Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Smells like teen spirit, Privata

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J. F.
view post Posted on 13/11/2013, 23:24 by: J. F.
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Oh bé, non si era certo aspettato comprensione e sensibilità da parte di Evey Atkinson. Lei non era mai stata bulleggiata... se mai il contrario. A dire il vero, lui non aveva mai provato particolare pena nemmeno per se stesso, né aveva mai dato vita a qualche tentativo di rappresaglia contro Pamperson e quelli come lui - perché ce n'erano stati altri come lui, ovviamente, ce n'erano sempre altri. Si diceva "gli esami non finiscono mai" - e in effetti, quelli scolastici di Jelonek erano stati proprio infiniti - ma la realtà era ben diversa. I bulli non finivano mai. Continuavano a spuntare come funghi dietro l'angolo di qualsiasi vita e godevano a moltiplicarsi quando si pensava si fossero finalmente estinti.
E ottenevano tutti grandi riconoscimenti ufficiali. Alcuni molto più importanti di una minuscola targa in Sala Trofei.
Non erano certo qualche immersione nel water e un qualche centinaio (?) di cicatrici a scatenare in J. F. la sua furia vendicativa, qualcosa di simile a un drago assopito che non si risvegliava nemmeno con il solletico. Un drago ormai anziano e pieno di acciacchi.
Esistevano torti peggiori. Il dolore fisico, l'umiliazione, non erano nulla.
Alcuni bulli ottenevano grandi riconoscimenti ufficiali, alcuni molto più importanti di una minuscola targa in Sala Trofei. Per esempio, il trono da Preside di Hogwarts. O lo scettro del Capo degli Auror.
(Esistono ancora torti peggiori?)
Mandy superava, con la sua machiavellica crudeltà, Eloise, l'Uomo Simpatico e l'Uomo Silenzioso. Persino Evey, pensò con un mezzo sorriso. I meriti, i traguardi raggiunti dovevano essere in un qualche rapporto di proporzionalità diretta con la scelleratezza.
Ma no, lui non serbava rancore. Appiccicava soltanto simboliche gomme da masticare e riempiva le teche di ditate. Rivendicazioni modeste e silenziose, piccoli pretesti per strapparsi una fugace soddisfazione.
(Ovviamente, non è questo il caso.)
Dall'alto (o basso?) di quelle riflessioni, Jelonek sollevò lo sguardo su Evey. L'aveva lasciata divincolarsi dalla sua presa, ma di lì a poco lei aveva ristabilito il contatto, liberandosi di inesistenti particelle di chewing-gum con uno strofinio sul suo pastrano. J. F. sollevò un sopracciglio.

-Non puoi arrivare lassù, Evey. Nessuno può arrivarci senza una scala. E' troppo in alto- precisò con notevole orgoglio.

Voleva lasciare andare il suo pastrano? O forse no?

-Nei caldi pomeriggi d'estate era refrigerante. A volte quando cominciavano a rincorrermi andavo direttamente in bagno e li precedevo. Rimanevano qualche minuto a guardarmi, senza sapere esattamente cosa fare- ridacchiò -Fu allora che cominciarono a picchiarmi-

Si strinse nelle spalle, come riscaldato da un bel ricordo, lo sguardo che ripercorreva la teca, quasi nostalgico.

-Ho avuto la soddisfazione di vederli diplomarsi tutti, molto prima di me. Mentre ripetevo il settimo anno- si grattò dietro la testa -Ma poi ne sono arrivati altri-

I suoi occhi si erano arrestati sul vetro, ma questa volta non vi guardavano attraverso. Si soffermarono sul riflesso. Erano passati sette anni (che era come dire una galassia, cinque continenti, tre oceani) da quando si era specchiato su quella superficie lucida, da quando vi aveva lasciato le impronte per l'ultima volta. Era stata una frazione di secondo in cui si era aspettato di rivedere il ventenne che era stato. Gli occhi non ancora assottigliati dalla vita, le occhiaie che erano più ombre che vere e proprie rughe, la pelle priva di segni, a eccezione della fossetta. La differenza tra quelle furtive attese e l'immagine rimandata dalla teca - la stessa teca di allora - fu tale da lasciarlo preso in contropiede per diversi secondi. Lo studente se n'era andato, la sua insolenza evaporata. Rimaneva un uomo invecchiato troppo in fretta, una irriverenza trasformata in calcolata perversione. Lui poteva vedere tutto questo in quegli occhi ridotti a fessure, quasi nascosti dalle pesanti occhiaie, e una pelle che aveva assorbito troppe lacrime, troppo tempo, perduto troppo sangue. Lui lo vedeva. Scorgeva quell'anima che si agitava mutilata, come il più sfortunato dei fantasmi.
Per un attimo dimenticò Evey e sfiorò il vetro con la mano, come ipnotizzato.
[Come sono arrivato a questo?]
(Ma lo sai.)
Ora basta.
Tornò a guardare la Serpeverde. Le prese la mano con lo spettro di un sorriso stanco e la infilò nell'ampia, sdrucita tasca del pastrano, insieme alla sua. Quasi senza pensare.

-E' successo qui, vero? Shaverne, la Negromante... Mi chiedo chi abbia ripulito il sangue. Mi chiedo dove siano le targhe per gli studenti morti sotto di lei-

A quell'epoca, lui lavorava già per il Ministero della Magia tedesco. Aveva letto della Grande Cerimonia mesi dopo l'effettivo evento, perché lei si era impossessata dei giornali, fornendo una versione molto deviata della verità - come qualsiasi verità, a dire il vero. Lui aveva cercato il suo nome, per assicurarsi che...
(... che fosse morta.)
Mandy era peggio che morta. Avrebbe voluto essere morta, di questo non c'era alcun dubbio. A quel punto, Jelonek aveva pensato che ci fosse giustizia.
(Ma non si era sentito meglio, affatto.)
Guardò Evey negli occhi. Quella storia era destinata a ripetersi ancora, e ancora, finché non fosse accaduto qualcosa di peggio.

-Dovrai fare attenzione- le disse, avvicinandosi a lei, la mano che stringeva la sua da dentro la tasca -Dovremo fare attenzione-

J. F.
 
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