sguardo.
- Noah Pamperson ha fatto bene! - disse velenosa, lasciando apertamente che lui si gustasse l'immagine di lei, Evey, al posto di Noah Pamperson mentre gli spingeva la testa sott'acqua, con o senza occhiali.
- Sai che è pericoloso? E' infetta! E' piena di germi e stavo per toccarla! Ora dovrò lavarmi il dito per un'ora e quarantacinque minuti per eliminare i batteri! -
Raramente Evey parteggiava per i Prefetti, anzi, decisamente mai, ma Noah Pamperson era appena diventato il suo eroe personale.
E comunque aveva ragione: Jelonek non appariva in nessuna delle quattro pareti, il suo inesistente debito era saldato. Socchiuse gli occhi, guardandolo con tagliente sfida, come se si aspettasse di vederlo combinarne una delle sue. Per ragioni di sicurezza, si portò a distanza dalla teca in questione, girando intorno a Jelonek in modo che fosse lui a dare le spalle alla macchia; non sarebbe stata sorpresa di vederlo intenzionato a mettere pace tra lei e la macchia, decidendo di avvicinarla ancora di più. Evey avrebbe usato la bacchetta, se necessario.
Controllo. Evey doveva avere il controllo della situazione.
 
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view post Posted on 13/11/2013, 23:24
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Oh bé, non si era certo aspettato comprensione e sensibilità da parte di Evey Atkinson. Lei non era mai stata bulleggiata... se mai il contrario. A dire il vero, lui non aveva mai provato particolare pena nemmeno per se stesso, né aveva mai dato vita a qualche tentativo di rappresaglia contro Pamperson e quelli come lui - perché ce n'erano stati altri come lui, ovviamente, ce n'erano sempre altri. Si diceva "gli esami non finiscono mai" - e in effetti, quelli scolastici di Jelonek erano stati proprio infiniti - ma la realtà era ben diversa. I bulli non finivano mai. Continuavano a spuntare come funghi dietro l'angolo di qualsiasi vita e godevano a moltiplicarsi quando si pensava si fossero finalmente estinti.
E ottenevano tutti grandi riconoscimenti ufficiali. Alcuni molto più importanti di una minuscola targa in Sala Trofei.
Non erano certo qualche immersione nel water e un qualche centinaio (?) di cicatrici a scatenare in J. F. la sua furia vendicativa, qualcosa di simile a un drago assopito che non si risvegliava nemmeno con il solletico. Un drago ormai anziano e pieno di acciacchi.
Esistevano torti peggiori. Il dolore fisico, l'umiliazione, non erano nulla.
Alcuni bulli ottenevano grandi riconoscimenti ufficiali, alcuni molto più importanti di una minuscola targa in Sala Trofei. Per esempio, il trono da Preside di Hogwarts. O lo scettro del Capo degli Auror.
(Esistono ancora torti peggiori?)
Mandy superava, con la sua machiavellica crudeltà, Eloise, l'Uomo Simpatico e l'Uomo Silenzioso. Persino Evey, pensò con un mezzo sorriso. I meriti, i traguardi raggiunti dovevano essere in un qualche rapporto di proporzionalità diretta con la scelleratezza.
Ma no, lui non serbava rancore. Appiccicava soltanto simboliche gomme da masticare e riempiva le teche di ditate. Rivendicazioni modeste e silenziose, piccoli pretesti per strapparsi una fugace soddisfazione.
(Ovviamente, non è questo il caso.)
Dall'alto (o basso?) di quelle riflessioni, Jelonek sollevò lo sguardo su Evey. L'aveva lasciata divincolarsi dalla sua presa, ma di lì a poco lei aveva ristabilito il contatto, liberandosi di inesistenti particelle di chewing-gum con uno strofinio sul suo pastrano. J. F. sollevò un sopracciglio.

-Non puoi arrivare lassù, Evey. Nessuno può arrivarci senza una scala. E' troppo in alto- precisò con notevole orgoglio.

Voleva lasciare andare il suo pastrano? O forse no?

-Nei caldi pomeriggi d'estate era refrigerante. A volte quando cominciavano a rincorrermi andavo direttamente in bagno e li precedevo. Rimanevano qualche minuto a guardarmi, senza sapere esattamente cosa fare- ridacchiò -Fu allora che cominciarono a picchiarmi-

Si strinse nelle spalle, come riscaldato da un bel ricordo, lo sguardo che ripercorreva la teca, quasi nostalgico.

-Ho avuto la soddisfazione di vederli diplomarsi tutti, molto prima di me. Mentre ripetevo il settimo anno- si grattò dietro la testa -Ma poi ne sono arrivati altri-

I suoi occhi si erano arrestati sul vetro, ma questa volta non vi guardavano attraverso. Si soffermarono sul riflesso. Erano passati sette anni (che era come dire una galassia, cinque continenti, tre oceani) da quando si era specchiato su quella superficie lucida, da quando vi aveva lasciato le impronte per l'ultima volta. Era stata una frazione di secondo in cui si era aspettato di rivedere il ventenne che era stato. Gli occhi non ancora assottigliati dalla vita, le occhiaie che erano più ombre che vere e proprie rughe, la pelle priva di segni, a eccezione della fossetta. La differenza tra quelle furtive attese e l'immagine rimandata dalla teca - la stessa teca di allora - fu tale da lasciarlo preso in contropiede per diversi secondi. Lo studente se n'era andato, la sua insolenza evaporata. Rimaneva un uomo invecchiato troppo in fretta, una irriverenza trasformata in calcolata perversione. Lui poteva vedere tutto questo in quegli occhi ridotti a fessure, quasi nascosti dalle pesanti occhiaie, e una pelle che aveva assorbito troppe lacrime, troppo tempo, perduto troppo sangue. Lui lo vedeva. Scorgeva quell'anima che si agitava mutilata, come il più sfortunato dei fantasmi.
Per un attimo dimenticò Evey e sfiorò il vetro con la mano, come ipnotizzato.
[Come sono arrivato a questo?]
(Ma lo sai.)
Ora basta.
Tornò a guardare la Serpeverde. Le prese la mano con lo spettro di un sorriso stanco e la infilò nell'ampia, sdrucita tasca del pastrano, insieme alla sua. Quasi senza pensare.

