Expose the dark side,
Aching and emotional,
Expose the dark side,
Impossible to tame
Nel momento in cui Jelonek sentì le mani di lei insinuarsi tra i suoi capelli, insieme alla pressione crescente delle sue dita sul suo braccio, si fece per la prima volta una domanda molto semplice, qualcosa che non si era mai chiesto, qualcosa a cui la Legilimanzia non poteva fornire risposte.
Che cos'è che ho acceso?Tra le ombre della mente di lei, la paura che aveva intravisto nella ragazzina alla rimessa delle barche aveva messo radici profonde, ormai insondabili. Il seme era già stato piantato, molto prima del loro incontro nell'Ufficio del Preside. Era bastato innaffiarlo con un po' di assenzio per farlo germogliare. Prevedibile, quasi... matematico. Oltre la sua fronte pallida, ora, era cresciuta una foresta densa di incubi, minacce, desideri oscuri e pericolosi.
Il suo sguardo, nella penombra, si era fatto magnetico. Le sue parole facevano vibrare corde tese, stuzzicavano istinti che credeva lo avessero abbandonato - presenze che lo avevano lasciato da solo, e di cui non aveva mai sentito la mancanza, perché tra queste c'era anche la possibilità stessa di sentire.
Aveva saputo dall'inizio che Evey arrancava dietro una maschera. Quei mesi erano serviti a verificare, sempre più da vicino, di che materiale fosse fatta: argento? Acciaio?
Il Lago Nero e, soprattutto, la Sala Trofei avevano dimostrato che la sua maschera era di un materiale molto meno resistente. Era composta da un sottile strato di cera.
Era bastato il fuoco a scioglierla.
Che cosa vedeva ora? Che aspetto avevano i suoi occhi?
Quale sapore...(
... sa di Cella Grigia. Così come tu sai di Stanza delle Catene.)
Non aveva bisogno di accorgersi di quanto lei fosse diversa, di come non sembrasse la stessa persona che aveva rabbrividito davanti a ricordi proibiti, scacciando pensieri vietati che la facevano inorridire.
Non era la stessa persona di allora.-Non sono sicuro di nulla-
Ormai, Evey era mossa da tutto quello che a lui mancava. Istinti ferali, appetiti sconosciuti, graffiante volontà di estrarre le unghie e ferire, poi di alzare le braccia e lasciarsi fare del male, e di nuovo scoprire le fauci e vendicarsi. Era una tigre dai denti a sciabola, affatto contenta di trovare qualcuno nel suo territorio, ma tutt'altro che impaziente di affondare le zanne e assassinarlo una volta per tutte. Prima, avrebbe giocato. Avrebbe assaporato l'impagabile retrogusto del rischio, l'avrebbe accarezzato con la punta della lingua, lasciando che le proprie pupille gustative ne venissero sedotte. Quasi ciascun esito che J. F. aveva messo in conto si era rivelato erroneo e distante dalla realtà.
Ora, c'era in lei qualcosa di ancora più imprevedibile. Un languore strano che rallentava i suoi movimenti e rendeva soffici le sue parole, in una danza silenziosa e letale.
A parte la propria incapacità di provare qualsiasi cosa (?), si poteva ben dire che Jelonek non avesse altre difese.
Si poteva ben dire che fosse rannicchiato in qualche angolo della Cella Grigia - perché faceva meno freddo, anche se di tanto in tanto usciva un ratto dalla sua tana a rosicchiargli un po' i piedi - ad aspettare che la notte finisse e che lo venissero a prendere e che gli venisse incollato un altro giorno nella mente, identico a quello prima, identico a quello dopo...-Ho molta, molta paura- mormorò, e nel farlo voltò il capo verso di lei, per poterla guardare negli occhi, per poter scrutare a fondo quel cambiamento, potersi specchiare, poter pensare "
Sono stato io" -Sei una persona pericolosa-
Adesso.-E io sono un codardo-
Le labbra di Evey erano già mortalmente vicine, sospese sul baratro dei loro respiri: da una parte, quello che si poteva ancora spacciare per un contatto benefico, dall'altra, il taglio mortifero del collo, semplice come il morso a una mela.
Jelonek scelse il dubbio, optò per la sospensione, esitò nell'incertezza; nulla gli era più naturale. Così, anche le sue labbra sfiorarono quelle di lei, mentre sillabava l'offesa rubata alla sua mente.
Per qualche lungo, stiracchiato momento non fece altro che guardarla. Per un Legilimens, uno sguardo poteva sostituire giorni e giorni di conversazioni inarrestabili. Con il tempo aveva imparato a selezionare le informazioni di maggiore importanza, che gli bombardavano la coscienza senza che lui potesse impedirlo. Non erano traumi che cercava, questa volta, non erano segreti, non erano preziosi punti di appiglio. Invece, pescò a grandi manciate dettagli inutili, colorati, stralci di ricordi che lei conservava, per chissà quale motivo. La vide sfogliare e ritagliare riviste di draghi, la vide sfrecciare sotto la pioggia in un allenamento di Quidditch, rubare vestiti alle sue compagne di dormitorio, chiudere gli occhi sull'immagine del suo letto a baldacchino, la vide correre nel giardino della sua famiglia...
... si rivide attraverso i suoi occhi. Appariva più grande di quanto non si sentisse, appariva come un interrogativo inspiegabile, un sinistro buco nero verso cui i suoi sentimenti si contrastavano in una lotta senza quartiere.
A quel punto abbassò lo sguardo sulla sua bocca, perché aveva già scavato oltre, era già arrivato più a fondo, ma non era giusto, non era bello, non era divertente.
Si mosse poco più avanti, così da incontrare le sue labbra. Chiedeva pietà, ma con un sorriso soffocato in quelle fossette ambigue, a esprimere tutta la sua rassegnazione. Le sfiorò la bocca, esplorandola appena con la punta della lingua, respirando sulle sue guance mentre socchiudeva gli occhi, cullato dal dolore sordo della ferita al collo, un tutt'uno con quel contatto morbido.
Una trance che durò solo pochi secondi. Tornò ad allontanarsi da lei, liberandosi dalla sua presa - non senza una qualche cautela - e alzandosi in piedi. Le offrì una mano per fare altrettanto. Oltre le finestre, i colori che il cielo gettava sul parco in lontananza annunciavano l'avvicinarsi del tramonto.
-Dovresti avere più paura dei Prefetti-
Si portò una mano al collo, trovandosi le dita ancora sporche di sangue. Ghignò.
-E io dovrei averne di più di Mandy, se vogliamo entrambi rimanere tra queste... gloriose mura-
Lanciò un'occhiata al suo trofeo personale, ben visibile dietro la vetrinetta, se si sapeva dove guardare.
-Non dimenticarti il...- esitò per un attimo, non volendo ripetere lo stupido nome ad alta voce -Il
cosomantello. Abbiamo già fatto abbastanza casino, qui dentro. Poi mi è costato fior fior di galeoni-
Trofeo all'eleganza.
-Buona serata, signorina Shipperson-
Si sfiorò la tempia in un immotivato saluto militare, poi recuperò il suo pastrano e si incamminò per il corridoio, pronto a perdersi un'altra volta.
J. F.