Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Smells like teen spirit, Privata

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view post Posted on 27/11/2013, 02:41
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Pemperson era un nome veramente elegante. E lui non poteva fare allusioni, visto che a malapena sapeva cosa fossero.
Evey non poteva conoscere a fondo i suoi poteri, poteva averne soltanto un'idea vaga. Due nozioni, però, le aveva astratte dal senso comune e ora rientravano nelle sue conoscenze. La prima: si poteva confondere un Legilimens pensando a molte cose diverse contemporaneamente. Non era del tutto campata per aria; con qualche Legilimens alle prime armi poteva in effetti funzionare. Lui era un bastardo fortunato, così fortunato da poter percepire immediatamente perché lei lo stesse facendo, e su quali regali in realtà propendeva la sua scelta. L'unico problema era che nemmeno lei aveva davvero deciso, e questo era un bene. Forse sarebbe riuscito davvero a ricevere una sorpresa sotto l'albero di Natale.

-Sono uno che si accontenta. Mi basterà spiaccicarti una tort...-

Evey si era alzata in punta di piedi e gli aveva lasciato un piccolo bacio sull'angolo della bocca. Qualche giorno prima, lui lo avrebbe definito "contatto", ma ora aveva capito (?)... più o meno. Aveva capito che avrebbe potuto lasciarsi crescere tutti i centimetri di barba spinosa che voleva, fino ad avere una foresta di rovi su guance e mento. Lei avrebbe comunque tirato fuori una spada e l'avrebbe attraversata per salvarlo dal drago.
O più probabilmente, per salvare il drago da lui.
O solo per cavalcare il drago, ignorando lui e abbandonandolo sulla torre.
Insomma, lei lo ricercava anche quando il buonsenso e problemi logistici di varia natura (altezza, ostacoli come la barba), forse soprattutto in quei casi, suggerivano esattamente la condotta contraria.
Mi ricorda com'ero alla sua età. Come mettevo alla prova le persone.
(Come mettevi alla prova una persona.)
Prima Di.
Contrariamente a quanto si poteva credere, non aiutava assolutamente vedere una certa intenzione formarsi nella mente di chi si aveva davanti. A meno che non si tratti di un piano programmato da lungo tempo, l'intenzione segue l'azione di pochi secondi, a volte microsecondi. Jelonek non aveva esitato nel donarle il suo poncho, nella Foresta, saggiando gli artigli del freddo al suo posto; né aveva avuto ripensamenti nel farsi scalare da lei per metterla sulla scialuppa prima che lo facesse lui - d'altro canto, non era mai stato pronto a vederla condividere il poncho con lui, o nel sentirla stringersi contro il suo corpo quando si trovavano fianco a fianco sulla barca, sotto la gelida volta celeste.
Combatteva contro la propria rigidità, che si manifestava come goffaggine (come quando non aveva saputo come rispondere dopo il loro primo... contatto, facendola persino allontanare) anche in quella circostanza, in cui, inspiegabilmente, Evey aveva voluto avvolgerlo con l'Amantello destinato a lei soltanto.
(Sì, sei tanto ingenuo. Infatti le hai comprato un mantello per due perché la ritieni molto grassa.)
J. F. pianificava e Jelonek provava sulla sua pelle. Si sporcava le mani, se così si poteva dire. C'erano troppi problemi di comunicazione perché potesse contemporaneamente programmare e anticipare quello che effettivamente avrebbe voluto dire gettarsi in ciascuna di quelle situazioni insolite.
(Il vantaggio è che ti piace. Nonostante tu sappia.)
Si dimenticò completamente quello che voleva dirle e ricambiò il suo sguardo giocoso. Per lei si trattava di normalità, ricoperta giusto da una patina di nuovo che rendeva il tutto divertente ed eccitante. Lei riempiva con le sue emozioni quei rigidi confini tracciati dalla sua incapacità di...
[... così incapace di sentire qualsiasi cosa, che il tuo corpo si sta riscaldando, e ora vorresti soltanto provare a baciarla come avevi fatto al Lago, provare a dimenticare quello che stai facendo e...]
Si era detto che Evey Atkinson era a conoscenza di due nozioni comunemente note sulla Legilimanzia. La seconda era così vera e comune che perfino il Magico Trio delle Meraviglie lo sapeva. Soprattutto l'Uomo Silenzioso. Fin troppo bene.
Il cuore di Jelonek si arrestò quando le dita di lei viaggiarono dalla sua linea delle sue labbra, arrivando ai suoi occhi. Chiuse le palpebre sotto i suoi polpastrelli in maniera sin troppo precipitosa, trovandosi in un buio privo di indizi, silenzioso e letale. Qualcosa di fin troppo familiare.

