Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Smells like teen spirit, Privata

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view post Posted on 14/12/2013, 05:49
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Whatever sense it makes
We never learn from our mistakes



E lei continuava ad avvicinarsi a lui, a parlare con lui, a porre parti del suo corpo in contatto con i suoi vestiti, con le sue mani, come se fosse normale. Come se lui fosse normale, come se lei fosse normale. Era normale. Era straordinariamente normale quando lo faceva lei. Dove si imparava a fare quelle cose? Non certo sulle riviste, non certo nei fumetti, non certo da Mandy e non certo nella Cella Grigia. Anzi, uscito da lì, lui aveva dovuto riapprendere anche come portarsi un cucchiaio alla bocca. E non è che fosse più in grado di farlo tanto bene, tutto sommato.
Sentì i muscoli delle gambe e della schiena irrigidirsi. Il primo istinto era sempre quello (bé, non sempre; solo dalla fine del Prima Di in avanti), prepararsi. La pulsione di autoconservazione veniva soppressa molto presto, precisamente quando le ultime speranze venivano schiacciate come scarafaggi; le loro carcasse facevano addirittura ribrezzo. Era a quel punto che subentrava la rassegnazione. Ci si preparava al dolore, che arrivava comunque. Si desiderava di poterlo abbracciare come un parente lontano, ma quello continuava a respingere, a rifiutarsi, a colpire nervi nuovi. Così, da qualche parte sul fondo del cumulo di stracci che aveva al posto dell'anima, si era sedimentata quella convinzione impossibile da sradicare: se qualcuno lo toccava, era per fargli del male. E lui doveva irrigidirsi. Doveva prepararsi.
Abbassò la guardia solo dopo un paio di secondi. Non era certo la prima volta che capitava con Evey qualcosa di simile. Lei ricercava quel contatto. Se si fosse fermato a pensare prima di avviare il Piano, si sarebbe accorto che era ovvio, era naturale. Per gli altri.
La maggior parte dei suoi problemi derivavano dalla sua basilare incapacità di imparare dai propri errori. Dalla sua basilare capacità di imparare in generale. Eppure, aveva ben chiara la reazione manifestata da Evey nella Foresta Proibita, quando lui si era preparato più a ricevere una qualche tortura piuttosto che a rispondere adeguatamente a quelle labbra così precocemente (?) appoggiate alle sue. Tutto aveva traballato, come sul ponte di una nave. A un contatto doveva seguirne un altro. Questo lo aveva capito. Lui non era un manico di scopa come Mandy... anche se Mandy probabilmente sapeva già quelle cose. Semplicemente, non se ne curava. A lei non era importato mai troppo di deludere gli altri, anzi, lo faceva con un certo orgoglio.
J. F. sapeva che a lui questo non era concesso. Si trovava molto al di là della possibilità di gestire le sue relazioni come voleva.
(Ti trovi molto al di là della possibilità di avere relazioni. Non sei più un essere umano. )
Bé, anche gli scarafaggi stringono alleanze. Così come le formiche. Ci si sopporta l'un l'altro per raggiungere uno scopo comune.
(È questo che stai facendo, quindi? La stai sopportando?)
I capelli di lei erano una cascata di lava raffreddatasi in opaca ossidiana. Ricadevano oltre il suo ginocchio. La sua nuca aveva trovato posto contro i suoi pantaloni. Seduto, da quella posizione, lui poteva soffermarsi su un qualsiasi particolare del suo volto da diciassettenne. Le preoccupazioni che si annidavano tra le pieghe sottili della sua fronte, quelle che si nascondevano tra gli archi delle sue sopracciglia. Le porte dei suoi occhi, spalancate perché lui vi frugasse dentro, perché era un'altra cosa inevitabile, perché era quello che faceva, perché lei era pronta a fargli scoprire quelle cose. Anche lei aveva rinunciato a lottare, come era accaduto a lui, troppo presto eppure troppo tardi, su quella sedia, non troppo tempo prima. Evey si era arresa all'uomo sbagliato. Ciò che era peggio era che tra i suoi pensieri messi a nudo aleggiava la convinzione di essere ancora in gioco.
(Forse lo è. Forse sei tu a non avere compreso quello che sta succedendo. Forse sei tu quello che si trova davanti a qualcosa che non può frenare.)
Non c'era potere che potesse aiutarlo in questo.

-Gdynia è in Polonia, sulla costa. La famiglia di mio padre viene da lì. Ho dei parenti olandesi, da qualche parte nel mio albero genealogico-

(La sua mano destra aveva lasciato il trofeo e si era avvicinata ai suoi capelli. I polpastrelli ricordavano la consistenza di quelle ciocche con più chiarezza di un miliardo di altre cose. Non c'era una giustificazione valida per questo, indipendentemente dalla determinazione con cui la cercava. )
Prese ad accarezzarle i capelli, con un'aria distratta che era in realtà tutto l'opposto: l'apice della concentrazione. Lottava contro il timore di sporcarla e la propria volontà di farlo senza alcun rimorso.

-Il mare è...-

Era sicuramente l'occasione imperdibile per dire qualcosa di profondo. Si schiarì la voce, consapevole di quella grande responsabilità, scannerizzando mentalmente tutto quello che le varie riviste gli avevano detto in merito.

-... oh... Come il deserto, ma fatto di acqua. E più freddo. Molto più freddo. Almeno, quello dei posti dove sono stato-

Superato lo sforzo, abbassò lo sguardo su di lei.

-Ho varie obiezioni ideologiche sull'uso delle bacchette- dichiarò pomposamente, corrugando le sopracciglia -E quell'incendio è stato veramente potente, anche se ho aspettato un po' prima di chiamare i miei genitori, per un effetto più plateale-

Si formò la fossetta all'angolo della bocca, mentre un vago sorriso si formava sulle sue labbra, al ricordo.

-Ci sono troppe materie che richiedono l'uso della bacchetta. Come se fosse la sola cosa essenziale nel mondo magico. C'è molto altro oltre alle bacchette e a quei giri di numeri di Aritmanzia. O quei simboli storti di Antiche Rune- un discorso che gli era estremamente familiare, avendolo enunciato ai suoi stessi esami, tra un'indiscrezione sulla commissione e l'altra -E poi te l'ho detto. Adoro i treni. L'Espresso di Hogwarts è sempre stato la sola cosa che mi sia mancata di questo posto. Mi nascondevo negli scompartimenti per poter fare anche il viaggio di ritorno per Londra, quando arrivavamo a Hogsmeade. Mi trovava sempre la vecchietta della merenda. Avevo il cuore spezzato: ero convinto che ormai fossimo diventati amici-

Le sue dita, quasi inconsapevolmente, si erano arcuate e ora, più che accarezzare la capigliatura di Evey, la stavano pettinando, tirando qualche capello qua e là.

-Quale destino ti attende quando lascerai queste mura? Ammesso che tu le lasci mai-

Non era affatto scontato. Proseguì con i suoi movimenti, attendendo di sentire la risposta uscire dalle sue labbra, mentre era intento per metà a scacciare e per metà ad accogliere il senso di riposo che quella situazione gli stava trasmettendo.
(Perché?)
Perché no?

Whatever comfort it might bring
Nothingness embraces everything



J. F.

Edited by Kedavra - 14/12/2013, 07:05
 
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Rimase ferma, guardando il soffitto, intrigata. Un deserto fatto d'acqua salata e fredda. E il rumore? Evey non riusciva proprio ad immaginarselo. Aveva sentito dire che il rumore del mare fosse qualcosa di meravigliosamente indimenticabile. Dubitava fosse come quello del deserto, che Evey immaginava mortalmente silenzioso. Nei libri aveva letto della "risacca", del "rumore spumeggiante", delle "onde che si infrangevano sugli scogli". Ma non riusciva, ancora, ad immaginarsi nessuno di quei rumori. Imbarazzante, considerando che era nata e vissuta su un'isola. Grande, si, come grande poteva essere la Britannia, ma pur sempre un'isola.
- Quindi hai visto anche l'Europa? - domandò ancora, riportando lo sguardo su di lui, affascinata. Il massimo che Evey aveva visto era stato il centro storico di Dublino. Tutto il resto l'aveva solo immaginato nella sua mente, dalle foto sui libri o sulla Gazzetta del Profeta. Era una cosa imbarazzante per chi era ossessionato dalla mitologia nordica e greca.
- Dove altro sei stato? - chiese, rilassandosi profondamente nell'avvertire le dita di lui che si avventuravano tra i suoi capelli. Avevano un meraviglioso effetto soporifero, tanto che, nell'ascoltarlo, Evey chiuse gli occhi, sprofondando in un surreale status di quiete totale, alla quale non era affatto abituata.
Le sarebbe piaciuto, un giorno, dopo Hogwarts, partire, viaggiare per il continente e anche oltre, visitare tutti e cinque i continenti, vedere tutto ciò che c'era da vedere al di là della pergamena dei libri. Evey amava casa sua, ma, dopo un po', ogni parete diventava sempre più opprimente, più piccola, sempre uguale. Dopo un po', nulla di ciò che si conosceva rimaneva sufficiente per andare avanti.
Pensi, forse, di avere questa scelta?
Si aprì un sorriso divertito sulle labbra; Jelonek riusciva a stupirla con l'utilizzo di un vocabolario così accurato e ricercato, non lo credeva capace di simili paroloni.
- Che esibizionista! - commentò con falso sprezzo, vanificato dal ghigno che stava mostrando. Ecco dunque, Jelonek bambino era stato tanto teatrale quanto il Jelonek adulto. Chissà come mai, la cosa non la stupiva affatto.
Ricordò quando, nella Foresta Proibita, le aveva dichiarato la sua passione per i treni. All'epoca, Evey non ci aveva fatto quasi caso, considerandola una delle sue stravaganti uscite senza senso: era troppo ossessionata dal fatto che lui avrebbe potuto essere un Legilimens per preoccuparsi di qualsiasi altra cosa o porsi qualche altra domanda.
E ora, invece...
- Si ma... perchè? - domandò. Non era affatto una risposta. Ad Evey piaceva viaggiare sull'Espresso solo per guardare fuori dal finestrino e guardare il paesaggio scorrere, dunque addormentandosi di sasso contro il vetro freddo e svegliarsi di soprassalto per sventare un'attacco a sorpresa di Sebastian Finch con il suo ultimo acquisto da Zonko.
- La vecchietta della merenda è una delle donne più infide che esista sulla terra! - disse con convinzione. Evey l'aveva sempre trovata terribilmente inquietante, non aveva mai comprato nulla dal carrellino dell'Hogwarts Express, convinta che quell'anziana signora avvelenasse tutte le merendine che vendeva. Si sarebbero spiegati molti degli anomali comportamenti dei suoi compagni. Anche il nonno le raccomandava di evitarla, la terrorizzava dicendo che quel carrello era pieno di germi e di saliva di sputacchianti undicenni eccitati per la scuola. Questo era bastato per tenerla lontana da qualsiasi dolce venduto dalla vecchina.
Riaprì gli occhi e lo guardò in volto, interrogativa. Che significava "ammesso che tu le lasci mai"? Certo che le avrebbe lasciate. Non aveva intenzione di rimanere studentessa a vita (per quanto Edward Moody e Meredith Collins si sforzassero che così fosse), e una volta superati i M.A.G.O., Evey avrebbe viaggiato.
No, errore. Questo era quello che avresti voluto fare prima di ritrovarti in quella stanza.
- Non ci ho mai pensato. - rispose quindi. Non era del tutto vero, ci aveva pensato eccome: un viaggio per le mete mitologiche che più l'avevano colpita, a partire da Glastonbury. Poi sul Vatnajokull, per tornare, dunque, in Europa e girare ogni singola città antica della Grecia, con tappa obbligatoria al Monte Olimpo. Quindi in Asia Minore, sulle rovine di Ilio, dell'Anatolia, giù nel Medio Oriente fino all'Antico Egitto.
E poi sarebbe tornata in Irlanda, ad aprire il suo allevamento di Draghi. Illegale o meno, non aveva importanza, lei avrebbe avuto un allevamento di Draghi tutto suo.
- Qualunque cosa mi sarebbe piaciuta... sono successe un po' di cose - disse quindi, con il sorriso che sbiadiva appena - non credo di poterla più fare. O almeno... non adesso. -
Continuò a guardarlo in volto, come se potesse vedere le tappe del suo viaggio stampate sulla barba di Jelonek. Prima o poi sarebbe partita, poco ma sicuro. Quando le cose sarebbero cambiate, quando lei sarebbe uscita da quella stanza. Quando ci fosse riuscita.
La sua mano andò a sfiorare l'avambraccio di lui, ricambiando, senza nemmeno pensarci, il tocco delicato tra i capelli, che la stava rilassando tanto. Perchè era giusto farlo. Perchè voleva farlo. Ne aveva bisogno.