-E' successo qui, vero? Shaverne, la Negromante... Mi chiedo chi abbia ripulito il sangue. Mi chiedo dove siano le targhe per gli studenti morti sotto di lei-

A quell'epoca, lui lavorava già per il Ministero della Magia tedesco. Aveva letto della Grande Cerimonia mesi dopo l'effettivo evento, perché lei si era impossessata dei giornali, fornendo una versione molto deviata della verità - come qualsiasi verità, a dire il vero. Lui aveva cercato il suo nome, per assicurarsi che...
(... che fosse morta.)
Mandy era peggio che morta. Avrebbe voluto essere morta, di questo non c'era alcun dubbio. A quel punto, Jelonek aveva pensato che ci fosse giustizia.
(Ma non si era sentito meglio, affatto.)
Guardò Evey negli occhi. Quella storia era destinata a ripetersi ancora, e ancora, finché non fosse accaduto qualcosa di peggio.

-Dovrai fare attenzione- le disse, avvicinandosi a lei, la mano che stringeva la sua da dentro la tasca -Dovremo fare attenzione-

J. F.
 
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view post Posted on 14/11/2013, 00:28
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Evey era ancora intenta ad analizzare i propri polpastrelli vittimizzati ed arrossati. Non l'aveva toccata, ne era sicura; non lo ascoltò neppure, non stava dicendo nulla di rilevante che riuscisse ad eliminare il suo dubbio, si lamentava di bulli.
(Non hai diritto di lamentarti se non hai mai fatto nulla per combatterli.)
- I miei complimenti - disse distrattamente, continuando a strofinare le dita tra di loro - dev'essere stata una grande soddisfazione. -
Era la storia più assurda che Evey avesse sentito. Non era per nulla normale che qualcuno accettasse in quel modo, sembrava che a Jelonek non fosse mai importato. E quel che era più grave era che gliel'aveva permesso, essendo più grande di loro (era stato bocciato anche al settimo anno?).
- Io non sarei rimasta senza fare nulla. Non potevi armarti con lo scopettone del bagno e picchiarli con quello? -
(Meglio ancora se sporco.)
Ad Evey sembrava che Jelonek si autocommiserasse un po' troppo senza però volerlo dare a vedere. Era quella la chiave della sua idiozia: in quanto a stazza, superava di gran lunga tutta la popolazione maschile di Hogwarts, eccetto il professor Godwin e Sebastian Finch. Possibile che non fosse stato in grado di difendersi? Diavolo, lei se la sarebbe cavata con morsi e unghiate, e non era propriamente una montagna come Finch.
Alzò lo sguardo, perplessa, quando si ritrovò la mano nella tasca del pastrano di Jelonek. Sperò che non avesse appiccicato altre gomme lì dentro, non sarebbe sopravvissuta oltre. Si ritrovò vicina a lui, molto vicina, come quand'erano al bagno dei Tre Manici...
Evey tolse la mano dalla tasca e fece un passo all'indietro, lo sguardo improvvisamente distaccato. Si, era lì che era accaduto; Evey strinse i denti, sforzandosi di non guardare la direzione, l'unica direzione che imboccava sempre qualvolta veniva a trovarsi nella Sala Trofei, ma sapeva che alla fine avrebbe ceduto. Non era mai riuscita a passare oltre senza avvicinarsi, senza andarli a trovare. Come si faceva nei cimiteri.
- Lì. - disse semplicemente, indicando a nord.
(Ma a te non interessa affatto dove si trovino, vero?)

Mi chiedo chi abbia ripulito il sangue.



Non seppe perchè, ma per un istante, un assurdo istante, lo odiò per quelle parole. Erano prive di quello che Evey si aspettava vi fosse, non solo da parte di Jelonek, ma da chiunque attraversasse quella sala. Erano vuote, senza alcun interesse. Jelonek non si chiedeva affatto chi avesse ripulito, nessuno se lo chiedeva mai. Evey gli voltò le spalle, avvicinandosi alle targhette commemorative con passo lento. I suoi occhi accarezzarono di nuovo la superficie dorata di quei nomi incisi: un piccolo mausoleo impeccabile, raffinato, la cui cura era stata affidata ai migliori artigiani per rendere onore alla loro memoria.
Evey non aveva mai visto nulla di più disgustoso.

House of the Undying.



Ogni sillaba era intrisa di tormento, non vedeva altro che sangue e sudore, grida e suppliche. Non c'era nulla di raffinato, nulla che rendesse onore. Per quei nomi che Evey era diventata ciò per cui dovevano fare attenzione. Non le piaceva che se ne parlasse in maniera vuota.
- Io faccio sempre attenzione... - mormorò, senza distogliere lo sguardo dalle targhette d'oro. Cercò di risuonare distaccata e vuota quanto Jelonek, ma la sua voce era intrisa di amarezza e malinconia. Dipendeva da quei nomi, lo sapeva bene; non poteva controllarlo, esattamente come non poteva controllare l'impulso di avvicinarsi ogni volta che passava di lì e andarli a trovare. Molti non li aveva mai nemmeno conosciuti, non ci aveva scambiato che qualche semplice parola a questo o quel banchetto. Erano stati studenti come lei, compagni di classe che intervenivano durante le lezioni, che studiavano in biblioteca, a qualche tavolo di distanza dal suo. Altri erano stati amici, le prime persone che aveva conosciuto in quel luogo maledetto, studentesse che avevano condiviso il suo dormitorio, riposando nei letti a pochi metri dal suo.
Ed ora erano tutti incisi su una targhetta d'oro. Non rimaneva altro di loro, era quello il meglio che si era riuscito a fare.
 
