If only I could tell you everything,
The little things you'll never dare to ask me...
Quello che non aveva un nome, quello per cui lui non aveva difese, era evidentemente qualcosa destinato a limitare la loro libertà. J. F. avrebbe potuto fingere di non saperlo, se non fosse stato che J. F. non fingeva mai. Se non fosse stato che J. F., proprio lui, aveva stretto un nodo intorno ai loro due polsi, unendoli, senza chiedere il permesso a nessuno. Forse
quello che non aveva un nome manovrava i loro fili come se fossero marionette senza possibilità di scelta... o forse, quella cosa dava molto per scontato. Dunque si trattava di questo: imprigionarsi a vicenda, riducendo una a una le vie di fuga dell'altro, convincendolo che non voleva affatto fuggire, che quella trappola era bella così com'era, che non faceva male, che anzi teneva lontano il dolore.
Evey premette il proprio corpo contro il suo avambraccio con una discrezione superflua. Jelonek le circondò il busto in maniera più stretta, come accorgendosi solo in quel momento del suo
errore. Non c'era spazio per le esitazioni, non c'era spazio per le riserve che gli trattenevano gli arti, che lo dominavano.
Lei sapeva come si faceva, per quanto lui potesse inutilmente tentare di accomunarla a lui sotto il titolo di una qualche goffaggine. Non aveva accettato i suoi tempi stentati nella Foresta Proibita e non li accettava ora. Jelonek sarebbe stato libero fare quello che voleva, come voleva, a condizione che fosse ciò che voleva anche lei; ogni ritardo, ogni tentennamento, avrebbe incontrato una direttiva molto più franca e urgente da parte di lei.
Quelle erano le condizioni. Jelonek avrebbe finto di accettarle, mettendo da parte i suoi ripensamenti... sempre se poteva definirsi così la sua incapacità manifesta nel ritrovarsi in quella situazione.
(
Come potrai distinguere la finzione dalla realtà? Fingerai, ma di fatto le accetterai. Hai finto così bene da raccontarle della Cella Grigia, di Eloise, di cose che non avrebbe mai dovuto sapere. Cose che non sa nemmeno Mandy.)Era necessario.(
Continuerai a lasciarti manipolare, finché continuerai a credere alla favoletta che quello che muove i fili sei tu.)
Questo è in mano a lei. Perché io non saprei che cosa fare.(
Tu non sei come lei. Non più. Tienilo bene a mente.)
Era proprio necessario? Aveva una qualche importanza, ormai? Rimaneva qualcosa che importasse davvero?
(A parte il Piano?)
Evey aveva capito molto prima di lui che quella reazione muscolare inappropriata alla situazione fosse un riflesso, che certi ricordi non-ricordi avevano reso inseparabile dalla sensazione di qualcuno che gli si avvicinava, qualcuno o qualcosa che stava per toccarlo, e non certo per accarezzargli i capelli o per...
-Non puoi saperlo-
E questa volta le parole vennero sbattute tra lingua e palato senza passargli per la mente. Avrebbe dovuto perdonarsi? Era colpa della vicinanza che lei imponeva (come se
sapesse), dell'effluvio della sua pelle che insaporiva di panna i suoi biscotti, dei suoi capelli che lo invadevano, così vicini... Del resto, lui era sempre stato così bravo a fornire a se stesso tutte le scuse; era facile, se le si confondeva con le accuse.
Jelonek abbassò lo sguardo solo per un attimo, sulle labbra di lei che lo incatenavano a quella indecisione, e sorrideva, sorrideva sempre quando sbatteva la testa all'impossibilità di poter sperare. Sapeva solo sorridere in quel modo, e solo per quel motivo. Perché era rassegnato. Avere le spalle al muro aiutava. Faceva aprire gli occhi sulla realtà; la sua realtà, in quel momento, incombeva con più domande che risposte, rendendo del tutto inutile la sua Legilimanzia.
Ma, del resto, era mai servita davvero a qualcosa?
-Le ferite peggiori me le sono inflitte da solo-
"Hanno cercato di farmi credere anche a questo", le aveva detto, quando lei gli aveva chiesto delle cicatrici. Lui ci aveva creduto. Ma in quel momento non stava parlando della sua invidiabile collezione ambulante di piccoli capolavori. Parlava del suo fardello, la sua palla al piede che segretamente si trascinava ovunque.
Ferire era il modo migliore per ferirsi. Se quel semplice concetto aveva un suono così retorico, doveva per forza contenere un granello di verità, per quanto insulso.