But I needed one more touch
Another taste of heavenly rush

 
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view post Posted on 15/12/2013, 04:04
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Evey stava parlando di quelle cose, e le stava immaginando, come se si trattasse di esperienze straordinarie. Come se necessitassero di una qualche fantasia, di un selvaggio volo pindarico verso l'ignoto che solo le sue parole potevano scatenare. Non c'era niente di speciale in questo, per lui. Ne era sorpreso e non lo capiva.

-L'Europa... sì, certo- si accorse che una traccia di stupore emergeva comunque nella sua voce, contro la sua volontà -I posti tra loro sono molto simili. Non è come dicono sulle riviste di viaggi. È per questo che i monumenti vanno così alla grande, sai. Sono la prova che sei proprio lì, e non da un'altra parte. Il resto è sempre uguale. Le strade, la gente...-

I pub. Il sangue. Le colpe.
C'era qualcosa di stranamente terapeutico nel movimento che andava dalla radice dei suoi capelli alle punte, e in quel percorso morbido e strano. Si sentiva ancora se stesso, ovviamente. Non avrebbe saputo come definire quel momento. Si domandava però come fosse essere al posto di lei. Nessuno gli aveva mai accarezzato i capelli, ma era anche vero che lui non lo aveva mai chiesto a qualcuno. Non ci sarebbe stato nulla di strano, no?

-Ho vissuto in Germania, a Stoccarda, poi a Berlino. Sono stato un po' di mesi a Praga... credo. A Bruges, in Belgio, stavo in un... favoloso albergo, eheh. Ogni tanto un'aiuola, ogni tanto un ramo, ogni tanto un ponte- azzardò un sorriso, perché quei vagabondaggi appartenevano al suo Prima Di, e i confini della sua memoria si confondevano, e poteva essere tutto vero, poteva essere tutto falso, e questo era anche un po' divertente, quando smetteva di essere terrorizzante -Dopo essere uscito, mi hanno mandato a lavorare un po' in Austria, un po' in Slovenia, anche in Russia... non mi volevano tra i piedi. Hanno voluto poi mandarmi per un po' a Oslo, ed ero contento perché volevo imparare il finlandese... ma poi ho scoperto che si trova in Norvegia. Lì si sta davvero bene, come in Olanda, e ho scoperto che d'estate lì non fa così freddo e non mangiano solo pesce... per fortuna, perché so pescare ma il pesce non mi piace. E comunque non ci potevo vivere, quindi... dovevo lavorare insieme a un tizio che poi non parlava molto. Comunque mi hanno fatto tornare in Germania-

Detto così, sembravano sette anni eccitanti. La realtà era che ovunque lo spedissero, ovunque lui spedisse se stesso, il suo Dopo assomigliava alla Cella Grigia. Ovunque, in ogni momento.
J. F. non si perdeva in ricordi perché non ne aveva, di affidabili. Non si perdeva in fantasticherie perché erano pericolose. Aveva parlato di quei luoghi in maniera automatica, come se non significassero niente. Come se non ci fosse il rischio che, tra le pieghe di quell'atemporalità, si ritrovasse qualcosa di osceno, qualcosa per cui l'angoscia non sarebbe bastata. Tenere fuori tutto. Tenere fuori lei. Per non esserne irrimediabilmente divorato.

-I treni sono... bé, le locomotive hanno tutti quei meccanismi che legano le ruote, sai. Vanno sui loro binari e non c'è niente al mondo che possa deviarle. Cioè, magari una valanga o un incendio o un guasto tecnico. Dico solo che ci sono dei binari, un punto di partenza e un punto di arrivo. Ho sempre voluto averne due. Costruire un percorso circolare, predisporre tutto e poi... BOOM, dare il via e aspettare che si scontrino. Anche annunciare le stazioni ha un suo fascino. Da piccolo non potevo permettermi di comprare niente del genere e i miei genitori si dimenticavano... e ora, bé... non so, non ho avuto tempo di procurarmi un trenino, forse. O magari ho passato troppo tempo con i maghi. E i maghi non capiscono-

Due cose erano impossibili per la magia: resuscitare i morti e creare dal nulla trenini accessoriati con binari, sottopassaggi (oh, non stava nella pelle!), stazioni e piccole levette per fare uscire il vapore.
La dettagliata spiegazione - con cui lui aveva tutta l'intenzione di suscitare in lei la passione sfrenata per i trenini in miniatura, visto che la sua perplessità verso chi aveva gusti diversi dai suoi era sconfinata - per cui non avrebbe accettato altra risposta che non fosse un entusiastico "CIUFF CIUFF, CAPOTRENO!", venne invece seguita da un inventario mentale dei luoghi che Evey avrebbe tanto voluto vedere.
"Non credo di poterla più fare. O almeno... non adesso."
Jelonek arrestò per una frazione di secondo i movimenti tra i suoi capelli, ma poi li riprese. Lei era già diversa dalla ragazzina che aveva incontrato nell'Ufficio del Preside, quella che credeva fino in fondo che le proprie scelte l'avrebbero portata a vincere, a prevalere. Si sentiva già schiacciata; quello che era capitato nella Stanza delle Catene era stato soltanto l'inizio di una caduta inarrestabile. Lui aveva dato solo una piccola spinta.
La rassegnazione si adeguava bene a quelle labbra rosa salmone. Sembrava fossero nate per pronunciare parole simili, sembrava che la sua fronte fosse stata dall'inizio una pergamena su cui incidere disgrazie.
[Sarebbe così... se non si trattasse di stronzate. "Nessuno vuole morire in quel modo", le hai detto, quando le parlavi di Sam. Nessuno vuole rassegnarsi a diciassette anni. Se lei dice la verità, è anche peggio. ]
Erano lì perché erano lì. Perché qualcuno lo aveva deciso. Per lei, quel qualcuno era J. F. Non c'era niente da fare.
Non c'è niente da fare.
(Non c'è niente da fare.)

-Non puoi saperlo- le disse, minimizzando con un sorriso brusco -Magari riesci ad andare da qualche parte prima che...-

Ti uccidano? Ti rinchiudano là dentro?
Fu in quel momento che la mano di lei si alzò e si posò sul suo avambraccio. Non significava niente. (Non significa niente.) Non significava niente, eppure era una richiesta di aiuto. O no. Forse era una preghiera. Forse una parte di lei, una che nemmeno lui riusciva a scorgere, sapeva di essere solo uno strumento, sapeva che non c'era niente di umano da recuperare in lui, che non c'era via d'uscita.
Questa volta i movimenti sui suoi capelli si interruppero del tutto. Jelonek abbassò lo sguardo su quella mano, su quel gesto. Un contrasto così inedito con il motivo regolare del suo maglione... Un contrasto che gli faceva pensare a due locomotive poste sullo stesso circuito circolare, destinate inevitabilmente a scontrarsi, in un trionfo di mutua distruzione.

-Glastonbury ha l'aria di essere molto inglese- mormorò, catturando uno qualsiasi dei suoi pensieri -Dopo i tuoi M.A.G.O. Scommetto che ci si arriva anche in treno-

Sulle sue labbra si aprì un nuovo sorriso tenue e ambiguo, che nella penombra ricca di riflessi della teca, appariva allo stesso tempo malinconico e sinistro.
Forse non era stato lui a costruire quelle rotaie. Forse lui non era la mente perversa che si nascondeva dietro quel meccanismo, dietro quelle creature che correvano per annientarsi a vicenda. Forse, il Caos incontrollabile che senza pietà iniettava in qualsiasi cosa, per consolarsi, per rivedere se stesso e condannarsi un'altra volta, ora apparteneva più a lei.
Forse, tra speranze spezzate e illusioni gocciolanti sangue, era infine nata la Vera Evey.

