I'm a falling stone in a world of glass
I'm a ticking bomb with a smiling mask
I suoi primi incontri con Evey Atkinson non gli avrebbero mai potuto far presagire che un giorno l'avrebbe vista sorridere in quel modo. Avrebbe potuto immaginare se stesso mentre ridacchiava, celando un ghigno; quanto a lei, dopo la barriera di diffidenza e cinismo iniziale, sarebbe rimasta barricata nel suo castello di granitiche certezze, con giusto qualche breccia attraverso cui lui potesse guardare. Niente andava mai come previsto,
eppure le persone continuavano a sperarci ogni volta. Le mura erano state abbattute. Era stata lei a volerlo. Si trovavano lì insieme, vicini, contrariamente a qualsiasi previsione. Quello che era parso un portone rinforzato, espugnabile solo dopo ripetuti attacchi, non era stato chiuso bene. Evey aveva reciso i rapporti con chiunque potesse ricordarle i suoi orrori. La realizzazione più dolorosa sarebbe stata quella, la comprensione che l'orrore era ormai dentro di lei, oscurava la sua vista come un velo nero, direttamente dall'Inferno. Nessuna, tra le persone che aveva conosciuto
Prima, sarebbe comparsa più nei suoi colori originali. Lui aveva messo il piede nello spiraglio della porta, lo aveva allargato finché non era stato di una larghezza sufficiente a farlo passare. Ora si trovavano lì dentro.
(La porta si stava chiudendo alle loro spalle, tagliando l'ultima fonte di luce. Presto sarebbero rimasti al buio.)
Perché lui non apparteneva al Prima Di di Evey Atkinson. Era apparso oscuro, quanto e più degli altri, ma a differenza degli altri, non aveva mai mostrato colori diversi, non c'era mai stata purezza nell'immagine mentale che Evey conservava di lui. La sua oscurità appariva più autentica, più vicina a quella di lei.
Si poteva davvero vivere nell'isolamento assoluto?
No, se si è ancora esseri umani.
In questo, lui aveva un vantaggio.
(E
non importava che il suo respiro si fosse calmato, che quell'accenno storto di ghigno fosse stato cancellato dalla mano di lei che gli percorreva lenta la guancia, dell'agrodolce delle sue labbra, un sapore nuovo, fuori da qualsiasi catalogo, estraneo a qualsiasi cosa avrebbe mai potuto essere scritta o letta o appresa...)
C'erano angoli insondabili e desolati del suo cervello, e gli sprazzi d'emozione che riuscivano a percorrerli erano destinati a rimanere lì relegati. Lei si comportava in quel modo, si lasciava andare, forse perché credeva di avere ormai vissuto ogni cosa. Quale dolore le restava da provare?
Quanto dolore può provare un corpo prima di spezzarsi?(
Bé, la domanda è sempre stata quella, no? La domanda in allegato alla nostra nascita. Tutte le persone che incontriamo da quel punto in avanti ci metteranno alla prova, vedranno fin dove possiamo arrivare. E faranno di peggio.)
Era quello. Il suo sorriso era un imprevisto.
(
La sua risata era un pericolo.)
Tutto era stato un imprevisto, nella sua vita. Non aveva importanza, non quando c'era il Piano. Quegli
angoli insondabili e desolati del suo cervello non avevano controllo su nulla, non potevano cambiare niente...
-Continuo a perdermi perché... uso le mie scorciatoie segrete. Sono troppo segrete, Evey, devo aspettare che nessuno mi guardi, per poterci entrare- (adesso, ogni volta che parlava, il suo mento le sfiorava la testa, strisciava sui suoi capelli, quella era la misura della loro vicinanza, se si fosse soffermato a pensarci anche solo un momento, si sarebbe accorto di quanto fosse tutto così
assurdo) -Te le mostrerò quando... mmm... ti comporterai bene. Sì-
Così poteva assicurarsi che rimanessero segrete. "Nell'anno del mai, nel mese del forse", come rispondeva talvolta sua madre alle sue perentorie richieste di trenini, orsetti gommosi e letti a baldacchino con altalena.
Poi ricordò la domanda di Evey su ciò che più le stava a cuore; su quella cosa che avrebbe dovuto dimostrare, teoricamente, la presenza di un cuore in lei. Mmm.
-Al primo anno mi sono rifiutato di salire sulla scopa- confessò, con il sorrisetto che associava alla rievocazione di episodi di Hogwarts -Mi ci hanno costretto. Allora ho fatto in modo di impennarmi e cadere. Mi sono spaccato il ginocchio! Anche se me lo hanno sistemato subito, ho potuto usare il trauma come scusa per farmi assegnare dei compiti di teoria in Volo. Non prendevo comunque voti molto alti, ma almeno non rischiavo di inimicarmi metà scuola... eh...
l'altra metà della scuola, quella che non mi ero già inimicato facendo perdere punti e avendo un nome esotico-
Si portò la lingua dietro i molari e sollevò le sopracciglia.
-Non tutti sono pieni di sentimenti negativi come te, Evey. È stato
davvero un incidente. Il Quidditch è per persone... violente, arrabbiate e... virili- annuì, convinto dalla scelta di quell'ultimo termine -La negatività è come un cattivo odore... Evey- la ripetizione del suo nome alla fine delle frasi le rendeva assolutamente più didattiche; le sarebbe stato utilissimo ricordarle in momenti chiave della sua esistenza, figurandosi un suo primo piano circondato da luminose nuvole che ruotavano lentamente -Non è un caso che i giocatori di Quidditch puzzino-
Tirò rumorosamente su con il naso tra i suoi capelli e annuì con gravità. Quindi si prese un lembo del maglione tartan e lo avvicinò alle narici di lei.
-Su di me sentirai soltanto... profumo di...
calma e giustizia-Assunse un'aria calma e giusta, ovvero aggrottò le sopracciglia, piegò gli angoli della bocca all'ingiù con un vago broncio, mantenendo uno sguardo astuto. Imperscrutabile.
-O rettitudine. E onestà. Non so di cosa profumo oggi-
(Non aveva alcuna intenzione di allentare la cintura delle sue braccia intorno a lei. Non quando lei sorrideva. Non quando si sentiva così simile a un ragno con la sua tela. )
Am I the only one zen around here?J. F.