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Il riflesso che Evey scorgeva sul vetro lucido e imperturbabile era quello che a lui era stato rubato, con una traccia di melanconia in più. C'era in lui un morbo da cui la Serpeverde non voleva essere contagiata, e forse era proprio quella mestizia con cui lui era arrivato a considerare la morte, e il sacrificio, come qualcosa di troppo banale. L'unico modo per rivivere il trauma era rivivere il trauma.
Ma quel trauma non apparteneva a lei, non interamente almeno. C'erano altre immagini stampate nei suoi occhi, fiamme più vivide che le avevano bruciato le cornee come raggi solari un po' troppo invadenti; risvolti che l'avevano cambiata più profondamente di quanto fosse disposta ad ammettere.
Per il peccato che Evey meditava non vi sarebbe stata grazia.
Lei cominciava a capirlo.
Mentre il fatuo calore umano della sua mano - perché, poi, l'aveva attratta a sé? Come se ci fosse speranza, quando nessuno meglio di lui poteva sapere che... - lo abbandonava in un modo così prevedibile da strappargli un sorriso consapevole ancora prima che lei si allontanasse, Jelonek la fissava. La Mangiamorte non stava scrutando necrologi con gli occhi dei ricordi. Da qualche parte sapeva che le parole veramente vuote e prive di significato erano quelle che lui le aveva rivolto come ammonimento, non quelle prima. Avrebbe potuto combattere, avrebbe potuto lottare; ma alla fine di quella strada la attendeva un epitaffio freddo come quelli, inciso sulla dura pietra. Parole generiche ricolme di un distacco che avrebbe mascherato la vergogna, allo stesso modo in cui lei aveva mascherato il proprio volto mentre imbracciava la sua bacchetta insanguinata, pronta a combattere in una battaglia che non le apparteneva.
Solo, nel suo caso non sarebbero stati in tanti a versare lacrime, a scandalizzarsi, a mostrare sdegno di fronte all'indifferenza. No, nel suo caso l'indifferenza era il massimo a cui potesse aspirare.
Erano entrambi soldati senza nome, pedine di poco conto in un gioco in cui erano venivano ritenuti sacrificabili in vista di mete più alte.

Dark the soul that saves me, you save from
With all your faith, the more we take away
In a daydream all along such fragile words



Questa volta, Jelonek non si avvicinò a lei. Si spostò invece verso la parete laterale e vi appoggiò contro la schiena, tenendo le mani appese alle tasche, i pollici fuori.
(Tasche vuote. Come sempre.)
Si concesse qualche secondo di contemplazione fantasiosa del profilo di lei. Quando Evey non ricambiava il suo sguardo direttamente, poteva fantasticare su quello che stava pensando, come qualsiasi altra persona. Era più facile. Era più difficile.

-Non basterà-

Le disse solo, mantenendo quella distanza che lei aveva cercato e preteso. Il suo tono non era pesante. Aveva superato la rassegnazione, e ora si beava di una serafica ignavia. Quella che lei non avrebbe mai avuto gli anni e le esperienze per raggiungere.

-Ma non c'è altro modo-

Avrebbe voluto dirle: Non avere paura. Finirà tutto presto.
Ma le sue labbra erano sigillate, il suo volto immobilizzato nel rispetto paziente che si poteva mostrare a un moribondo, un morto che cammina. Forse, donarle in quel momento la speranza era una crudeltà di cui non era ancora capace.

How old are you?
I'm older than you'll ever be
.



J. F.
 
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Rimaneva ferma a guardare le targhette, come se queste l'avessero ipnotizzata. Non voleva volgere lo sguardo su di lui, non voleva farlo accedere ai suoi pensieri, non in quel momento. Continuava a percepirlo così... irritante e distaccato, come se lui non facesse per nulla parte di quel mondo.
Ed infatti era così; lui viveva nel suo, ancora in quella cella, lei a qualche piano di sopra, in quella prigione di pietra, di quadri d'epoca e sontuosi arredamenti. Una magnifica prigione; ma pur sempre una prigione.
Jelonek non sapeva nulla, nemmeno potendo leggere dentro le persone. Diceva di fare attenzione, eppure ci si stava buttando a capofitto anche lui. Le sue parole non fecero altro che indisporla ancora di più. Veniva a farle la morale? Credeva che lei non sapesse ciò a cui stavano andando incontro?
- E tu lo sai bene, giusto? - domandò piano, continuando a non volersi voltare.
(Troppo facile con il tuo Dono. Parla come una persona qualunque.)

[Per questo hai bisogno che io ti porti lì? Perchè non basterà?]

Loro dovevano fare attenzione. Lei doveva fare attenzione; ne aveva visti tanti, tra gli Arruolati che avevano indossato il nero senza motivo, seguendo solamente la mera illusione della gloria. Non ci sarebbe stata gloria per nessuno, ancora dovevano capirlo. L'avevano fatto per il potere, per sentirsi... cosa? Letali? Misteriosi?
Per cosa combattevano?
Tra tutti loro, ciò a cui bisognava fare attenzione era chi aveva uno scopo. Chi lo perseguiva, senza crollare mai, chi ricordava. Evey avrebbe ricordato, sempre e comunque. Evey ricordava sempre...
Chi se ne era andato.
Chi rimaneva.
Chi combatteva.
Chi viveva.

- Cosa vuoi fare dopo? - domandò improvvisamente.
Aiutarli, si. Insegnare loro a difendersi, ad erigere barriere contro l'attacco che presto li avrebbe travolti, e poi? Una volta che avrebbero imparato, cos'avrebbe fatto Jelonek? Dalla parte di chi avrebbe combattuto quando sarebbe giunto il momento di scegliere?
Solo allora Evey voltò il capo su di lui, rivolgendogli quelle domande proprio lui preferiva, una finestra dentro di lei dove scavare alla ricerca di dubbi, paure, insicurezze e falle.
Una finestra sull'abisso.
Battè le palpebre, lentamente, osservandolo nell'analisi che lui stesso stava facendo su di lei. Non c'era giorno che Evey non si coricasse domandandosi se davvero lui non le stesse mentendo, pensando che tutto fosse solamente un pretesto per arrivare lì dove voleva giungere. E tuttavia non riusciva a prendere le dovute contromisure.
Doveva fare attenzione. Evey sentiva di non averne avuta affatto.