J. F.
 
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Evey non credeva che una persona potesse viaggiare così tanto nella sua vita. Ascoltò affascinata l'elenco dei luoghi in cui era stato, desiderando ardentemente vederli di persona, con i suoi occhi. Rise quando lui diede prova della sua incapacità geografica; lo immaginò smarrito, mentre realizzava di essere in Norvegia e non in Finlandia come si era aspettato, vagando deluso alla ricerca di qualcuno che parlasse la lingua desiderata. Una cosa tipica da Jelonek, insomma.
La vita di Jelonek sembrava quella che ogni singola persona avrebbe voluto vivere: sperduto per l'Europa, visitando un giorno questa città e il giorno dopo quell'altra, vedere posti nuovi (posti uguali) e persone diverse (persone uguali). La vita che lei aveva sognato, tempo prima.
Prima di essere circondata dalle fiamme.
Prima di essere intrappolata tra il sangue e l'assenzio.
Prima di indossare l'argento.
- Wow... hai visto tutto questo... - disse, cercando di immaginarsi quelle città che aveva guardato e ammirato soltanto sulla pergamena.
Come mai si trovava lì quando avrebbe potuto essere ancora in una di quei luoghi? Evey non avrebbe mai e poi mai accettato di tornare ad Hogwarts avendo quella possibilità.
E' stato costretto. Come tu non sarai mai libera di andartene da qui. Non vedrai mai nulla di tutto ciò.
- Ti manca quella vita? - chiese quindi, inebriata dalle sue carezze tra i capelli. Le venne una gran voglia di dormire, addormentarsi in quella posizione, costringendolo a farle da cuscino. E guai a smettere quel movimento rilassante.
E non solo perchè è rilassante.
Chiuse ancora gli occhi, ascoltandolo parlare della sua passione per i trenini. Sorrise, divertita: l'entusiasmo non si era affatto affievolito con il passare del tempo, Jelonek desiderava davvero possedere un trenino. Gli sarebbe piaciuto Costruire, Determinare, Predisporre percorsi su cui altri avrebbero viaggiato, decidendo quando e se farli arrivare a destinazione, porre ostacoli e preparare il grande scontro finale, in cui una o nessuna delle locomotive sarebbe sopravvissuta. Come dargli torto?
- I maghi non sono tutti uguali - lo corresse con un bisbiglio a malapena udibile - alcuni di loro capiscono. -
Riaprì gli occhi, sentendo che la sua mano aveva cessato di sfiorarle i capelli. Lo guardò in volto, senza più parlare, mentre la mano che gli sfiorava il braccio andava a disegnare con delicatezza i delineamenti del suo viso, soffermando i polpastrelli sulla barba del mento. Lui era un mago, fino a prova contraria. Che sapesse usare o meno la bacchetta, era un mago a tutti gli effetti, vista la sua invidiabile capacità di guardare dentro la mente altrui.
I maghi non erano tutti uguali.
La mano salì a sfiorargli la guancia con il dorso. Le sue nocche incontrarono lo zigomo, che percorsero con lentezza. Si chiese quante volte altre nocche avessero incontrato quel viso, esattamente su quel punto, per farlo sanguinare e lacerarlo. Si chiese se fosse quello che stava provando anche in quel momento. Sentiva il contatto della sua pelle, caldo, quasi surreale: lei non avrebbe fatto nulla per lacerarlo, non avrebbe potuto.
Gli occhi di Evey osservavano i dettagli del resto del volto; era strano come, d'improvviso, avvertisse di nuovo la sensazione rilassante delle sue dita tra i capelli.
- Avalon. - disse con un sorriso - Il suo vero nome è Avalon. -
Quella che una volta era stata l'Isola delle Nebbie, patria di tutte le leggende del ciclo arturiano che lei aveva divorato in tutte le versioni esistenti, tanto da convincersi di vivere due vite parallele, l'una fra l'Irlanda del Nord e Londra, l'altra tra quei luoghi di miti. L'isola che, ora, era diventata uno di quei monumenti che erano la prova che ti trovavi proprio lì. E che sicuramente, ora, era raggiungibile via treno, e non più sulla barca con una sacerdotessa consacrata all'Antica Religione.
- Dopo i miei M.A.G.O. - ripeté, inumidendosi le labbra e permettendosi, per un istante, di sognare ad occhi aperti.
Solo per un istante. Solo per poco...
- Potrebbero vendere modellini di quel treno. - ipotizzò, il pollice che percorreva lentamente lo spazio sulla sua guancia - Di vari colori. Così si può scegliere. -
Oppure comprarli tutti.
 
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Un fantasma si aggira per l'Europa.



Jelonek si strinse nelle spalle. Aveva perso quel contatto con la realtà, ormai un'enormità invalicabile di tempo prima. Sapeva cosa voleva la singola persona che si trovava davanti a lui, e poi quella che veniva dopo. Non aveva alcuna concezione di quello che potesse essere desiderabile su larga scala. Ciò volevano la maggior parte delle persone. Le cose che, per una visione condivisa, erano risaputamente belle.
Era invidiabile viaggiare? Evey lo voleva con tutta se stessa.
Ma lui non aveva mai propriamente viaggiato. Si era trascinato, come un parassita. Succhiava il midollo di ogni città, e quando sentiva di avere distrutto tutto il possibile, saliva su un treno. A volte arrivava al capolinea, a volte lo scaraventavano fuori a metà tratta perché era ubriaco, o perché faceva paura ai bambini... ma più spesso perché non aveva il biglietto. A volte se ne andava semplicemente quando il suo nome - falso - iniziava a girare sulle bocche dei frequentatori di bassifondi e circoli di gioco d'azzardo. Baro. Impostore. Disturbatore della quiete.
(Disturbava la quiete degli altri perché la sua non esisteva più. Si sporcava le mani per sapere di poter essere ancora sporcato. Cercava ovunque peccati che non avesse ancora commesso. Per dimenticare. Per diventare quello che lei gli aveva detto di essere.)

-Ah... veramente... ho viaggiato perché... cercavo un posto dove stare, credo. Cercavo di allontanarmi da qui. Scappavo- quell'ammissione non gli costava davvero niente. Era molto più difficile pensare all'esistenza del suo Prima Di. Quello poteva fare male, a volte. Avrebbe fatto male, forse.

-Prima. Poi l'ho fatto perché non avevo scelta. Mi è stato imposto tra le... condizioni della mia scarcerazione-

Una lista molto lunga. Un enciclopedico romanzo d'appendice, se mai ne era esistito uno.

-Mi mancano i treni. Mi manca svegliarmi sotto i ponti. Mi manca la mia Cella Grigia-

No.
(Fermati. Questo non lo puoi dire. Lei qui non può entrare. )
Ma era troppo tardi, ormai. Per quanto fosse strano sentirlo dire dalla sua stessa voce.
("Troppo Tardi". La sua vita riassunta in due parole.)
Come avrebbe potuto pensare che un giorno sarebbe arrivato qualcuno a cui dire quelle cose?
(Sì, ma per gioco. Non c'è niente di vero. Niente.)

-Ho scoperto che trovarmi nella Cella Grigia era l'unico modo per non pensare alla Cella Grigia. Ora che sono uscito di lì...-

Evey sapeva cosa si celava dopo quei puntini di sospensione, alla fine di quella frase mozzata dolcemente a metà. A Evey non servivano spiegazioni. Per questo era facile passare il tempo con lei.
Sì, era facile. Troppo.
(Questo perché non capisci il gioco. Stai giocando come se fosse un solitario. Se scoprissi che si tratta di un poker? Se lei lo avesse già capito?)
Lo saprei.
E ora gli toccava la guancia, ancora senza pensare neppure a ritirare la mano, caparbiamente determinata a non lasciarsi respingere dalle spine che portava sul volto. I suoi pensieri gli ricadevano addosso proprio come foglie imbrunite dall'autunno, non ancora pronte per essere calpestate per divertimento; proprio come quel tocco che sfiorava ma non si spostava, non arretrava. Rassegnata. Era rassegnata a provare dolore, a pensare sofferenza, anche quando gli... accarezzava (?) il viso.
Perché non te ne vai? Perché sei ancora qui?
Lo aveva letto nel libro spalancato della sua mente, scritto a caratteri fini. Lo aveva sentito pronunciare dalla sua bocca. Eppure, non aveva ancora una risposta, perché la cercava nel posto sbagliato.
(Quello che aveva fatto peregrinando per l'Europa. Aveva rifuggito l'unico luogo che avrebbe potuto dargli pace. Lei si era pentita. Doveva essersi pentita. E ogni bicchiere, ogni osso rotto, ogni vita distrutta, era un affronto che dedicava a lei. Per quel suo senso di colpa che lei soffocava a distanza, per quelle notti in cui si tormentava e lo rimpiangeva... Perché quelle erano soltanto le illusioni di un poveraccio vestito di stracci che sperperava e si odiava e si risvegliava per strada. Senza una storia. Senza un futuro.)

Mentre la destra rimaneva ancorata tra le onde d'ebano dei suoi capelli, la sinistra si spostò su quella di lei. La strinse appena, come in un gesto distratto, una muta richiesta che nemmeno lui era in grado di interpretare. Non vi diede importanza.
Nulla doveva averne.
(... mentre la teneva ferma, il viso si voltava appena, le sue labbra sostituivano le spine della barba sfatta, in silenzio ricompensavano il suo coraggio sfiorandole il polso, sotto il quale poteva quasi sentire le vene azzurrine pulsare sangue frenetiche...)

-Comprerò il mio trenino ad Avalon, allora. Sarà un viaggio pieno di treni-

Lo disse con noncuranza, muovendo le labbra contro la sua pelle, continuando tuttavia a guardarla con la testa vagamente inclinata da una parte, un brillio negli occhi turchesi.

-Tanto non supererai mai i M.A.G.O., Evey. Non sai accendere nemmeno un fuoco-

Una fossetta tra i rovi. L'espressione del viso che cambiava di poco, ma comunque troppo.