(
Quando ti avvicini so che sto per farti del male. Non importa in che modo. È un dolore che non si impara mai a sopportare del tutto, quello di essere diventati carnefici. Non si impara mai a sopportarlo del tutto, ma io sono diventato abbastanza bravo.)
E ora le narici di lei si riempivano del pungente aroma d'anice dell'assenzio, che la seduceva. Era ipnotizzata dalla prossimità al suo collo, che non aveva mai smesso di essere pericolosa, dal primo momento.
Jelonek non trattene il fiato quando quei pensieri assassini si riversarono nella testa di lei, mano a mano che i ricordi facevano il loro corso e Evey assaporava di nuovo quell'antica conquista avvicinando più i denti che le labbra alla giugulare che pulsava, risaltava nel suo stanco trionfo di vita, gli attraversava il collo in un invito sporgente. Il potere di decidere della vita e della morte, della sofferenza e del sollievo. Questo glielo poteva regalare?
Niente ha importanza. La mia sopravvivenza meno di tutto.Jelonek non trattenne il fiato. Socchiuse gli occhi, volendo per un momento - solo un momento - tornare a essere la vittima, consegnarle il coltello dalla parte del manico. Portarlo in continuazione lo rendeva così debole...
Giunse invece uno sfioramento leggero, così lei gli rimandava il messaggio che la pace non era per lui e non sarebbe mai arrivata.
(
Non bruciava. Non usciva del sangue. Sei sicuro che fosse questo ciò che volevi?)
Mentre Evey si rimproverava per quei sussulti crudeli, quell'istinto impossibile da sradicare, lui avrebbe voluto prenderle la testa e accompagnarle la bocca proprio su quella vena che per un attimo aveva desiderato assaggiare con tutta se stessa, e non per il gusto del sangue, ma perché aveva desiderato vincere, essere qualcosa di più di un'insulsa pedina, prevalere e con un morso vendicarsi di quello che ancora non le aveva fatto.
Burning feathers, not an angel
Heaven's closed , Hell's sold out
So I walk on the earth, behind the curtains, hidden from everyone,
Until I find a new life to ruin again
Jelonek tornò a guardarla. Aveva una nuova luce negli occhi, e il sorriso si era trasformato in un fantasma, il fantasma in un demone. Con gli ordini non si poteva sbagliare. L'obbedienza ammutoliva ogni protesta. Si avvicinavano sempre più, per mano, all'orlo di quel dirupo, ma lei di tanto in tanto spiccava una corsa, al punto che lui faticava a tenerle dietro.
Era stata la Vera Evey a dargli quell'ordine perentorio. Alla Vera Evey non si poteva dire di no, né lui avrebbe avuto intenzione di provarci.
Lei gli aveva già preso la testa, premendola contro la propria. Le sue labbra avevano trovato la loro strada, per incontrare le sue, e lui non si sarebbe mai opposto. La strinse ancora più contro il suo corpo, assecondando i suoi movimenti; era sempre meno se stesso. Evey beveva il suo assenzio senza rimpianti, J. F. si divertiva a succhiarle l'anima, un respiro alla volta. La lingua di lui le penetrò la bocca senza più ripensamenti, tanta era la voracità di quel risveglio. Ricercò la sua, ricacciandola dentro, prevalendo in quel duello di breve durata. La presa sui fianchi di lei divenne convulsa, come se volesse strapparle prima i vestiti, poi il corpo, di dosso, spogliandola di qualsiasi traccia di umanità.
"È sbagliato, non c'è mai stato niente di così sbagliato", aveva pensato Jelonek, poco prima.
È giusto. Nulla è mai stato così giusto., diceva J. F., e quella foga non zittiva i sussurri dalle teche, li rendeva più acuti e disperati, e lasciava che lui e Evey ridessero in faccia a tutti loro, una sfida beffarda, l'accettazione totale dell'abbandono al nulla.
(
Ancora lei correva, correva in discesa, anche se la strada stava finendo, ma lei era voltata verso di lui e non poteva accorgersi di quello a cui stava andando incontro... il niente, l'oblio, l'orrore.)
Si separò da lei quasi bruscamente, allentando la presa sul suo busto ma solo a malapena. La guardò, mantenendo la vicinanza che lei aveva ricercato. Il brillio nei suoi occhi diceva che Lui era tornato: l'uomo che era emerso per qualche secondo nella rimessa delle barche. La Falsa Evey non lo aveva temuto allora, non c'era ragione per nasconderlo ora che anche lo sguardo di lei era cambiato. Era cambiata la persona che lo fissava da dietro quegli specchi.
Sei sicura di non volermi fare del male, Evey?Do you really know me? I might be a God.
J. F.