|| Cosa succederebbe se gli cavassimo semplicemente gli occhi? ||



Una qualsiasi di quelle persone normali che a tratti compativa e a tratti invidiava perdeva soltanto un senso quando si trovava bendata. Lui ne perdeva due, e tra questi, quello più importante. L'unico che gli permettesse di rapportarsi con gli altri. L'unico che gli dava un'idea di cosa fare.
Deglutì per combattere quella disarmante sensazione di smarrimento. Per questo, ormai, dormiva solo quando la stanchezza lo faceva crollare, e fino a quel momento i suoi occhi rimanevano sbarrati in direzione del soffitto. Deglutì ancora, ma aveva la gola secca.
(Ti ha fatto una domanda.)
LEI QUI NON PUO' ENTRARE.
Nella sua cella, c'era soltanto lui. Su quella sedia, c'era soltanto lui. Lei non poteva entrare. Non doveva sapere.
(L'unico modo per superare il trauma è rivivere il trauma.)
Le labbra di Jelonek si piegarono. Ridacchiò sonoramente, mentre il buio metallico dietro le sue palpebre chiuse come tende tirate con l'avvicinarsi della sera si colorava di puntini e ombre luminose.

-La nuova palette di ombretti Magic Decay... la Dressed 3-

Voleva solo averla, anche a costo di rimirarsela di nascosto senza farci nulla. A parte colorarsi le dita.

-Calze con i gommini antiscivolo che cantano a ogni passo. Se sì, le voglio giallo acido-

Detestava il parquet della camera da letto di Mandy. Con le calze, lui ed Eloise continuavano a scivolare. Senza, si riempiva gli alluci di schegge, che era troppo pigro per togliersi.
Ma poi, esisteva il giallo acido? Non era il verde?

-Il mantello extra-large con il Presepe che materializza la Stella Cometa sulla tua testa, ma solo il 6 gennaio-

I regali a tema? Sempre e comunque i migliori.

-Lo Sciroppo Sgonfia-Tonsille di Nonna Babby. Lo finisco sempre nel giro di due giorni, non dovevano mettergli quel retrogusto di mango caramellato-

Era stato, in effetti, il suo auto-regalo ricorrente per almeno gli ultimi cinque Natali. Questo, prima che la sciarpa-reperto di Mandy venisse in suo soccorso.
Mentre parlava, il suo cuore riprese a battere, ma la sua mano...
(... cercò quella libera di lei e la strinse.)
Perché lui, a volte, era ancora lì dentro.