J. F.
 
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Evey corrugò le sopracciglia.
Jelonek era scappato. Era corso via, spezzato, con il solo desiderio di lasciarsi alle spalle ciò che lo aveva spezzato. Dunque era stata lei che lo aveva spinto a fare tutto ciò che aveva compiuto? Ci si poteva ridurre così, per qualcuno? Correre via, scappare in giro per il vecchio continente, tentare di dimenticare, città per città... qualcosa che lei stessa, con ogni probabilità, avrebbe fatto. Qualcosa che avrebbe voluto fare.
Respirò lentamente percependo le sue labbra sul polso, sulle vene. Le parve di rabbrividire a quel tocco.
... ti senti ancora lì dentro.
Riportò lo sguardo su di lui e lo osservò.
Si, lei sapeva esattamente cosa volesse dire. Jelonek era ancora riverso sul pavimento, pregando che il freddo di quella pietra fosse l'ultima cosa che potesse sentire, supplicando qualcuno che ogni respiro fosse l'ultimo. Che la fine arrivasse.
Ma la fine non arrivava, mai. Quel pavimento rimaneva lì, fastidiosamente, impedendogli di raggiungere l'abisso nero dove perdersi e sgretolarsi, infine, mentre il dolore cessava. Ma il dolore non cessava, mai.
Tu non sei lì dentro. Sei qui, sei con me. Non ti possono raggiungere.
Evey si sollevò a sedere, scivolando tra le sue gambe e piegandosi sulle proprie ginocchia, dirimpetto a lui. Con delicatezza, distolse le sue mani dal proprio corpo, rimanendogli distante di pochi centimetri. Lo osservò in silenzio, per qualche secondo, come se lo stesse valutando, come se stesse aspettando qualcosa o... o come se lo stesse semplicemente guardando.
Con un respiro profondo, gli avvolse il collo con le braccia e lo attirò, piano, a sé. Chiuse gli occhi nell'appoggiare il viso contro la sua spalla sinistra; abbracciare le persone non era mai stata una cosa per lei, non sapeva nemmeno se ne fosse in grado o meno. Uno dei pochi abbracci che aveva ricevuto era stato proprio da lui, quando lei gli aveva portato Eloise al limitare della Foresta Proibita, e lei si era irrigidita, terrorizzata per il non sapere assolutamente come si reagisse.
Ed ora era lei ad abbracciare lui. Senza un motivo preciso, senza un pensiero valido. Faceva semplicemente quello che sentiva di voler fare.
Rimase in silenzio, anche quando riaprì gli occhi. La sua mano sinistra salì ad accarezzargli la parte bassa della nuca, fino al collo, che percorse con lentezza.
Si sorprese di scoprire che Jelonek aveva un odore: un odore strano, di resina e pino, qualcosa di selvaggio e al contempo familiare, che le ricordava i boschi intorno a Wicklow, la piccola torre di pietra, il cimitero sulla via solitaria, le sere di foschia che calavano senza una singola sfumatura del tramonto. Qualcosa di indefinito, che sapeva essere intrappolato e rimaneva, solitario, ad ergersi in mezzo alla foschia. Come un pino. Come una lapide.
Le piaceva.
- Te lo comprerò io. - promise, solenne - Mi passerai i galeoni, li darò al... a chiunque venda i trenini e quindi darò il trenino a te. -
Sarebbe stato un grande momento: Evey non se la cavava bene a comprare regali, ma in quell'occasione avrebbe fatto una figura spettacolare. E poi sarebbe stato giusto che fosse lei a regalarglielo, era di un suo viaggio che stavano parlando. Le sembrava il minimo poter ricambiare.
E così, i regali in programma per il folle Spiaccicatore salivano a tre. E lui non ne aveva indovinato nessuno: Evey era un'Occlumante provetta, si sentì orgogliosa di se stessa.
Si distaccò appena, guardandolo storta con il volto a pochi centimetri dal suo e le braccia ancora avvolte alle sue spalle.
Non era simpatico: proprio per niente. Non era gentile fare quelle previsioni poco piacevoli, specie quando lei non vedeva l'ora di dare quei maledetti esami e smettere di essere una studentessa.
- Se ce l'hai fatta tu, potrò farcela anche io. - replicò con un sorriso antipatico. Occhio per occhio. - E il fuoco l'ho acceso meravigliosamente. Sei soltanto invidioso. -
Gli diede un pugno leggero alla spalla, vendicativa e divertita. Sicuramente provò più dolore lei di lui, ma non lo diede a vedere; sarebbe morta prima di far trapelare una simile debolezza, quindi ostentò un sorriso perentorio e sfacciato. Il fatto che lui potesse vedere che non fosse affatto così era un dettaglio trascurabile.
 
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Oh you’re so close, oh you don’t know about it
No you don’t know, oh we’re so slow about it



J. F. non avrebbe saputo definire con esattezza l'emozione comunemente catalogata come "disagio". Se lo immaginava come una specie di prurito o una voglia di spostarsi. Rimase spiazzato quando Evey si sottrasse al suo movimento, ormai diventato automatico, una compulsione che accompagnava il flusso di pensieri più o meno incontrollati suscitati dalle sue parole.
Abbandonò la mano sui pantaloni, avvertendo un formicolio che gliela faceva sentire pesante.
(Non era pronto.)
Anche la sensazione del suo polso che si allontanava dal suo viso era difficile da classificare. Era certo che il freddo avesse qualcosa a che fare con la strana impressione di... avere perso qualcosa. Non gli piaceva.
(Ma tu non hai gusti. Non hai preferenze.)
Dov'era scritto che ci si abituava così in fretta? Che il corpo di un'altra persona potesse fondersi attraverso la pelle e poi lasciarla scoperta?
Era sicuro di non avere mai letto niente al riguardo. Per questo si trattava di un'invenzione, un'autosuggestione dovuta alla doppia merenda, al gelo statico che risaliva dalla pietra sotto l'Amantello, sinapsi impazzite in un arcobaleno elettrico, e...

Tu non sei lì dentro. Sei qui, sei con me. Non ti possono raggiungere.


Quel terzo registro di comunicazione che lo trovava impreparato. Quello per cui non era pronto, la X in un'equazione che non doveva avere incognite. La fregatura. L'imprevisto.
(Ma è quello che hai sempre voluto. Quello che hai cercato, peregrinando con il corpo e ritornando con la mente sempre allo stesso posto. Aspettavi il colpo di scena.)
I muscoli di lei avevano impresso esitazione nel gesto lento con cui le braccia si erano avvolte attorno al suo collo. Jelonek sentì ancora quell'arrugginito riflesso di sopravvivenza imporgli di isolarsi, pensare al nulla, disporsi a ricevere quello che inevitabilmente sarebbe arrivato.

(Stay back and wait for the attack, way back
They want you to retract
)


Arrivò, ancora una volta. E ancora, non era (più?) dolore. Il corpo di Evey si avvicinò al suo, i capelli che prima aveva tra le dita furono ai lati del suo viso. Nemmeno lei sapeva come ci si abbraccia. Nemmeno lei aveva idea di come avere a che fare con lui, nonostante Sid, nonostante l'assenza di una Mandy nella sua vita, nonostante lei avesse soltanto inflitto cicatrici, senza subirle (per il momento). Questo era... un bene?
Non riusciva a considerare i pro e i contro. Non lo aveva mai fatto in vita sua, nemmeno quando J. F. era uscito di lì, imponendosi nel suo cervello e iniziare ora...
... sarebbe stato impossibile.
Non sapeva cosa andasse fatto. Sapeva però quello che voleva fare, anzi, quello che fece prima ancora di saperlo o di volerlo.
Il braccio che era rimasto orfano di quel gioco tra i suoi capelli si sollevò e si portò dietro la schiena di lei. Riuscì a rilassare il torace, ma le spalle, su cui Evey aveva appoggiato il mento, rimasero rigide. Lei gli stava parlando con quello sconosciuto linguaggio in codice. Gli stava dicendo che era fuori di lì, che qualsiasi cosa lo avesse spinto a distruggersi poteva essere messa da parte. Non stava negando il passato. Gli stava dicendo che esisteva anche un presente.
(Si sbaglia.)
[Che importanza ha?]
(Va bene. Va benissimo. Farai molto con il minimo sforzo. Farà tutto da sola.)
La strinse. Il suo braccio le circondava la vita con una semplicità disarmante. La testa di lei aveva trovato posto nell'incavo del suo collo come se esistesse una qualche precisa regola anatomica a suggerire quell'incastro. Il petto di Evey gli... respirava contro.
Farà tutto da sola.
Rimase a osservarla mentre si discostava quel tanto che il suo braccio le consentiva e lo fissava in viso. Scorse quello che aveva pensato. Altre speranze leggere infarcite di piombo. Foglie imbrunite.
"J. F. non avrebbe saputo definire con esattezza l'emozione comunemente catalogata come "disagio". Se lo immaginava come una specie di prurito o una voglia di spostarsi. " Ebbene, non aveva prurito da nessuna parte e non voleva spostarsi.

-Non sono a disagio- si sentì in dovere di dichiarare coraggiosamente.

Non era cosa da poco. Lei doveva rendersene conto. Era anzi una specie di... boh... complimento relazionale, no?

-Ho superato i M.A.G.O., ma solo al terzo tentativo. E solo perché Mandy mi ha aiutato. Non volevano buttarmi fuori perché con le mie tesine avevo fatto centro. Non per niente me le ha scritte lei-

Ma poi, cosa sarebbe un "complimento relazionale"?
Sorrise con amarezza mentre sollevava le sopracciglia.

-So accendere un fuoco. Ho passato dieci anni qui dentro- le fece notare, con un certo orgoglio -Ma preferisco sfregare due legnetti. Non lo so fare... ancora. Ho intenzione di imparare presto, poi lo insegnerò anche a te e vedrai se non sarà meno imbarazzante di quegli svolazzi con la bacchetta. Se i tuoi immensi poteri non ti hanno permesso di fare volare qui il tè non vedo come possano tornarti davvero utili-

Un'argomentazione che non faceva una piega.

-E non ti porterò più biscotti. Mai più-

Mentiva. Ma Evey come avrebbe potuto saperlo?