[E cosa faresti se davvero fosse solamente una menzogna?]
 
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Non erano certo discorsi da farsi in Sala Trofei. Non in una Sala Trofei così affollata e chiassosa. Chiunque avrebbe potuto nascondersi dietro gli espositori in legno e vetro, chiunque avrebbe potuto tendere l'orecchio dal corridoio, sbirciare da dietro il portone. Ma era proprio quello il punto, in fondo. Il punto era che a nessuno importava niente di loro. Jelonek avrebbe potuto urlare "ATTENTI, UNA MANGIAMORTE!" e nessuno sarebbe sopraggiunto a bacchette spianate. Evey avrebbe potuto ucciderlo, se ne fosse stato in grado, e nessuno sarebbe venuto a salvarlo.


No one really cares where I go
Searching to feel warmth forever more
The wheels of life they turn without me



Hogwarts un posto di quel genere. Il mondo era un posto di quel genere.
Ognuno faceva da sé, ognuno aveva la libertà di smarrire il cammino e soprattutto, ciascuno, anche un qualsiasi undicenne che sedeva nelle aule del primo anno facendo ciondolare i piedi dalla sedia, aveva i mezzi e il potere per fare una qualche cazzata che ricadesse su centinaia di altre persone che avevano compiuto tutte le scelte giuste.
Mandy non aveva mai sbagliato nulla, nella sua vita. Allontanarsi da lui non era stato certo un errore; l'aveva portata lì dov'era. Eppure nessuno avrebbe voluto essere nei suoi panni, né in quel momento né mai. Che frustrazione! Seguire il sentiero illuminato senza mai mettere il piede fuori dalla traccia (tranne, forse, una volta... Aveva ancora questa presunzione, viveva per questa presunzione, in un certo senso), sacrificare tutto per arrivare lì, e una volta giunta a destinazione, accorgersi di non avere nessuno.
(E tu... quale storia puoi raccontare?)
Io ho sbagliato ogni cosa. E sono arrivato allo stesso punto. Ma con molte meno vite sulle spalle.
(Non lo credi davvero. La differenza è che tu non hai responsabilità. Solo colpe.)
Lui lo sapeva bene, certo. Quanto a lei, cominciava a capirlo, o non avrebbe esitato in quel modo davanti alla vetrinetta - il tristo monumento funebre a persone il cui ricordo sarebbe sopravvissuto una sola generazione, la loro. Non era nemmeno una targa ad attenderli, ma la fossa comune dell'oblio.
Jelonek rimase appoggiato al muro, ricambiando il suo sguardo senza paura che lei scorgesse la sua risoluzione. Il distacco inumano che aveva sostituito qualsiasi sentimento di compassione o di paura. Era meglio liberarsi dell'una se non si voleva provare l'altra.

-Dopo?-

L'angolo della sua bocca venne pizzicato. Evey in qualche modo cercava di mostrarsi pratica, di imitare quel suo distacco calcolato che pure la lasciava allibita e in parte disgustata. La risposta che si era affacciata alle sue labbra era troppo dura per le orecchie fini di lei. Donarle speranza sarebbe stato un abominio; troncargliela completamente sarebbe stato stupido. L'unica cosa che poteva fare in quel momento era non remare contro i suoi interessi. Fingersi un pedone e nascondere la mano dello scacchista.

-Potrei andarci anche da solo, Evey. L'ho scoperto dal primo momento che...-

... ti ho vista.

-... ne abbiamo parlato. Potrei prendere contatto direttamente con chi vi comanda. Non è per questo che mi sono avvicinato a te-

E' questo che temi?
E non è facile. Non è facile nemmeno per me.
Ma chi avrebbe potuto credere a una frase del genere?

Who's the prey?
What's the play?
God created
Stay with me
We are the ones God hated.



J. F.
 
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Non distolse lo sguardo, nemmeno per un secondo. Sembravano passati decenni da quando lui le aveva spiaccicato la crema sulla testa, da quando lei aveva emesso quelle bollicine traditrici. I Tre Manici, il Lago, la Foresta Proibita, nulla di tutto quello era mai stato più lontano. Era come se si trovassero sulla superficie ghiacciata di un fiume, con nient'altro che freddo e neve intorno a loro, ed Evey non aveva voglia di preoccuparsi di questo.
Guardò Jelonek senza battere ciglio, non potendo fare a meno di notare che non aveva risposto alla sua domanda.
(Come faccio a fidarmi di te?)
La Mangiamorte lo voleva in quel Cimitero. Lo voleva con i suoi insegnamenti, voleva che lui rafforzasse le schiere delle maschere d'argento. Era giusto che nessuno di loro venisse colto impreparato. Era giusto giocare ad armi pari.
Evey non voleva essere uno strumento. Non voleva essere manipolata e usata, non voleva continuare ad avere quei dubbi e volerli sopprimere a causa di qualcosa di estremamente stupido, che poteva essere stato creato apposta per offuscare il suo giudizio.
Avanzò un passo verso di lui, senza staccare gli occhi dai suoi.
- Tu sai esattamente chi siano loro. Ognuno di loro, nonostante il tuo discutibile senso dell'orientamento e il tuo discutibile... tutto il resto. -
(Ammettendo che anche quello sia attendibile).
Evey ne era certa. Jelonek poteva essere assolutamente carente nella scelta delle parole, di sicuro pessimo in quella dei vestiti non appariscenti, un teatrante mediocre (forse). Ma di certo sapeva il nome di ciascuno dei Mangiamorte che aveva incontrato. Ne ricordava il volto, come se avesse scattato una fotografia da consultare qualora ne avesse voglia.
(Ma non sei andato da loro. Sei qui ad innervosire me).
Stava facendo con loro lo stesso gioco? Oppure lei era stata portata sul Lago Nero per una ragione diversa? Qualcosa che avesse a che fare, per esempio, con il loro primo incontro, nell'Ufficio della Preside? Impossibile cancellare dalla mente lo sguardo della Preside. Non l'aveva mai vista così... infuriata.
Evey non sentiva di avere nulla di particolare, a parte lo scopo, rispetto a tanti altri a cui Jelonek si sarebbe potuto rivolgere. Era una studentessa penosa ed una duellante altrettanto inadatta; perchè prendersi tanto disturbo con lei quando avrebbe potuto puntare più in alto?
Avanzò di un altro passo.
- Per quale motivo, allora? - domandò, abbassando il tono di voce e inclinando appena la testa, continuando ad analizzare il suo volto.
Era stato bello cullarsi nell'illusione, pettinare Zeboim. Ora, però, sentiva che i pensieri che l'assillavano prima di addormentarsi si affacciavano dai suoi occhi, richiamati dall'oro sporco di sangue di quelle targhette lucenti, alimentati da quei nomi come i Dissennatori si alimentano delle umane emozioni. Pensieri che richiedevano di essere espressi, trasmessi, domandati, affrontati.
Rassicurati.
Avanzò ancora.
 