No
Don't leave me here
The dream carries on
Inside



J. F.
 
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view post Posted on 27/11/2013, 04:04
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Lo osservò in silenzio per quei primi istanti in cui lui parve disorientato dalla totale assenza di pensieri altrui su cui sbirciare. Lo vide deglutire, lo percepì irrigidirsi sotto le sue dita; combattè l'istinto di togliere la mano, davanti a quell'evidente disagio da parte sua, ma non lo fece. Mantenne le dita davanti a lui, una parte di lei che trionfava davanti a quella sua incertezza, come se improvvisamente Jelonek Fedoryen non fosse più il Legilimens abituato alle scorciatoie nella mente altrui, ma un semplice essere umano come lei.
(Ora non è più così facile, vero?)
E tuttavia, quella parte vendicativa venne archiviata, sciolta dalla sua voce che elargiva il primo tentativo, facendola ridere.
La palette per eccellenza? La costosissima palette per eccellenza? Evey l'avrebbe regalata a lui?
- Quella la regalerai tu a me, donzella! E se sarò generosa ti farò usare l'ombretto arancione. - disse divertita, scartando la prima risposta e mantenendogli la mano davanti agli occhi.
- Zeboim te li farebbe a pezzi appena li sentisse cantare. - Anche i calzini erano scartati. Evey scosse il capo, poi si ricordò che lui non poteva vederla. - Niente indumenti; ti ho dato un grandissimo indizio. -
Già scarseggiava di galeoni, non poteva permettersi di andarli a spendere su vestiti di classe con il rischio che Jelonek non li indossasse perchè non erano abbastanza stravaganti per lui. Jelonek non capiva assolutamente niente di moda, Evey doveva stare bene attenta quando si trattava di regalargli qualcosa da vestire. Sapeva solo che tutto ciò che era indicibile, sfacciato e sgargiante gli sarebbe andato bene, ma prima avrebbe dovuto trovarsi un lavoro per riuscire ad accettare lei stessa di versare i suoi sudati risparmi su capi d'abbigliamento così... singolari.
- Il 6 gennaio è troppo lontano! - disse quindi, scartando anche la terza ipotesi con un sorriso di trionfo. Jelonek stava annegando tra i tentativi, era così soddisfacente vederlo annaspare tra l'incertezza; il sorriso di Evey si ampliò.
- Un semplice medicinale? - Evey si sentì offesa. - No! -
La mano di Jelonek s'intrecciò alla sua; il sorriso di Evey vacillò, ben sapendo che quella non era una semplice stretta. Lui la stava cercando; era l'equivalente di lei che si girava l'anello sull'anulare.
Evey ricambiò la stretta, carezzandogli il dorso del pollice con il proprio: non si sarebbe tratta indietro: quello era il suo dovere. Era il suo totem.
(Sei fuori di lì.)
Lo guardò per qualche istante, fissando ancora i dettagli visibili del suo volto e accorgendosi che le piacevano molto di più rispetto alla prima volta in cui si erano incontrati, come se qualcosa l'avesse migliorato. Anche se non sapeva che cosa.
- Acqua, professor Fedoryen. - sussurrò, ad un respiro di distanza. Chiuse gli occhi.
Evey non distolse la mano davanti al volto di Jelonek nemmeno per un istante. Sapendo che lui non ne avrebbe avuto alcun preavviso, sapendo che sarebbe stato sleale e che avrebbe barato, gli poggiò le labbra sulle sue, con un piccolo slancio, modellandole quindi più gentilmente per aprirle e poterne saggiare il sapore, renderlo partecipe, quasi chiedendogli il permesso, e a tratti, invece, facendosi invadente, così come lo era stato piacevolmente lui sul Lago Nero.
La mano che era davanti ai suoi occhi si tolse, accarezzandolo sul volto fino ad arrivare tra i suoi capelli, affondandovi le dita e stringendoli mentre sentiva il sangue scaldarsi nelle vene. Il cuore le palpitava, accelerando il suo battito. Riconosceva il FosfoLumos nella sua bocca e le piaceva; le riportava alla mente tutte le carezze e i tocchi casuali fatti dietro a questo o quel bicchiere, nascondendosi da tutti. Tutto lì aveva portati lì, isolati dal resto del mondo, dove la parte più nascosta di Evey aveva desiderato di essere ogni volta che lui l'aveva sfiorata. La mano che Jelonek aveva cercato non scioglieva il suo intreccio, anzi, ne aumentava la stretta mentre la sua mente si svuotava, riempiendosi solo della gradevole sensazione delle labbra che continuavano ad incontrare le sue, la lingua che le oltrepassava, a volte gentile, altre più irruenta, la mano tra i suoi capelli scendeva a posarglisi sulla spalla che il braccio gli circondava.
Sei fuori di lì. Sei qui. Con me.

Don't tear me down for all I need
Make my heart a better place
Give me something I can believe.

 
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Rushing through thirty
Getting older every day



Oh, certamente Evey Atkinson non avrebbe saputo cosa farsene, di un ombretto arancione. Questo perché non aveva mai guardato le immagini-tutorial di Frishelle Mhan su Trucchi e Parrucchi Magici, dove ti insegnavano a trasformare un ombretto in eye-liner con un po' di sputo (o era collirio? Ma allora che senso aveva? Si faceva prima a comprarsi un eye-liner nuovo, no? Doveva essere sputo) o in uno smalto colorato utilizzando... vernice trasparente? Insomma, Frishelle (che lui chiamava amichevolmente "Frish" anche se in realtà non l'aveva mai chiamata... purtroppo) sapeva il fatto suo, Evey Atkinson no. E i colori caldi come l'arancione facevano faville nella stagione invernale, visto che fuori era freddo. Un po' di ombretto di quella tonalità avrebbe risollevato l'umore di chiunque, in quei tempi oscuri.
Non le avrebbe regalato la Dressed 3, decise. Non se la meritava proprio e, cosa ancora più grave, non avrebbe saputo sfruttarla a dovere.
Immerso in quel buio, si sentiva oscillare, come sul ponte di una nave che si avvicinava inesorabile all'occhio del ciclone. Ma non lo avrebbe interrotto, non si sarebbe sottratto. Doveva rivivere il trauma, se lo era imposto. Con ogni secondo che passava così, sentiva le viscere contrarsi, certo che stesse per trafiggerlo una lama di dolore, che il sangue stesse per sgorgare, che un dente stesse per essere sradicato con violenza mentre qualcuno rideva. Doveva continuare a parlare. Ma lui parlava anche lì dentro, dicendo praticamente le stesse cose che stava dicendo in quel momento, e ciò non provava assolutamente che...
(La sua mano. Nessuno ti teneva stretta la mano, di certo non in questo modo, di certo non una mano così piccola, così giovane.)