J. F.
 
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Evey ridacchiò, divertita, davanti al complimento relazionale. Una parte di lei ne fu lusingata, tanto che le sue braccia rimasero avvinte attorno al suo collo, anche quando si staccò. Si sentì avviluppata a sua volta da lui e si dipinse un sorriso istintivo ed irrefrenabile sul volto.
Il sorriso di chi si sente al sicuro.
- Ah si? Forse dovrei chiederle di scrivere anche le mie, allora! - disse pensierosa: tanto Moody avrebbe cercato di bocciarla lo stesso, anche con una tesina della Preside in persona. Poi si ricordò di avere un asso nella manica: sapeva che Edward Moody era il padre illegittimo dei figli illegittimi di Daisy Hall. Uno scandalo del genere lo avrebbe fatto cadere nella disgrazia più totale, quindi Evey poteva benissimo essere ancora in corsa per un Eccezionale con i fiocchi anche senza l'aiuto di Kedavra, almeno in Erbologia. Forse il Ministro poteva assicurarle l'Eccezionale in tutte le altre materie, sfruttando la sua carica.
- Potresti dirmi tu quali domande mi faranno! - cinguettò innocentemente - Giuro che convincerei Zeboim a non indossare più i tuoi calzini. -
Zeboim si era rimessa a dormire, i calzini di Jelonek ancora indossati sulle zampe posteriori.
Naturalmente non diceva sul serio. Non sul fatto dei calzini, ovvio, ma sul richiedere il suo aiuto. Non sarebbe stato corretto e Evey voleva farcela con le proprie forze. Chissà se altri avevano cercato di manipolarlo per quella sua capacità: qualcosa le diceva che si, sicuramente era successo.
La mano sinistra di Evey, ancora dietro al collo di Jelonek, gli sfiorò nuovamente i capelli, con un tocco leggero.
- Vorresti insegnarmi un po' troppe cose, sei arrogante. - disse, divertita - E so perfettamente come si esegue un Incantesimo Appello. Non l'ho fatto perchè... perchè non credi che i Prefetti si sarebbero insospettiti, vedendo una teiera e dei biscotti volare fin qui? L'avrebbero seguita e adesso io sarei a colloquio disciplinare! -
Era una motivazione tanto brillante che si stupì di se stessa. Era a prova di ogni confutazione. A prova di Jelonek, indubbiamente. Di sicuro, uno dei zelanti Capiscuola di Kedavra avrebbe notato quello svolazzo fuori luogo e l'avrebbe seguito, interrompendo il loro pomeridiano e pretendendo di trascinarli di fronte alla sua padrona. Evey non poteva nemmeno far ricadere la colpa su Jelonek, senza dubbio Kedavra era a conoscenza della sua incapacità. Non ci sarebbe stata via di fuga!
Si sentì offesa dalla promessa di Jelonek. Lo guardò di traverso, socchiudendo pericolosamente gli occhi: come osava? Lui le avrebbe portato biscotti fino a quando... fino a quando lei non si sarebbe ingrassata vergognosamente, tanto da doversi spostare rotolando. E avrebbe continuato a portarglieli. Non aveva scelta.
Indispettita, allungò la mano su uno dei biscotti avanzati e lo morse, degustandolo. Alzò le sopracciglia, eloquentemente, mentre continuava a fissare Jelonek. Ecco, ora poteva dirsi contento, Evey aveva ripreso a mangiare. Anche se probabilmente avrebbe faticato ad arrivare a metà del biscotto, era davvero ben imburrato e pesante. Dunque gli offrì l'altra metà, facendo roteare l'avanzo del biscotto come se si trattasse di un treno: Evey imitò addirittura il suono delle rotaie sfrigolanti.
- Choo choo! Ecco l'Espresso di Hogwarts che parte da Londra, viaggia per le campagne e incontra una galleria! Ci sono solo Corvonero a bordo, è molto strano! - il biscotto si scontrò con le labbra di Jelonek - Oh no, che succede? Il treno deraglia, va a sbattere contro la parete della montagna! - il biscotto continuava a premersi contro la bocca di Jelonek, muovendosi sulle sue labbra come fossero rotaie - Sono indubbiamente tutti morti. La Squadra di Quidditch vola fuori dai finestrini, viene affettata sulle rotaie! Sono misteriosamente ancora vivi, ma non potranno più giocare! E' terribile, è terribile! - commentò affranta il tragico incidente, mentre l'Espresso di Hogwarts premeva contro la galleria contro cui si era scontrato.
 
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Era successo tutto troppo in fretta. Certo, Jelonek aveva percepito le sue intenzioni sadiche qualche momento prima che si realizzassero nel loro proposito malvagio, ma non c'era stato comunque tempo per reagire, per salvare tutte quelle vite. Le rotaie erano troppo corte e la stazione di partenza troppo vicina al luogo della tragedia.
Oltre a tutto, J. F. era stato preso in contropiede dall'emozione di essere coinvolto in una storia di treni. Una storia vera.
(Le dita di lei sulle sue labbra gli facevano solleticare la base della nuca, inviavano rami di impulsi elettrici indecifrabili... era quello il disagio?)
Jelonek si affrettò ad aprire la bocca, preoccupato per la sorte dei Corvonero. Certo, non gli piacevano, ma... non meritavano di schiantarsi contro un muro solo per una sua fatale inadempienza. O una mancanza di riflessi. Che crudeltà! Nessuno avrebbe dovuto affidargli una responsabilità simile: erano tutti impazziti?
Il dolce oltrepassò la barriera della salvezza, e nel ricongiungersi, le sue labbra esitarono appena sulle dita di lei prima di iniziare a masticare. I biscotti che passavano per le sue mani erano più buoni. Era una qualità obiettiva. Lei doveva avere ancora il sapore della torta tra le mani, oppure una pelle naturalmente zuccherata. Esisteva una spiegazione razionale.

-Sono morti comunque- osservò Jelonek, ingoiando le ultime carcasse corvine -Tutti sapevano che li avrei mandati alla rovina, quando venni Smistato da loro. Ecco perché Pamperson mi perseguitava... facevo perdere troppi punti, rovinando la loro media-

Ridacchiò.

-Per quello e per un sacco di altri motivi meno nobili, tipo che non gli piaceva il mio nome. In effetti, ho sempre sognato chiamarmi Noah- lo disse senza ironia, dal momento che non sapeva comunque usarla -Poteva prendersela con i miei, no? Però io ero più a portata di mano, quindi è comprensibile. E la mia media dell'uno virgola sette mi rendeva un facile bersaglio-

Teneva ancora il braccio intorno alla sua vita. Era difficile dimenticarsene, con l'aroma cipriato dei suoi capelli così vicino. Ancora una volta.
(Bé, cosa ti aspettavi di fare?)
Non ne sono sorpreso. Non ne sono turbato. Per quale motivo dovrei?
La mano si mosse appena sul fianco di lei. Sotto lo strato di vestiti invernali (ma neanche troppo) poteva sentire la sua pelle e sotto di essa, immaginare il tramestio dei suoi organi, lucenti e pulsanti di vita. Un corpo che viveva. Un corpo che gli era vicino.

-Ci sono centinaia di Legilimens in Inghilterra. Potresti trovartene uno molto migliore di me anche tra gli studenti di questa scuola-

Oh, no che non potresti. Purtroppo.

-Ma...!- Jelonek sollevò un dito ammonitore e si schiarì la voce -Riferirò a chi di dovere questa nostra conversazione, in caso i tuoi risultati M.A.G.O. siano troppo sospetti. La signorina Pimpelson tramava dei modi di barare agli Esami M.A.G.O. Ha tentato di comprare il mio appoggio corrompendomi con dei biscotti. E con storie di treni-

I pasticcini non lo avevano ancora stancato, ma forse lo stratagemma ferroviario c'entrava qualcosa. O la sua pelle caramellata. Forse, Evey aveva pastafrolla che le scorreva nelle vene, invece di semplice sangue.
(Sarebbe un sollievo... Saperla meno umana.)
Difficile da pensare, quando la sua mano stringeva accarezzava poggiava sulla curva di quel fianco protetto dai vestiti.
(Solo dopo avere vagato tra i morti ci si poteva accorgere di quanto miracolosa e surreale potesse essere la vita.)
Evey aveva un che di surreale. La rassegnazione di un'ottantenne racchiusa nelle speranze ingenue di una diciassettenne; moralità posticcia che duellava con la spregiudicatezza adolescenziale; peccati da adulti che i suoi occhi giovani non tentavano nemmeno di nascondere.

-I tuoi esami... li supererai- le disse a un certo punto, annuendo lievemente -Com'è vero che ho il dono della Preveggenza-

E lei sorrideva, e non sapeva. Ma se anche avesse saputo... chi poteva dire che se ne sarebbe andata?

(A cool breeze down my spine
And if I'm really here
Then I feel fine
.)