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Jelonek non si mosse. Rimase appoggiato al muro, gli occhi fissi su di lei. Osservava il leggero rincorrersi dei suoi pensieri, la grazia controllata dei suoi movimenti; una delicatezza che nascondeva in realtà l'incertezza, il dubbio, ma non li nascondeva bene, almeno non a lui. Il sospetto che Evey glieli stesse mostrando volontariamente era più che fondato.
Notò come i venti della sua mente lottassero per trascinarla via da quei ricordi tormentati, da quelle promesse di un futuro sempre più vero, sempre più funereo, in una parola, via da lui; ma vide anche come nonostante tutto lei si stesse avvicinando, come le sue sinapsi fossero dominate più dalla voglia di fugare ogni apprensione, ogni riserva che lo riguardava, piuttosto che compiere un taglio netto per salvaguardarsi.
Una come lei non aveva più voglia di restare a galla. Forse, quando si erano trovati davvero al Lago Nero con l'acqua sotto il mento, era ancora troppo presto. Forse aveva dovuto passare qualche notte assillata da quella titubanza, contesa in quel duello tra essere e potere, prima di comprendere.
Forse non vuole lasciarsi andare, forse non è mai stato questo. Forse sta solo cercando qualcuno a cui aggrapparsi.
(Forse? E' il motivo per cui sei qui. )

-Lo so esattamente? Potrei avere mentito anche su questo- inarcò appena un sopracciglio, ma il tono era indulgente -Potrei essere solo un semplice Occlumante con un buon intuito e l'accesso a informazioni riservate degli Auror-

Si strinse nelle spalle. Sul suo viso aleggiava una strana espressione: a seconda del momento, sembrava possibile cogliere una piega divertita ai lati degli occhi, un brillio curioso, un movimento giocoso della lingua da dietro le labbra.
Ponderò il suo quesito, che emergeva dalla tempesta elettrica perché gli era stato dato fiato e voce. Era la domanda gemella di quella che le aveva posto tempo prima, quando non era pronta. Qualcosa era cambiato, qualcosa cambiava sempre. Eppure, non era ancora il momento.
Avere dei ripensamenti, quando si trattava di lui, era la cosa migliore che si potesse fare e non l'avrebbe certo biasimata per questo.

(Distrusting me was the wisest thing you have done.)



-Ho incontrato te- ribatté, e quella voce non nascondeva nulla. Era una risposta -E ho visto. Quello che sei. Quello che hai passato. Se credi che accomuni molte persone in questa scuola, ti sbagli-

Le sue labbra si strinsero. Dunque, l'ombra di un sorriso rassegnato fu più evidente, ma non ancora scontata.

-Non ti chiederei mai di fidarti di me. Non ti chiederei mai niente che tu non voglia fare-

Estrasse la mano destra dalla tasca e indicò vagamente il corridoio.

-Con quello che sai di me, tu potresti denunciarmi. Anche ora. Mi chiuderebbero in un buco e getterebbero la chiave. Non farei più del male a nessuno-

Si grattò la spruzzata di barba tra mento e collo.

-Quella sarebbe la cosa giusta da fare, Evey-

Tornò ad appoggiarsi con le spalle al muro, la mano di nuovo abbandonata sul vecchio pastrano. L'azzurro cenere dei suoi occhi rimaneva fermo su Evey, pronto ad accogliere la sua decisione.

J. F.
 
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Rimase a lungo in silenzio, osservandolo senza dire una parola. Scelse di ignorare la battuta sul semplice professore di Occlumanzia; erano andati ben oltre. La sua attenzione era andata ad una frase in particolare. Non farei più del male a nessuno.
A chi altro aveva fatto del male, oltre a Sam? A nessuno, che Evey sapesse.
Un ultimo passo. Fu distante da lui non più di cinque centimetri.
Allungò con delicatezza la mano su quella di lui, poggiata sul pastrano, lasciando che le dita la carezzassero un momento prima di stringerla. Osservò quell'intreccio qualche istante prima di alzare lo sguardo su di lui. Jelonek sapeva che Evey non avrebbe fatto nulla di tutto ciò; se lui affondava, sarebbe affondata anche lei. Quale storia sulla faccia della terra sarebbe stata tanto credibile da condannare lui solamente? Come avrebbe fatto Evey a sapere ciò che Jelonek aveva in mente di fare? Aveva finto di essere sua alleata e dunque lo aveva denunciato per guadagnarsi il rispetto della Presidenza?
Una cosa tipica di lei, certo.
- No, non è vero. - disse piano, lo sguardo di nuovo basso sulle cicatrici del dorso della mano di Jelonek. Come poteva essere giusto?
(Eccola, quella cosa stupida. Offusca di nuovo il tuo giudizio.)
E allora?
Non sarebbe stato giusto. Non se volevano la stessa cosa; e anche se non riusciva a non pensare che Jelonek avesse qualcos'altro in mente, Evey sapeva che sarebbe stata la cosa giusta accompagnarlo al Cimitero, non era a lei che doveva pensare, in gioco c'era molto più di questo.
Il pollice percorse con delicatezza il dorso della sua mano, mentre Evey preparava la domanda successiva. Non poteva farne a meno, sentiva come se il gioco della Foresta fosse ricominciato, come se non riuscisse a fare altro che domandare e indagare, anche se non avrebbe voluto.
Era così bello quando non si aveva nulla da chiedere...
- A chi hai fatto del male? - domandò, alzando di nuovo lo sguardo su di lui.
Se il Ministero, o i Ministeri, avessero preso a rinchiudere e torturare atrocemente tutti coloro che baravano al gioco, luoghi come casinò e club del poker sarebbero stati leggende già da generazioni. Evey poteva solo avere una vaga idea di ciò per cui davvero Jelonek era stato rinchiuso, e tutte le ipotesi erano ben distanti da quello che lui le aveva raccontato su quella barca.
(Come faccio a fidarmi di te?)
La stretta sulla sua mano aumentò, così come aumentò il battito nel petto, come se sapesse che la cosa giusta da fare era quella che lui stesso le aveva indicato: imboccare quel corridoio e non guardarsi indietro.
Ma Evey non voleva farlo. Voleva rimanere lì ad ascoltare la risposta che le avrebbe dato questa volta; se pensava che si sarebbe impressionata, che sarebbe fuggita a gambe levate o che l'avrebbe guardato con disgusto, si sbagliava. Avrebbe fatto tutto questo se, per la seconda volta, sarebbe stata costretta ad ascoltare una storia falsa.
Una seconda opportunità.
 