Drawing pictures of innocent times
Can you add color inside these lines?



-Non è un semplice medicinale- le parole gli uscirono dalle labbra, ma non erano più confortanti, e anche la mano di lei perdeva calore a contatto con la sua, e la Sala Trof... no, non erano nella Sala Trofei, erano LA' DENTRO, la stanza, quella con la pietra color antracite e la luce che proveniva da dietro le sue spalle, perché la sedia era sempre rivolta in modo che lui non vedesse il giorno, non traesse alcun sollievo da...

(-Sa di mango. E non sgonfia affatto le tonsille-)

La mano di lui condusse quella di Evey sotto al pastrano, tra il suo maglione e la stoffa. Il buio dietro le sue palpebre stava partorendo nuovi mostri, e faceva più freddo e...
Stava per riaprire gli occhi, quando l'essenza cipriata dei capelli di Evey si fece molto più vicina, invadente. I sensi restanti si acuivano in quel modo osceno, quando la facile scorciatoia della vista - e della Legilimanzia - veniva meno; era come se gli odori, le percezioni tattili, i rumori e... il dolore diventassero degli spilli incandescenti che gli penetravano direttamente nel cervello. Il dolore diventava Dolore. Il nome proprio di un serpente che si dibatteva tra i suoi intestini e di tanto in tanto gli avvelenava le meningi con i suoi denti affilati, portandolo a nuovi picchi di rosso.
I suoi muscoli si irrigidirono ancora, in un modo che era impossibile non notare. Sapeva che stava arrivando. Tramavano qualcosa - lui non sapeva cosa, non poteva saperlo, questa volta - e avevano trovato un altro modo per farlo urlare, e stava per arrivare, stava per scoprirlo prima con la pelle che con...
La mano di lei (?) abbandonò le sue orbite, dove gli occhi erano stretti, in un inutile riflesso di protezione con cui tentava di incassarli tra fronte e zigomo. Si posò tra i suoi capelli, che lisciò, pronta probabilmente a strapparglieli. Qualcosa venne premuto sulle sue labbra, che si strinsero istintivamente - ancora quel loro veleno, quella pozione che gli aveva fatto vomitare sangue per tre giorni o forse tre ore? - prima di capire che non era una pozione, lei non era Eloise, non era l'Uomo Simpatico e nemmeno l'Uomo Silenzioso, la sua mano si era insinuata tra i suoi capelli per aggrapparsi a lui mentre la stretta dell'altra gli confermava, in maniera non verbale, che era fuori di lì.

-Acqua, professor Fedoryen-



Non aveva mai sentito quel profumo, là dentro; neanche quella voce. Non gli stavano facendo bere la Pozione Spaccabudella - come la chiamava lui, come la definivano loro nella loro mente. Quelle appoggiate sulle sue labbra erano altre labbra.
Le labbra di Evey Atkinson, intenta ancora una volta a sfidare i rovi. E a bussare alla porta dei suoi ricordi, chiedendo di entrare.
La porta della sua cella.
Jelonek dischiuse le labbra, lasciando che quelle della studentessa accarezzassero le sue. Non le lasciò fare altro. Fu lui a stringere le dita attorno alle sue, sotto il pastrano, così forte da farle male, mentre la pelle ispida del suo viso strisciava sulle guance lisce di lei e la sua lingua incontrava la sua a metà strada, prima di ricacciarla nella bocca di lei ed esplorarla con forza. Con necessità. Con gratitudine.
"Sono fuori di lì", diceva il suo corpo. E si aggrappava a lei per una conferma definitiva, per ricordi che sradicassero quelli che lo visitavano dietro gli occhi chiusi e anzi li sostituissero, come se fosse possibile (e non lo era, no che non lo era, come avrebbe potuto esserlo?).
Era sbagliato. Non c'era mai stato niente di così sbagliato.
Respirò a fondo sulla sua pelle, sentendo che la sua bocca non sapeva di Cella Grigia, non sapeva di sangue e ferro, di denti spezzati. Sapeva di Hogsmeade. Di Lago Nero. Di amaretti sbriciolati.
Poteva avere pensato, con un un ultimo sobbalzo di ottimismo, che fosse stata anche la Legilimanzia ad averlo privato della sua umanità. Trovandosi senza, però, poteva capire che le cose stavano diversamente.
Senza Legilimanzia diventava qualcosa di molto peggio. Diventava un animale. Accecato dalla paura, senza più niente da perdere.
Riaprì gli occhi, e per un attimo la guardò da così vicino. I pensieri ricomparvero, in volute vorticanti, ma non erano quelli che vedeva. Osservava il suo viso, le sue iridi turchesi. Un viso destinato ad altro. Ad altri.
Era un vero peccato.
Tra la barba non curata si aprì un sorriso.