J. F.
 
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Si concesse un momento, tra il sorriso spensierato e i progetti di morte, in cui scelse di non sentire altro che la consistenza delle sue labbra sotto i polpastrelli. Ancora.
Ogni volta le sembravano nuove, come se non le avesse mai toccate. Ebbe voglia di confermare quel tatto, poggiandovi sopra, di nuovo, le sue. Non erano poi così distanti, sarebbe bastato solo piegarsi un po' in avanti e...
Scoppiò a ridere, incredula. Un Corvonero. Non ci avrebbe creduto nemmeno se le avesse fatto vedere la vecchia divisa; di sicuro avrebbe rappresentato l'eccezione che conferma la regola sulla dedizione allo studio e all'intelletto dei Corvonero.
Cosa diavolo significa un'eccezione che conferma la regola? Un'eccezione non può confermare un bel niente. Tutto il contrario.
- Non scherzavi quando hai detto la Casata peggiore di tutte. - disse divertita. Non aveva affatto capito a quale potesse riferirsi (di sicuro non Serpeverde), tutte le altre le sembravano peggiori. Ma Jelonek intendeva proprio il peggio del peggio.
E poi venne la realizzazione shock, quella che rischiava di sconvolgerla tanto da dover essere rinchiusa all'ultimo piano del San Mungo.
Ho davvero pettinato Zeboim con un Corvonero?
Le venne ancora più da ridere, inspiegabilmente. Forse perchè una parte di lei negava fermamente che lui potesse aver indossato il blu, forse perchè lo trovava davvero esilarante.
- Sei stato un Corvonero molto più utile di tutta la tua Casata messa insieme, allora. - annuì con convinzione, trovando immediatamente la scappatoia per lo shock. Aveva fatto perdere punti. Questo era apprezzabile in ogni singolo Corvo che si rendesse conto della sua miseria e provvedesse sulla via della redenzione.
- Non posso dargli torto. Scommetto che non riusciva a pronunciarlo e ti chiamava Jelonke o Jelo Ken o Jakolen - suppose. Il nome di Jelonek sembrava uno scioglilingua, anche lei aveva rischiato di pronunciarlo in maniera sbagliata, le prime volte, rigorosamente nel suo cervello. Specie dopo il primo incontro, nell'Ufficio della Preside. Era tanto arrabbiata e spaventata che, ad un certo punto, si era messa a pensarlo sbagliato appositamente, come se questo le fornisse qualche personale possibilità di vendetta contro quell'invasore di altrui mentalità.
Sentì che la stretta sulla sua vita aumentava: la mano di lui aveva preso ad accarezzarle il fianco, e, in maniera odiosamente prevedibile, il sorriso di scherno di Evey si addolcì.
Dannato piccione.
Cedette. Appoggiò di nuovo la testa sulla sua spalla sinistra, questa volta con il viso rivolto al suo petto, sentendosi rabbrividire piacevolmente a quello scambio di attenzioni; si sentiva incredibilmente simile a Zeboim quando le si facevano i grattini immediatamente sotto la gola. Chiudeva gli occhi, estasiata, e si immobilizzava per riceverne altri.
Ok, magari lei non era propriamente così coccolosa. Almeno, sperava vivamente di non esserlo.
- Nessuno di loro mi ha mai detto che potrei essere un'ottima Legilimens - disse con precisione - a meno che, in quel momento, non stessi facendo il ruffiano. -
In quel caso, sarebbe arrivato un altro pugno sulla spalla. Evey si era crogiolata abbastanza in quelle parole da chiedersi se effettivamente non sarebbe stata la cosa giusta da fare.
Ridacchiò di nuovo.
- Legilimanzia si sa, è la materia più rappresentativa ad Hogwarts. Ah no, mi scusi, l'Occlumanzia. Viene chiesta ad ogni M.A.G.O. - annuì contro la sua spalla - Il mio tentativo di corromperla mi perseguiterà per la mia intera carriera di allevatrice di Draghi. -
Perchè lo sarebbe diventata. In qualsiasi nazione in cui non fosse illegale.
- Fammi una predizione! - richiese ghignando, alzando lo sguardo su di lui. La mano sinistra, quella che stava dando attenzione ai suoi capelli, scese sulla parte più alta del suo petto, a giocherellare con i bordi del maglione e la pelle della sua gola, quasi distrattamente, ma inevitabilmente intrigata.
 
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Layers of dust and yesterdays
Shadows fading in the haze of what I couldn't say



Jelonek sentì le dita di Evey esitare sulle sue labbra per qualche secondo dopo che il biscotto era scomparso nella sua bocca. Aveva intercettato quello che le passava per la testa, e non aveva nemmeno provato a prepararsi - non voleva farsi trovare pronto. Quando però l'attenzione di lei venne attratta dalla realizzazione della sua Casa di appartenenza, si sentì come se qualcuno lo avesse invitato a mangiare un gelato mentre aveva l'elastico da bungee jumping avvolto attorno alla vita e i piedi per metà sospesi al di sopra del baratro. Un gelato sarebbe stato fantastico in qualsiasi circostanza, era una delle grandi certezze della vita, però nell'ordinare una coppa extra large non avrebbe potuto fare a meno di pensare che in quel momento, avrebbe potuto essere appeso a testa in giù con le viscere strette in un nodo di eccitazione. Ma nell'avere rinunciato al salto c'era comunque il sollievo dettato dalla paura che qualcosa potesse andare storto.
Decise di godersi il suo gelato. Ridacchiò di rimando davanti allo stupore scettico della studentessa.

-C'è da dire che solo i Prefetti della mia Casa sapevano con certezza che io appartenessi ai Corvonero. Tutti gli altri avevano dei dubbi, Insegnanti compresi. Mi piaceva collezionare le divise delle altre Case e presentarmi a lezione con lo stemma da Serpeverde e la sciarpa di Tassorosso. La mia vista suscitava sempre grande malcontento. Non sono però mai riuscito a procurarmi la sciarpa di Grifondoro... fino a ora-

Rievocò, ma senza alcuna traccia di nostalgia, solo un vago divertimento. Si tolse la sciarpa con un certo orgoglio e la appallottolò, prima di lanciarla verso il pastrano; del resto, Mandy non si ricordava nemmeno più della sua esistenza. Non avrebbe voluto nominarla ancora, ma in qualche modo non poté farne a meno. Quando si parlava di quel castello, di quegli anni, tutte le strade portavano a lei.
(Quel castello e quegli anni... Limiti spazio-temporali ben definiti. Certo, funzionava proprio così.)

-Al mio primo settimo anno, tutti i miei compagni si erano accordati per non darmi la parola d'ordine per la Sala Comune. Appena la scoprivo, loro la cambiavano. Il mio letto era diventato una specie di armadio extra... molto comodo. Finché non ho dato fuoco alla pila dei loro vestiti, a quel punto sono stato mandato a Colloquio Disciplinare ma almeno hanno capito le mie ragioni. È stato allora che ho iniziato a rubare le divise delle altre Case, più per necessità che per altro. Al mio terzo settimo anno lo facevo ancora, ormai era un'abitudine. Per Mandy no, per Mandy aveva un significato preciso. Ha sempre avuto questa tendenza a interpretare le persone... la Legilimanzia le risparmiò un sacco di lavoro. Secondo lei, mi vestivo con i colori delle altre Case non perché sentissi di non appartenere a Corvonero, ma perché sentivo di non appartene a Hogwarts-

Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo per qualche frazione di secondo.

-La realtà è che questo sistema dei punti, delle Case... vogliono solo mettervi gli uni contro gli altri. Farvi odiare. Perdere punti è un modo come un altro per ribellarsi-

Tornò a guardarla. Sapeva cosa si annidava nella sua mente. Sapeva che a Evey piaceva pensare a se stessa come una ribelle e vedeva l'impresa delle maschere argentate come una rivolta, una ricerca di indipendenza, una corsa per la giustizia. Jelonek non poteva dire che si trattasse di qualcos'altro: era estraneo a quella guerra così come aveva rifuggito, in gioventù, la tautologica competizione tra Case. Sapeva però che la giustizia non era mai esistita e che le barricate nelle strade venivano spesso costruite accatastando cadaveri. La Serpeverde, ora, non lo ignorava; ma evitava accuratamente di darci troppo pensiero.
Aveva altre cose per la testa. Jelonek si accorse del modo in cui le sue dita le stavano accarezzando il fianco solo quando scorse il proprio riflesso nella mente di lei. Lì dentro, quelle sensazioni occupavano uno spazio ingombrante.
Perché?
(Perché devi.)
Ingombrante come quello che pretendeva il suo movimento, il languore con cui aveva annullato di nuovo le distanze, appoggiandosi alla sua spalla, come in cerca di...

-Perché dovrei arruffianarti, signorina Gingerson?- le disse, trovando che era eccezionalmente facile parlare a bassa voce, in un mormorio roco, se si trovava così vicina alla sua bocca -Cosa potrei mai guadagnarci?-

(Feel so close to everything now
Strange how life makes sense in time now.
)



Le dita di lei stuzzicavano pigramente il bordo del suo maglione, sfiorando il suo collo accidentalmente (?), nella parte di pelle ispessita dove iniziava la spruzzata di barba appuntita. Millimetri al di sopra della sua giugulare.
(Individuare il punto vitale più vicino al tocco di un altro essere umano, per essere pronto a lasciare la vita: altra abitudine che non avrebbe mai perso.)

-Prevedo... ah...-

Assottigliò gli occhi, come preso da un intenso sforzo di concentrazione.

-Nevicherà... e... Evey Jipperson si ritroverà sepolta sotto un cumulo di palle di neve, perché non sa difendersi. Costruirà un pupazzo orbo, il peggiore che Hogwarts abbia mai visto. Lo chiamerà Mr. Jipperson, in memoria del suo... bisnonno. Mr. Jipperson verrà distrutto a sua volta, raso al suolo. Al suo posto, il professor Fedoryen erigerà un centro commerciale. Per lo shopping natalizio-

Shopping natalizio. Due parole che accendevano l'emozione.
La mano che non era poggiata sul suo fianco - ancora con dubbi, ancora con la paura della caduta nel bungee jumping, un po' a contatto con il cardigan, un po' ancora a mezzo centimetro di distanza, perché lì sotto c'era la sua pelle, c'era il suo calore, e lui non... - risalì per incontrare la cascata d'ebano dei suoi capelli. C'era ancora un pezzetto di torta lì, da qualche parte, ne era sicuro. Prese a districare le ciocche. Le compulsioni come quella erano difficili da abbandonare, non poteva farci niente.