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view post Posted on 14/11/2013, 06:08
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La mano di Jelonek, intenta a giocherellare con qualche bottone allentato sul pastrano, si immobilizzò quando Evey la coprì con la propria. Ormai si era fatta così vicina... Ormai lo toccava, e l'indagine dei suoi polpastrelli sul dorso segnato sembrava voler estrapolare tutta la verità dalla sua pelle. Jelonek combatté l'impulso di compiere qualcosa di imperdonabile; si stupì in realtà di trovarlo, ben delineato tra le proprie intenzioni. Non tra quelle mura. Non dove il Piano rischiava di essere compromesso da una qualche arida regola per mano di uno zelante Prefetto affamato di gloria. Non in quel momento, quando tutto era in bilico. O almeno, lui doveva comportarsi come se lo fosse.
L'idea che Evey potesse denunciarlo lo stuzzicava. Il terrore di finire di nuovo lì dentro era talmente titanico da non avere neppure un nome; non riusciva a vederlo in volto, non era in grado di delimitarlo, era troppo, per lui. Non avrebbe mai potuto provare un sentimento di quella portata, né gli apparteneva più l'istinto tipicamente animalesco di voler sopravvivere a ogni costo. Non poteva formulare un pensiero riguardo al suo annullamento. Nessuno aveva quella facoltà. Così, ciò che gli restava era un vago eccitamento, non dissimile da quello che infiniti vortici spazio-temporali prima lo aveva trattenuto al tavolo da gioco. Non credeva che lei avrebbe potuto veramente farlo, ma non era quello il punto.
La realtà era che non stava bluffando. Aveva sempre pensato alla fiducia come alla pagliacciata degli scambi, la pantomima dell'affidabilità. Un Trauma per un Trauma. Un Segreto per un Segreto.
(Era solo sicuro che lui l'avrebbe compresa. Una parte di lui l'avrebbe persino ringraziata. La paura era un terreno fertile per tutto, ma non per i legami. )
E' questo che siamo? Un legame?
La mano che era ancora nella tasca si arrischiò a sollevarsi e portarsi al di sotto della guancia di lei. La sfiorò appena, come in equilibrio tra forze contrastanti tra le quali nessuna riusciva veramente ad avere la meglio.

-A chi hai fatto del male?-



Un Trauma per un Trauma, un Segreto per un Segreto. Ma quello era un po' entrambe le cose e lui non aveva ricevuto niente in cambio. Poteva permettersi di essere così cinico, con lei? La sua fiducia aveva le gambe molli, ma era giusto che fosse così. Non avrebbe mai potuto fare affidamento su di lei se l'avesse vista ciecamente devota a qualcosa. Le incertezze erano i suoi punti di appoggio in quella scalata.
(Eppure, dietro la coltre di espressioni vagamente beffarde prefabbricate, al di là dei gesti controllati e gli impulsi soffocati quasi senza sforzo, la sua voce tremò di esitazione.)

-Non...-

Deglutì, quando non avrebbe dovuto. Si riprese.

-... non lo so. Quando era lì mi hanno fatto qualcosa. Si divertivano a...-

Il filo con il suo sguardo si spezzò definitivamente. Jelonek abbassò la mano che aveva portato al viso di lei, che era quasi arrivata a toccarlo. Emise uno sbuffo, come una risata morta sul nascere. Poi i suoi occhi tornarono su di lei.

-... non so cosa ho fatto e cosa no. I miei ricordi non sono tutti veri-

Si era spinto troppo avanti. Questo era ciò che Mandy gli aveva chiesto proprio quel giorno, nella stanza da letto attigua all'Ufficio del Preside, dopo averlo trovato con Evey. Era questo ciò che Mandy temeva più di ogni altra cosa. Che i rapporti sui suoi crimini, redatti dal Ministero della Magia, fossero veritieri.
Ma non lo sono. NON LO SONO.
(Però ti ricordi, vero? Ti ricordi anche troppo bene... come faceva quella vena?)
No.
(... faceva PUMP PUMP PUMP sotto i tuoi pollici, gli stessi che lei sta toccando in questo momento, e ti piace pensare di poterlo fare ancora, ti piace pensare che quell'animale sia ancora dentro di te, si sia risvegliato in quella cella e sia venuto alla luce quando sei uscito di lì, ammesso che tu sia uscito di lì, vero? Perché di questo non possiamo essere sicuri, questo potrebbe essere un altro dei loro scherzetti, giusto?)
... pulsava, sì pulsava, e il suo collo era così piccolo, e le sue braccia non potevano fare niente perché...
Si riscosse. Del resto, la sua espressione era rimasta immutata.
Perché sono tutte menzogne.