-Anche tu sei capace di barare, a quanto sembra, singorina Fletcherson-

Si portò la lingua dietro i molari mentre continuava a sorridere, vagamente. Non c'era alcuna traccia, nella sua espressione, della discesa negli inferi che aveva compiuto, con andata e ritorno, mentre i suoi occhi erano chiusi.

-Basta tentare la fortuna. Non le piace essere messa alla prova-

Accennò vagamente all'entrata della stanza, ma l'arrivo di un Prefetto, in quel momento, era un rischio di cui non si preoccupava nella maniera più assoluta. Ammesso che se ne fosse mai veramente preoccupato.
Si abbassò, tirando l'Amantello giù con sé, costringendola a piegarsi a sua volta. Sedette a gambe incrociate, quindi, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo, si tolse entrambi gli stivali spaiati, insieme ai calzini (color cachi, con una grande scritta gialla sulla pianta che diceva BUON LUNEDI'!) - si affrettò a nasconderli, potevano confondere un Prefetto sul fatto che in realtà fosse domenica e Evey non indossasse la monacale divisa - e stese un piede verso di lei.
Per Jelonek, non esisteva passatempo più entusiasmante del lisciarsi i calli con un'apposita lametta. In realtà, sapeva che esisteva uno strumento apposito, chiamato proprio "levacalli", ma ogni volta che lo vedeva appeso da qualche parte lo faceva rabbrividire; aveva tutta l'aria di essere qualcosa che potesse tagliare di netto un osso e non lo aveva mai comprato - non che riceverlo per Natale gli avrebbe fatto tanto schifo, intendiamoci.
In realtà, a parte le cicatrici, i calli inamovibili e la perenne unghia incarnita al mignolino destro, Jelonek sapeva di avere dei piedi invidiabili. Un po' troppo grandi, forse, e con le dita un tantino bitorzolute, e magari fin troppo pallidi, ma a parte ciò, di gran lunga meglio messi delle sue mani.
Comunque, da entrambi gli alluci spuntavano delle minuscole puntine scure.

-Le schegge del parquet scadente nella camera da letto di Mandy-

Le spiegò con tono cupo.

-Anche Eloise se n'è beccata qualcuna, ma dice che non le danno fastidio. Non so come toglierle... è vero che si possono spezzare e rimanere dentro la tua pelle per sempre?-

La prospettiva lo affascinava.

-Se riuscirai nell'impresa, non ti spiaccicherò una torta in faccia-

Soltanto un pasticcino.

-Inoltre, questo è il miglior diversivo anti-Prefetti che mi sia mai venuto in mente-

Dopotutto, cosa c'era di strano in un Insegnante di Occlumanzia con un piede in grembo a una studentessa? Il peggio che si poteva pensare era che lei gli stesse facendo un massaggio sul pavimento della Sala Trofei.
Il che andava bene... no?