J. F.
 
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view post Posted on 18/12/2013, 12:02
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Laddove chiunque altro si sarebbe dispiaciuto, Evey si stava divertendo. La misera vita di Jelonek ad Hogwarts era una vera e propria raccolta di spunti, un album dei ricordi da sfogliare alla ricerca di nuove ispirazioni. Sembrava che nessuno avesse passato di peggio, per mano, poi, degli stessi compagni di dormitorio. Jelonek era stato un perdente in tutto e per tutto agli occhi degli altri; Evey ghgnò. Chiudere fuori i compagni più insopportabili dalla Sala Comune non era male come idea: la Hall sembrava reclamare questo fato da sempre, bastava solamente portarsi dalla propria parte Chèvert e Arcanise, magari dicendo loro che la Hall voleva sbatterli fuori perchè omofoba e turbata dai loro atteggiamenti omoerotici.
- Come darti torto - annuì comprensiva - se fossi stata Smistata a Corvonero, anche io cercherei di camuffarmi! -
A costo di perdere punti su punti, aggirarsi con la divisa blu sarebbe stata l'onta più grave che la sua famiglia avrebbe dovuto sopportare. Ancora peggio di Tassorosso.
Piano con i giudizi. Hai sangue Tassorosso nelle vene. Ti comporti come una Tassorosso e ti piace.
Provò ad immaginarsi Jelonek con tutte le divise di Hogwarts: Grifondoro e Corvonero gli sarebbero state malissimo, nessun dubbio su questo. Su Tassorosso non c'era niente di nuovo, era quella su cui Evey avrebbe scommesso.
Serpeverde...
Sorrise. Le sue dita continuarono a giocherellare con il bordo del suo maglione.
Si, sarebbe stato decisamente bene con la divisa di Serpeverde addosso.
- Hanno fatto bene a chiuderti fuori. - confermò, affabile - Io avrei fatto lo stesso, sarai stato ancora più insopportabile di adesso. -
Un Jelonek adolescente? Già quello adulto aveva seri problemi relazionali, figurarsi un Fedoryen quindicenne. Evey ne era divertita; lo immaginava come il classico emarginato che in realtà, al di là delle sue stranezze, potesse essere una buona compagnia, con la quale la noia era ben rara.
E tu lo sai bene. Quando mai ti sei annoiata, con lui?
Parlava solo per il gusto di prenderlo in giro, lui poteva vedere che Evey non intendesse davvero ciò che diceva. Al contempo non si sarebbe mai dimostrata dispiaciuta, non ce ne era motivo. Jelonek aveva trovato il modo di farsi valere, in un modo non così dissimile da ciò che avrebbe fatto lei. Bruciare tutto, fare fuori i preziosi averi di chi si era dimostrato seccante. Quante volte aveva pensato di buttare nel camino l'intero vestiario di Daisy Hall o Sidney Welsh? Un pensiero che le attraversava la mente ogni singolo giorno.
E ovviamente... Kedavra.
Kedavra aveva provato a razionalizzare il tutto, a controllarlo, ad imporsi come lei voleva sempre fare. Sperò che lui non l'avesse ascoltata: non poteva esistere tipologia di persone peggiore e più fastidiosa. La stessa tipologia che si sforza di trovare un significato laddove non c'era, o cambiarlo a seconda delle proprie esigenze.

The curtains were blue.
What your teacher thinks: the curtains represent his immense depression and his lack of will to carry on.
What the author meant: the curtains were fucking blue.



Alzò gli occhi su di lui. Certo che, per professare l'unione della scuola, Hogwarts aveva uno strano modo di unire le Casate. Prefetti che dilaniavano Prefetti per togliere punti, Capiscuola che si contendevano le teste mozzate da presentare alla Preside, studenti che si azzannavano per riuscire a guadagnare quel punto di differenza e rifulgere quel misero secondo in più, fino a quando la gemma di turno non sarebbe caduta nella clessidra di turno.
- Un drago e un trenino - rispose, pronta. Di sicuro era quello che Jelonek voleva da lei, Evey lo aveva scoperto. Sorrise, rilassata, il braccio sinistro che saliva di nuovo ad avvolgerlo piano, quasi con timidezza.
- E altre cose... - aggiunse, mormorando, con lo stesso sorriso e chiudendo gli occhi. Lasciò che quella calma surreale l'avvolgesse completamente, senza ribellarsi. Era impossibile riuscirci, non così, non quando gli era così vicina, non quando poteva mettersi a contare quel battito al di là del suo sterno, come un bussare continuo. Di nuovo, l'ipotesi di addormentarsi in quel modo non le sembrò poi così malvagia.
Ridacchiò divertita; Jelonek non sapeva assolutamente nulla. Lei era una vera campionessa nelle battaglie di palle di neve, non si faceva alcuno scrupolo e mirava sempre al volto, oppure giungeva alle spalle dell'avversario e gli ficcava la neve gelata nei vestiti, dietro la schiena. Era meraviglioso contemplare le danze acrobatiche con cui le sue vittime cercavano di liberarsi del ghiaccio dentro i loro vestiti.
- Difenderò Mr. Jipperson con la mia vita. - dichiarò, senza spostarsi - E tu dovrai chiedermi scusa in ginocchio per la torta, dopo che ti avrò umiliato e sconfitto a suon di palle di neve. -
Poco ma sicuro, Fedoryen non sarebbe uscito vincitore da quella disputa. Evey avrebbe combattuto con tutta la sua possente forza per mettere le cose in chiaro una volta per tutte: lei era quella forte. Non sarebbe stato facile piegarla e sconfiggerla, assolutamente no. Impossibile.

Edited by Evey - 18/12/2013, 12:23
 
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view post Posted on 18/12/2013, 14:09
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La verità era che quelle tende non erano semplicemente blu. Lui non aveva indossato i colori delle altre Case perché i suoi vestiti erano chiusi nel dormitorio che non poteva raggiungere. Non lo aveva fatto perché il giallo si abbinava alle sue scarpe, il verde estraeva suggestivi riflessi dai suoi occhi (!) e il rosso... boh, era un po' come il giallo, solo più rosso. La verità era che Mandy aveva ragione. Riusciva a unire i puntini e scorgere la figura finale prima di chiunque altro, mentre lui vedeva solo quelli, puntini su puntini a cui nemmeno pile e pile di riviste sarebbero riuscite a dare un senso.
La verità era che Mandy aveva ragione. Ma lui non lo avrebbe mai detto a Evey.
Perché era bene che quelle cose gli uscissero dalle labbra, che la figura di lei venisse sotterrata da quell'onta. Del resto, avrebbe potuto inventarsi le cose peggiori sul suo conto, senza raggiungere il suo vero livello di sadismo. O meglio, quello che lui chiamava Sadismo A Distanza.
La distanza, da sempre il loro terzo incomodo. Non più, e non perché dormivano sotto lo stesso tetto. Perché non c'era sicuramente alcuna forma di dualismo o comodità tra di loro.
(Forse non c'era mai stato. Non c'era stato altro che un "potrebbe essere" davvero poco ambizioso.)
Evey aveva iniziato a rivolgere quei pensieri a Kedavra, ma talvolta sembrava restia all'esprimerli ad alta voce, e questo non aveva niente a che vedere con la sua consapevolezza delle sue capacità da Legilimens. Sapeva che le pareti, lì dentro, avevano occhi e orecchie. Ovunque fossero, qualsiasi cosa facessero... Mandy is watching.
Ebbene, guarda. Guarda bene. Non perderti niente.

-Certo che hanno fatto bene- concordò, lasciando che il braccio di lei si facesse ancora avanti, sporgendosi appena nella sua direzione, inconsciamente... ma neanche troppo -Ho scoperto tantissimi nascondigli e luoghi segreti, dormendo in giro per la scuola. E non mi sarebbe piaciuto comunque dormire con gli altri. Parlavano fino a tardi di... Quidditch e ragazze-

Non aveva avuto molto da dire su nessuno dei due argomenti. Specialmente da adolescente.

-Non ho dato fuoco ai vestiti di proposito. È stato un incidente. Non potrei mai fare una cosa simile- aggiunse in tono moralista, scuotendo la testa -Non sono un tipo vendicativo-

Non sono un tipo vendicativo.

-Allora lasceremo in vita Mr. Jipperson. Non è giusto che il tuo bisnonno soffra al tuo posto. Lo faremo assistere all'inaugurazione del Centro Commerciale. Il nastro, però, lo taglierò io. Tu, invece- le toccò la punta del naso con il dito -Non potrai mai fare il tuo shopping natalizio lì dentro. Sarai morta sotto la neve. Io e Zeboim ti costruiremo una lapide storta-

Sghignazzò puerilmente all'idea. Il massimo degli scherzoni.

-Qui giace Vivy Jipperson. La ricordiamo per il suo cardigan infeltrito, il voto minimo ai G.U.F.O. e il costante buonumore-

Era scattata l'Ora della Burla. Pista, si salvi chi può!
Era troppo vicina, adesso. Ridacchiando, J. F. aveva abbassato la testa, fino a sfiorarle la guancia con le labbra. La sua mano era ancora tra i suoi capelli, l'altra ancora intorno alla sua vita. Le voltò appena il viso, scese sulla sua bocca. La baciò furtivamente, perché non ci sarebbe stato altro da fare, in ogni caso.
Gli occhi di Jelonek, ridotti a fessure mentre con le labbra accarezzava quelle di lei, si fissarono per un paio di secondi sulla parete opposta mentre la pelle delle guance si increspava, in un ghigno nascosto.

Non perderti niente.