-Ho ucciso delle persone. Questo dev'essere vero. In maniera diretta o meno, le ho uccise. Ne ho ferite molte altre-

Feeling claustrophobic
Like the walls are closing in
Blood stains on my hands
And I don't know where I've been



E non è nulla rispetto a quello che sto per fare.

-Non credo che tu ti aspetti una rivoluzione pulita. E' qualcosa che non esiste-

Il Gioco della Verità forse gli aveva fatto ammettere troppo. Era stato come scalare una libreria non molto stabile per tentare di prendere uno dei libri sull'ultimo scaffale; si era sporto, e ora oscillava per capire se il libro sarebbe caduto, se la libreria avesse ceduto, o se le cose potevano tornare al loro posto.
Il loro doveva essere un mondo davvero strano se confessare di avere spezzato delle vite poteva aumentare la fiducia altrui nei propri riguardi. E quello non era un Trauma, quello non era un Segreto. Era un Peccato. Un peso che lo dilaniava e che smuoveva pensieri radicati troppo in profondità, cose che non voleva sentire la propria voce pronunciare.
Era qualcosa che avevano in comune? Apparteneva al suo passato e al futuro di lei? E chi poteva saperlo, se non loro?
La sua mano tornò sul suo viso, e questa volta fu una carezza lenta, che era a metà tra un tentativo e un'invasione impropria, di cui avvertiva un insolito bisogno. Forse era sceso troppo a fondo, era inciampato dove non doveva e lì sotto era assolutamente solo. Quell'angoscia lo aveva isolato da allora.

(Perché non c'è niente di più terrificante di ritrovarsi con le mani sporche di sangue e non ricordarsi dove si è stati.)

J. F.
 
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view post Posted on 15/11/2013, 04:53
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Lo ascoltò parlare, rimanendo in silenzio. Non volle perdersi nemmeno una delle sue espressioni, nemmeno uno dei movimenti delle sue labbra. Lo guardò allungare la mano verso di lei, per accarezzarla, ma poi la ritrasse. Lo sentì parlare con la voce spezzata, prima che riacquistasse un controllo che sembrava non appartenergli, quasi allenato, addestrato.
Il volto di Evey sembrava scolpito nella pietra. Le proprie dita non accennavano a lasciare la mano di Jelonek, tuttavia ascoltò il suo racconto (se così si poteva definire) senza battere ciglio.
Jelonek aveva ucciso. Non sapeva come reagire a quella realizzazione: una parte di lei era spaventata, voleva ritrarsi, correre via. Quella stessa parte che, sotto la superficie del Lago Nero, si era dibattuta per vivere, per sottrarsi alla sua morsa, quella stessa parte che aveva già capito che qualcosa, in lui, non andava. E non la solita aria da circense disperso, ma quei bagliori di follia che ogni tanto gli vedeva brillare negli occhi.
L'altra parte di lei, invece, non voleva muoversi. Se l'era aspettato, ci era arrivata da sola, riflettendo sulla storia che le aveva raccontato sulla barca. L'altra parte di lei rimaneva impressionata da quella confessione, ma non voleva lasciare che quell'impressione l'allontanasse. Erano entrambi qualcosa che la legge aveva perseguito e avrebbe perseguito, che differenza faceva sentirlo pronunciare dalle sue labbra?
(Che l'ha detto lui. L'ha confessato, non ha più mentito.)

Non credo che tu ti aspetti una rivoluzione pulita. E' qualcosa che non esiste.



No, infatti Evey non se l'aspettava. Ma si era imposta di combattere solamente chi doveva, non di approfittarsi di chi non poteva o fosse stato innocente. Non tutti erano i colpevoli di quella guerra, lei non avrebbe agito in quel modo, spazzando via tutto ciò che le era estraneo. Quello lo lasciava fare agli Auror. Evey avrebbe evitato di infierire sugli sconosciuti allo scontro, su chi non centrava: le fazioni erano due, e due solamente, anche se sapeva che non era una politica che nessuno, dalla sua parte, avrebbe seguito. Non le interessava. Non avrebbe fatto ad altri ciò che era stato fatto a lei, non avrebbe coinvolto nessun altro.
- Vorresti recuperarli? - domandò quindi, stringendo la mano attorno alla sua e facendosi più vicina di un passo. - Quei ricordi? Se ti fosse possibile, li rivorresti indietro? -
Voltò appena la testa verso la mano che l'accarezzava; le sue labbra si posarono sul palmo di lui, un tocco lieve, quasi fuggiasco, che però le trasmise il calore della sua pelle come se Evey non vi si fosse staccata per ore. Chiuse gli occhi, rimanendo in quella posizione per qualche secondo.
Non riusciva ad immaginarsi al posto di Jelonek; non avrebbe saputo dire in che modo convivere con una memoria falsa, che non le apparteneva, sapere che la realtà di fondo era cambiata, dover fare i conti ogni giorno con la consapevolezza che ci fosse qualcosa di terribilmente falso dentro di lei.
Riaprì gli occhi e lo guardò, ruotando il capo con lentezza e tornando a guardarlo in volto. Si chiese come riuscisse a distinguere il falso dal vero, come potesse ancora essere sicuro di provare qualcosa di autentico, senza chiedersi se fosse appositamente costruito dalla volontà di qualcun altro. Di sicuro, lei sarebbe impazzita.
(Ma questo è vero.)
Lentamente, Evey portò l'altra mano sulle dita che le sfioravano il viso, e le strinse con delicatezza; incastrò le dita tra il suo avvallamento del pollice e dell'indice, percorrendo il dorso delle falangi con il proprio dito opponibile. Quei tocchi erano autentici, lei lo sentiva; l'anellino con il drago si girava appena con quel contatto, Evey percepiva il proprio calore mischiarsi con quello di lui.
(Io sono il tuo totem. Questo è reale. Tu non sei lì dentro).
- Non mentirmi. Mai più. -
 