J. F.
 
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Era rimasta sospesa, inebriata dalla risposta di lui. La sua stretta sulle spalle era aumentata istintivamente; non aveva nemmeno cercato di togliere la mano, che lui stringeva tanto forte da farle male. Non le importava, anzi... le piaceva. Le piaceva la violenza con cui lui le aveva stretto il polso e le piaceva la forza con cui aveva risposto al suo bacio, ricacciandola indietro nella propria bocca come se fosse importante dimostrare chi avesse il comando. Una presa di potere sorprendente quanto temporanea, effimera. Così come al Lago, non durò a lungo nemmeno lì, nella Sala Trofei.
Fu con dispiacere che accolse il loro distaccamento. Chi se ne importava dei Prefetti!
(Perchè l'hai fatto?!)
Il sorriso le morì quando vide il perchè Jelonek l'aveva costretta a sedersi per terra. Si ritrovò il suo piede che agitava allegro le dita, proprio sul suo grembo. Evey lo guardò, stupefatta: seriamente?
Fu tanto spiazzata da quella... situazione che per un secondo non potè fare altro che fissare il piede che le era stato offerto senza sapere cosa farne. Era una fortuna, per Jelonek, che fosse curato e pulito, altrimenti Evey avrebbe già lasciato la Sala urlando e piangendo alla vista di sgradite sorprese incastrate tra gli avvallamenti delle dita.
Il problema di Jelonek era un altro. Anzi, i problemi; Evey ne contò ben tredici. Com'era umanamente possibile?
- Jelonek, hai tredici schegge sotto il piede! - disse stupita, alzando la gamba del paziente facendo leva sulla sua caviglia, alla ricerca di una luce migliore. Si, erano davvero tredici pezzettini di legno incastrati nella pelle di Jelonek, caparbiamente sporgenti o appena sotto la cute. Evey si chiese come facesse a camminare normalmente; le era capitato di avere al massimo due schegge dopo essere andata a trovare il nonno, che viveva interamente nel legno, e si era rotolata disperatamente in preda al dolore su quello stesso pavimento, prendendosene altre due vicino al gomito.
- Come fai a camminare?! -
Si chiese se Jelonek non fosse scemo. Si, evidentemente aveva qualche problema mentale per andarsene in giro come se niente fosse, con tredici pezzi di legno in un piede. Afferrò quella più sporgente con le unghie, che doveva essere la più recente, e diede un violento strattone. Sollevò la sua vittima controluce per ammirarne lo spessore. Non era tanto lunga quanto grossa: aveva lasciato una gocciolina di sangue laddove prima giaceva; infastidita, la gola che le pizzicava improvvisamente, Evey afferrò uno dei calzini di Jelonek e tamponò. Non avrebbe lavorato con quelle condizioni.
- Non lo faccio per la torta - ci tenne a precisare, dopo un lieve sbuffo - non riusciresti a spiaccicare nulla, starei all'erta e farei in modo di fartela finire in testa! -
Conoscendo le tendenze di Jelonek, di sicuro avrebbe tentato di fare una qualsiasi cavolata al Ballo, davanti a tutti. Se pensava che questo l'avrebbe fermata dal prenderlo a pugni e a schiaffi, si sbagliava di grosso. Avrebbe accolto con gioia un Colloquio Disciplinare come pagamento per la sua vendetta. E se non fosse arrivata a colpirlo in faccia, beh... ai Balli s'indossavano i tacchi, e quelli facevano molto male contro le Nocciole Amiche degli uomini.
Strinse gli occhi, mandandogli quell'avvertimento in tono di sfida, mentre strappava via altre due schegge superficiali. Sperò che l'altro piede fosse in condizioni migliori o che non ne avesse affatto. Non voleva passare il suo pomeriggio a fargli da Guaritrice. Non poteva usare delle pantofole sul legno, come tutti?
Ne tolse altre tre, faticando un po' sull'ultima che si era spezzata, rimanendo sotto la pelle. Zeboim, magneticamente attratta dagli indumenti liberi, si avvicinò ad uno degli stivali di Jelonek e lo annusò intrigata. Evey sapeva cosa si sarebbe scatenato di lì a poco, ma non disse nulla; continuò a togliere schegge e a tamponare.
- Potrei dire che il professore di Occlumanzia mi schiavizza perchè è un incapace che costruisce balestre e non sa come togliersi qualche legnetto dal piede. - replicò sarcastica, facendo pressione su una scheggia particolarmente in profondità. Quel pomeriggio aveva preso una piega decisamente inaspettata in un momento gradito. Chi l'avrebbe mai detto?
Lei no di sicuro.
La pressione sulla scheggia aumentò notevolmente. Il sangue uscì prima del pezzo di legno, Evey si affrettò a pulirsi sul calzino di Jelonek, strofinando più del necessario.
- Se avessi la mia pinzetta delle ciglia farei molto prima! - commentò - Anche se dopo dovrei disinfettarla. Potrei prendere quella della Hall, per essere sicura! Quella non la devo disinfettare. -
Così dicendo (o sproloquiando), ne estrasse altre quattro, che vennero via più facilmente. Zeboim aveva azzannato lo stivale di Jelonek e adesso lo agitava, rabbiosa, nel tentativo di sbranarlo.
 
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Jelonek non capiva cosa ci fosse di strano in quella situazione. Non poteva fare affidamento su di lei per un compito così importante, quando la posta in gioco era... bé, la sua possibilità di camminare senza zoppicare?
A dire il vero, lui non aveva mai zoppicato per quelle. Non aveva neppure sentito le schegge sotto la sua pelle (dopotutto, c'erano così tanti strati!) finché non ci aveva ripensato poco prima; da lì aveva iniziato a provare un fastidioso formicolio. La riluttanza di Evey era stata contenuta, e per un motivo o per un altro non si era tirata indietro nel momento del bisogno.
Bé, ovviamente lui le avrebbe estratto qualsiasi scheggia, se ce ne fosse stata la necessità, anche senza avere quel debito con lei. Aveva delle mani molto ferme, ma ciò non toglieva che potesse sbagliare. Inoltre, aveva mezzo sperato che Evey combinasse un disastro, in modo da peggiorare la punizione della torta.
Dopo l'impressione iniziale, Evey si era messa al lavoro. Jelonek osservò le sue dita sporcarsi di microscopiche goccioline di sangue, che asciugava sui suoi calzini - poco male, quel BUON LUNEDI'! aveva comunque bisogno di un po' di colore - mentre la sua mente borbottava pensieri assortiti come una pentola di fagioli.