J. F.
 
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view post Posted on 19/12/2013, 00:17
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- Ma se ci hai messo quarantadue minuti per arrivare dall'ingresso a qui! -
Evey sogghignò divertita; non avrebbe mai e poi mai potuto credere che Jelonek conoscesse nascondigli o posti segreti nel castello, il suo senso d'orientamente parlava forte e chiaro. Non era in grado di aggirarsi per i corridoi senza perdersi tre volte di fila, se anche avesse scoperto qualche nascondiglio o nicchia non scoperta, non sarebbe stato in grado di ricordarsene l'ubicazione.
Scosse il capo, teatralmente disapprovante.
- Non hai mai giocato a Quidditch? - chiese quindi, improvvisamente curiosa. Aveva già provato ad inquadrarlo in un qualsiasi ruolo, nel gioco. Inutile dire che non riusciva ad associarlo a nulla che non fosse la mascotte di turno, al massimo il telecronista. Chissà come se la cavava per davvero, sul campo, in groppa ad una scopa. Si sarebbe divertita a vederlo darsi arie e quindi precipitare malamente.
- Mi sembri bravo a trovare le cose. Chissà come saresti stato nel ruolo del Cercatore. - disse pensierosa, gettando uno sguardo alla sciarpa tarmata accanto a loro. Forse era l'unica carica che gli si poteva assegnare - In tutti gli altri ruoli bareresti, andresti alla ricerca degli schemi avversari, da vero Corvo quale sei, siete tutti uguali. Lo sai che Sesy ha cambiato tutti i ruoli della squadra proprio il giorno della partita? Altrimenti non ci avreste mai battuti. -
Ancora non le era passata, non riusciva a perdonare Sesy per quella che Evey considerava una grande scorrettezza. Si aspettava due uova di drago di Mielandia, come minimo. Così come non riusciva ad accettare quella sorta di doppio calcio che uovissimo e la Cacciatrice bionda avevano dato alla Pluffa nel tentativo di farle goal; se non ci fosse stato Finch, Evey probabilmente si sarebbe spezzata i polsi nel tentativo di parare. Era sicurissima che la professoressa di Divinazione avesse lanciato chissà quale incantesimo alla Pluffa per riuscire a colpirla insieme alla Cacciatrice bionda. Come fossero riuscite a non rompersi le gambe a vicenda... per lei era ancora un mistero.
Si rese conto, un po' a disagio, di essersi comportata come i Concasati di Jelonek: stava parlando solo di Quidditch. Forse a lui non piaceva (come diavolo si fa a non amare il Quidditch?) e lei, invece, era partita in quarta senza freno.
Si raccolse una ciocca dietro l'orecchio, lievemente imbarazzata da quel vago senso di colpa. Solo vago.
- Fingerò di credere che sia stato un incidente. - gli concesse con aria di superiorità, ma visibilmente divertita. Evey non aveva ma creduto alle coincidenze: Jelonek veniva emarginato, buttato fuori dal dormitorio dai suoi stessi compagni e, improvvisamente, quegli stessi compagni si ritrovavano il guardaroba in fiamme.
No, non sei un tipo vendicativo.
- Lo farò eccome! - lo informò quindi, stringendo gli occhi - e lo farò gratis perchè quello sotto la lapide storta sarai tu. Con Zeboim. Io appenderò il tuo poncho ed Eloise nella mia Sala Comune, come Trofei personali. -
Una bellissima teca nella Sala dei Serpeverde, con una targhetta colossale in oro massiccio che proclamasse la sua vittoria: Questi Sono I Trofei Della Gloriosa Evey Atkinson. No, anzi, al posto di Trofei, avrebbe fatto incidere Prigionieri. Suonava più battagliero.
Il bacio la colse d'improvviso: le guance di Evey si tinsero di un rosa acceso, mentre lei abbandonava l'iniziale rigidità che aveva accompagnato la sorpresa. Con un sorriso, si lasciò andare e chiuse gli occhi, ricambiando quel bacio e aprendo le sue labbra con delicatezza. La sua mano poggiò sulla gota pungente di Jelonek, carezzandola al di sopra della barba con un movimento leggero.
La sua mente si svuotò, meravigliosamente, mentre disegnava la superficie interna del suo labbro inferiore con un tocco della lingua, appena accennato; sentì la nuca formicolarle piacevolmente.
Riaprì gli occhi, staccandosi da lui qualche millimetro, ma continuando a percepire il suo respiro sul viso. Il sorriso si allargò. Gli depositò un altro bacio leggero sulle labbra, e poi un altro, e un altro ancora.
Buonumore. Non ci era affatto così abituata.
Poggiò la fronte contro la sua mandibola, con delicatezza, abbassando il volto, il cui sorriso rimaneva imperterrito a farla assomigliare ad una Tassorosso. Lo sguardo le cadde sul nastrino dorato che aveva legato l'Amantello. Evey lo prese e cominciò a giocherellarci spensieratamente, intrecciandolo tra le dita.
- Il cardigan non era mio! -
Lo corresse quindi, alzando lo sguardo e tentando, inutilmente, di rimanere seria.
SLOWPOKE.
Era così fastidioso non sapere perchè diamine stava ridendo...
- La tua lapide sarà molto peggio. - lo informò con soddisfazione - "Qui giace il falso professore Jelonke. Fu bocciato undici volte. L'ultima torta che lanciò gli fu fatale." -
Aveva una vaga idea su chi avrebbe scritto la parola "fine" al suo regno di terrore e lanci di torte. E ne era orgogliosa.
 
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view post Posted on 21/12/2013, 10:25
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I'm a falling stone in a world of glass
I'm a ticking bomb with a smiling mask



I suoi primi incontri con Evey Atkinson non gli avrebbero mai potuto far presagire che un giorno l'avrebbe vista sorridere in quel modo. Avrebbe potuto immaginare se stesso mentre ridacchiava, celando un ghigno; quanto a lei, dopo la barriera di diffidenza e cinismo iniziale, sarebbe rimasta barricata nel suo castello di granitiche certezze, con giusto qualche breccia attraverso cui lui potesse guardare. Niente andava mai come previsto, eppure le persone continuavano a sperarci ogni volta.
Le mura erano state abbattute. Era stata lei a volerlo. Si trovavano lì insieme, vicini, contrariamente a qualsiasi previsione. Quello che era parso un portone rinforzato, espugnabile solo dopo ripetuti attacchi, non era stato chiuso bene. Evey aveva reciso i rapporti con chiunque potesse ricordarle i suoi orrori. La realizzazione più dolorosa sarebbe stata quella, la comprensione che l'orrore era ormai dentro di lei, oscurava la sua vista come un velo nero, direttamente dall'Inferno. Nessuna, tra le persone che aveva conosciuto Prima, sarebbe comparsa più nei suoi colori originali. Lui aveva messo il piede nello spiraglio della porta, lo aveva allargato finché non era stato di una larghezza sufficiente a farlo passare. Ora si trovavano lì dentro.
(La porta si stava chiudendo alle loro spalle, tagliando l'ultima fonte di luce. Presto sarebbero rimasti al buio.)
Perché lui non apparteneva al Prima Di di Evey Atkinson. Era apparso oscuro, quanto e più degli altri, ma a differenza degli altri, non aveva mai mostrato colori diversi, non c'era mai stata purezza nell'immagine mentale che Evey conservava di lui. La sua oscurità appariva più autentica, più vicina a quella di lei.
Si poteva davvero vivere nell'isolamento assoluto?
No, se si è ancora esseri umani.
In questo, lui aveva un vantaggio.
(E non importava che il suo respiro si fosse calmato, che quell'accenno storto di ghigno fosse stato cancellato dalla mano di lei che gli percorreva lenta la guancia, dell'agrodolce delle sue labbra, un sapore nuovo, fuori da qualsiasi catalogo, estraneo a qualsiasi cosa avrebbe mai potuto essere scritta o letta o appresa...)
C'erano angoli insondabili e desolati del suo cervello, e gli sprazzi d'emozione che riuscivano a percorrerli erano destinati a rimanere lì relegati. Lei si comportava in quel modo, si lasciava andare, forse perché credeva di avere ormai vissuto ogni cosa. Quale dolore le restava da provare? Quanto dolore può provare un corpo prima di spezzarsi?
(Bé, la domanda è sempre stata quella, no? La domanda in allegato alla nostra nascita. Tutte le persone che incontriamo da quel punto in avanti ci metteranno alla prova, vedranno fin dove possiamo arrivare. E faranno di peggio.)
Era quello. Il suo sorriso era un imprevisto.
(La sua risata era un pericolo.)
Tutto era stato un imprevisto, nella sua vita. Non aveva importanza, non quando c'era il Piano. Quegli angoli insondabili e desolati del suo cervello non avevano controllo su nulla, non potevano cambiare niente...

-Continuo a perdermi perché... uso le mie scorciatoie segrete. Sono troppo segrete, Evey, devo aspettare che nessuno mi guardi, per poterci entrare- (adesso, ogni volta che parlava, il suo mento le sfiorava la testa, strisciava sui suoi capelli, quella era la misura della loro vicinanza, se si fosse soffermato a pensarci anche solo un momento, si sarebbe accorto di quanto fosse tutto così assurdo) -Te le mostrerò quando... mmm... ti comporterai bene. Sì-

Così poteva assicurarsi che rimanessero segrete. "Nell'anno del mai, nel mese del forse", come rispondeva talvolta sua madre alle sue perentorie richieste di trenini, orsetti gommosi e letti a baldacchino con altalena.
Poi ricordò la domanda di Evey su ciò che più le stava a cuore; su quella cosa che avrebbe dovuto dimostrare, teoricamente, la presenza di un cuore in lei. Mmm.

-Al primo anno mi sono rifiutato di salire sulla scopa- confessò, con il sorrisetto che associava alla rievocazione di episodi di Hogwarts -Mi ci hanno costretto. Allora ho fatto in modo di impennarmi e cadere. Mi sono spaccato il ginocchio! Anche se me lo hanno sistemato subito, ho potuto usare il trauma come scusa per farmi assegnare dei compiti di teoria in Volo. Non prendevo comunque voti molto alti, ma almeno non rischiavo di inimicarmi metà scuola... eh... l'altra metà della scuola, quella che non mi ero già inimicato facendo perdere punti e avendo un nome esotico-

Si portò la lingua dietro i molari e sollevò le sopracciglia.

-Non tutti sono pieni di sentimenti negativi come te, Evey. È stato davvero un incidente. Il Quidditch è per persone... violente, arrabbiate e... virili- annuì, convinto dalla scelta di quell'ultimo termine -La negatività è come un cattivo odore... Evey- la ripetizione del suo nome alla fine delle frasi le rendeva assolutamente più didattiche; le sarebbe stato utilissimo ricordarle in momenti chiave della sua esistenza, figurandosi un suo primo piano circondato da luminose nuvole che ruotavano lentamente -Non è un caso che i giocatori di Quidditch puzzino-

Tirò rumorosamente su con il naso tra i suoi capelli e annuì con gravità. Quindi si prese un lembo del maglione tartan e lo avvicinò alle narici di lei.

-Su di me sentirai soltanto... profumo di... calma e giustizia-

Assunse un'aria calma e giusta, ovvero aggrottò le sopracciglia, piegò gli angoli della bocca all'ingiù con un vago broncio, mantenendo uno sguardo astuto. Imperscrutabile.

-O rettitudine. E onestà. Non so di cosa profumo oggi-

(Non aveva alcuna intenzione di allentare la cintura delle sue braccia intorno a lei. Non quando lei sorrideva. Non quando si sentiva così simile a un ragno con la sua tela. )
Am I the only one zen around here?

J. F.
 
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