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view post Posted on 17/11/2013, 03:42
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La mano di Jelonek esitò per ancora qualche secondo accanto al viso di lei, dopo che le sue labbra ne sfiorarono il palmo. Si era mosso senza volerlo, certamente senza aspettarsi niente da lei. Non era più possibile aspettarsi qualcosa da qualcuno, non dopo Mandy.
Siamo quello che ci fanno diventare.
Evey poteva non avere una visione globale di quello che stava succedendo. Poteva non sapere quasi niente di lui (in realtà, non è del tutto vero, ormai) e non avere le idee chiare nemmeno su quello che lei stessa stava facendo. Ma non sarebbe arrivata alla suprema incoerenza di disprezzarlo per ciò di cui si era lordato le mani.
(Si tratterebbe di incoerenza, certo, soltanto se lei fosse profondamente convinta dei suoi principi. È così?)
Ha diciassette anni. L'età del disdegno supremo e della fede incrollabile. Non ci sono vie di mezzo. Su alcune cose si sputa, per altre si indossa una maschera e ci si prepara a uccidere e morire. Certo che ci crede. Crede di crederci, almeno. È esattamente la stessa cosa.
(Era un po' come se si trovasse in fila da uno di quei Babbani che con un ago passano ore a disegnarti un tatuaggio, inserendo l'inchiostro sotto pelle. Nella sala d'attesa tutti erano un po' nervosi e un po' eccitati. Avrebbe fatto male? Era qualcosa che avrebbe lasciato per sempre un segno su di loro e l'ansia di questa consapevolezza si combatteva con una cieca convinzione. Jelonek era appena uscito, mostrando le sue belle cicatrici su petto, schiena, gambe, braccia... Evey lo guardava, tra ammirazione e panico. Lui aveva già fatto qualcosa che a lei forse sarebbe stato richiesto presto. Presto il tatuatore avrebbe chiamato il suo nome e non si sarebbe potuta sottrarre dal Marchio che voleva disegnarle addosso. Presto Evey avrebbe ucciso e quel segno le sarebbe rimasto addosso per sempre.)
La presa sul suo polso non si era allentata; aveva visto il suo Peccato, o almeno il suo pallido riflesso smorzato da "forse" e "ma" e dopotutto, gli si era avvicinata. Se Jelonek avesse sospettato altrimenti, avrebbe tenuto la bocca chiusa.
(Ma poter essere sinceri con lei su una serie di omicidi a sangue freddo... wow, è già qualcosa.)
È pur sempre una Mangiamorte.
Le sue ipotesi su quello che sarebbe successo erano vaghe e prevedibilmente la vedevano come indefessa anti-eroina, una rivisitazione de La Libertà che Guida il Popolo con molte nudità e morti in meno, ovviamente. Jelonek non sapeva se quelle convinzioni sarebbero sopravvissute alla realtà; non sapeva se lei sarebbe sopravvissuta alla guerra, ammesso che di guerra si fosse poi trattato.

Need a little understanding for all I've done
In another situation I don't belong



Quello che scorse a quel punto tra i suoi pensieri lo lasciò interdetto. Lei aveva abbassato le palpebre per pochi secondi, e quando il loro contatto visivo era tornato integro, Jelonek aveva visto che lei non si stava figurando la scena. Non si era fermata a immaginare chi avesse ucciso o perché; non lo aveva dipinto con le mani strette attorno al collo di qualcuno o intento a massacrare di calci un poveretto riverso a terra. No, Evey, in quella brevissima parentesi dall'esistenza, aveva provato a immaginare come ci si sentisse a essere lui. Aveva pensato a come sarebbe stato vivere con ricordi fasulli in testa. Aveva assaggiato una briciola molto amara di quella torta andata a male che era il suo unico pasto ogni giorno da anni a quella parte.
Non era la stessa cosa che sopravvivere (a fatica) con quella condanna. Però lei ci aveva provato.
(Chi l'hai mai fatto prima? Per te?)

-Bé, finalmente sarei libero di sentirmi veramente in colpa- rispose alla sua strana, inedita domanda -Ogni giorno è un po' come... Venirlo a sapere per la prima volta. Rifarlo ogni volta-

Chi credeva che fosse un tormento subire torture, abbandonare pezzi di epitelio e sangue, udire e provare lo spezzarsi delle ossa, la fuoriuscita del midollo, non aveva mai provato cosa costasse infliggere dolore. O essere indecisi sull'averlo fatto oppure no.

-Cerco di ricordarmi nuovi dettagli. Particolari che possano... provare che non sono mai stato lì, che non l'ho mai fatto-

Ancora quel sorriso amaro, quello che alloggiava di frequente tra la sua barba corta.

-Ma la mia mente è fottuta. Non stava troppo bene neanche prima, questo bisogna dirlo-

La lingua finì dietro i molari mentre le guance apparivano scavate e gli occhi erano attraversati da un brillio divertito.

- Non mentirmi. Mai più. -



Non si era aspettato niente da lei, eppure Evey accettava la sua confessione, accettava lui, accettava quel tocco inspiegabile a cui lui non aveva potuto rinunciare. Lasciò scivolare la sua candida mandibola nell'incavo della sua mano e rimase a osservare

(sentire)

il suo pollice saggiare la concretezza della sua pelle arida e callosa, dei nodi delle sue dita zigzagate da cicatrici asimmetriche. Poi le sue labbra.
Questa è la mia decadenza. Questo è il mio degrado. E la mia anima non è messa affatto meglio.

-Non mentirti mai? Sarei la persona più bugiarda del mondo a promettere una cosa simile- sollevò le sopracciglia, senza mutare espressione -E tu quella più stupida a crederci-

La mano appoggiata appena sotto il suo collo si spostò. Percorse la linea della sua guancia finché le dita non affondarono nei suoi capelli. Nonostante tutto, non la trasse a sé. Era Evey che si era allontanata, quando avevano parlato delle vittime dell'era di Shaverne, e lui non avrebbe forzato in alcun modo il suo riavvicinamento. Sarebbe stata lei a decidere. Sarebbe stata lei a volerlo davvero.
O sarebbe stato inutile.

J. F.
 
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