-Certo che non lo fai per la torta- ribatté Jelonek, studiando le sue reazioni per controllare che nella sua testa non si formasse l'esclamazione "Cavolo, la scheggia è andata perduta sottopelle, speriamo non se ne accorga" -Lo fai per qualche voto extra nella mia materia-

Che non era una materia di curricolo. Ma chi se ne importava? Avrebbe dato voti comunque, tanto per sconvolgere il sistema decimale e mettere -77 come votazione minima e 39 come massimo.

-Bé, non ti aiuterà poi molto. Sono incorruttibile-

Non era il massimo della prudenza dirle una cosa del genere quando le sue unghie avrebbero potuto rispedire aguzzi frammenti lignei tra gli strati del suo epitelio, ma del resto lui non era mai stato un grande stratega. Preferiva le cose semplici.

-Costruire Eloise non è stato nulla rispetto a ricamare quel Big Ben tra le nuvole- le fece notare, non tentando neppure di nascondere una certa fierezza per il suo invidiabile risultato -E forse intendi pinzetta per le sopracciglia, Evey. Non penso ti convenga togliere le poche ciglia che hai-

Chi mai poteva basare la propria autostima sulle ciglia? Non se la sarebbe certo presa. Rimase per qualche minuto ad assaporare le minuscole scaglie di dolore acuto che i movimenti decisi di lei gli infliggevano. I piedi non erano molto sensibili. Se ne sarebbe letteralmente potuto andare in giro con mezzo parquet di Mandy sotto la pianta. Anzi, una volta tornato di sopra ci avrebbe strisciato i piedi con più insistenza, per vedere se gli era possibile battere il suo record personale. Evey sarebbe stata orgogliosa di saperlo.

-Io devo toglierti qualcosa?- le chiese a un certo punto, serio.

I debiti proprio non gli piacevano, e sebbene conoscesse già la risposta, si rifiutava di credere che lei non avesse schegge in alcuna parte del corpo.
Che razza di vita doveva avere?
Continuò a fissarla, disponibile, le labbra appena assottigliate e gli occhi che quasi si fondevano con la penombra animati da un impercettibile brillio.

J. F.
 
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- Quale delle due materie? - domandò Evey, ghignando divertita, mentre strappava via un'altra scheggia e gliela tirava dietro. Non aveva bisogno di qualche pezzo di legno, Jelonek poteva essere benissimo corrotto con qualche cappello piumato che alternava il saluto allo scandire l'orario, a seconda di chi si trovava davanti. Da qualche parte esisteva una mostruosità simile, Evey ne era certa.
- E' lo stesso! - disse indispettita. Ciglia, non ciglia, che differenza faceva? E poi lei non aveva poche ciglia, anzi.
Terminò, con l'ultima scheggia, di togliere i pezzi di legno dalla carne di Jelonek e si battè le mani, soddisfatta, come a volersi ripulire. Aveva fatto un lavoro egregio, estraendo tredici schegge in meno di mezz'ora, anche se le sarebbe piaciuto che il suo paziente si contorcesse e gridasse dal dolore un po' di più. Sarebbe stato più divertente, senza ombra di dubbio.
- Fatto! Come sei messo sull'altro? - domandò, analizzando la pianta del piede opposto. Ne contò tre, troppo in profondità per essere estratte come le altre; Evey sbuffò. Non ci sarebbe riuscita a mani nude, Jelonek avrebbe dovuto arrangiarsi o aspettare la volta successiva, quando si sarebbero rivisti. La prospettiva di dover affrontare di nuovo quella situazione non era qualcosa che la faceva saltare dalla gioia, ma si sarebbe munita della pinzetta delle ciglia di Daisy Hall e avrebbe fatto in modo di causargli un po' di fastidio.
- No. Io non me ne vado in giro a piedi nudi. - lo informò imperturbabile. Niente schegge da togliere per lei, e questo rendeva Jelonek irrimediabilmente... in debito con lei.
Si dipinse un ghigno radioso sul volto di Evey. Sapeva che quel servizio avrebbe portato i suoi frutti, bisognava solo avere pazienza. Ora Jelonek le doveva un favore, e avrebbe deciso lei come, quando o cosa l'avrebbe ripagato. Gli sorrise, angelica e divertita davanti a quella prospettiva.
- Sei in debito! - ribeccò luminosa - Penserò a come potrai sdebitarti, oltre, naturalmente, al 10 in Occlumanzia che mi metterai sul tuo registro! -
O farò in modo che tutto, intorno a te, si trasformi in schegge.
Mentre Zeboim cercava di fare a pezzi lo stivale di Jelonek, Evey appoggiò il mento sulla mano, il cui braccio era pigramente posto sul ginocchio incrociato. Osservò Jelonek, interrogativa, improvvisamente perlpessa; strinse appena le palpebre sugli occhi azzurri.
- La Preside non si fida ancora di te, vero? - domandò improvvisamente. Perchè Jelonek era l'unico insegnante che si beccava schegge su schegge sul prezioso parquet di Kedavra Mandylion invece di riempire un Ufficio suo di tutti i suoi bruttissimi vestiti e cianfrusaglie? Ormai era lì da un po' di tempo.
 
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view post Posted on 27/11/2013, 09:46
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Dal momento che 39 sarebbe stato il suo voto massimo, 10 sarebbe stata una valutazione alquanto scadente. Sì, decisamente poteva permetterglielo. E non era vero che non gli piacevano i debiti. Dipendeva tutto dalla persona con cui li aveva contratti.
Evey continuava a parlare con incredibile nonchalance, ma la conversazione si stava via via avvicinando al Circolo dei Segreti di Mandy. Evey Atkinson non sarebbe mai entrata nella Cella Grigia per una serie di motivi, limitazioni imposte da lui; ma il Circolo dei Segreti non era un suo territorio. Si trattava del parco giochi dei Loschi del Ministero, e naturalmente di Mandy. Faceva parte di quelle cose che non poteva dire per la propria incolumità - per non tornare lì dentro.
Mandy stava lentamente facendo progressi. La strada era ancora lunga, e in salita, ma nel giro di qualche mese, un anno al massimo, avrebbe avuto qualche possibilità di superare le sue difese occlumantiche, a vedere dentro di lui. Per allora, Jelonek avrebbe fatto meglio a essere molto lontano da lì. Ammesso che di lì a un anno, Mandy fosse stata ancora viva, chiaramente.
Si sarebbe comunque accorta di qualsiasi rallentamento nelle sue lezioni, e non poteva permettersi nella maniera più assoluta che lei si stancasse di lui anzitempo; contemporaneamente, non aveva intenzione di agire diversamente da come aveva sempre fatto, con lei, o si sarebbe insospettita ancora di più. Gli aveva lanciato contro oggetti e lo aveva minacciato con la bacchetta almeno una dozzina di volte, da quando si trovava lì, ma poi si accorgeva sempre di avere bisogno di lui. Nessuno poteva insegnarle quello che lui le stava insegnando, o nel modo in cui lo stava facendo.
Soltanto lui e gli Auror sapevano che Kedavra aveva perso i poteri. I Mangiamorte ne sarebbero venuti a conoscenza soltanto se a quel punto il segreto fosse trapelato anche con altri. Fatto che, dopo gli ultimi avvenimenti e con le varie imprudenze (chiamiamole così, sì) di Mandy, sembrava ogni giorno più probabile.

-Mandy ha enormi problemi di fiducia- rispose, avvicinando a sé il piede che aveva provocato la resa di Evey e studiando le micro-ferite -Con il tempo, sono soltanto peggiorati. Ma se non si fidasse di me, non si limiterebbe a tenermi in camera sua. Mi esilierebbe a migliaia di chilometri di distanza. Cosa che farà comunque, quando gli Auror non avranno più bisogno di me-

Un lavoro a tempo pieno come Insegnante di Occlumanzia non gli sarebbe dispiaciuto. Certo, prima avrebbe dovuto vedere effettivamente cosa significasse; non poteva dedicarsi alle lezioni finché Mandy non registrava risultati più consistenti, e fino ad allora aveva intenzione di continuare a tartassarla senza lasciarle un momento di respiro. Era convinto di riuscire a farle allungare le borse sotto gli occhi fino al mento; doveva credere in se stesso.
(Quando scoprirà che hai collaborato con i Mangiamorte ti farà processare. Tornerai lì dentro. Ma ti sarai preso la tua soddisfazione. )
Nella migliore delle ipotesi, il Ministero della Magia tedesco lo avrebbe ritenuto una risorsa troppo indispensabile per farlo rinchiudere in un qualche buco. Nella migliore delle ipotesi, avrebbe trascorso il resto della vita lavorando per loro con ceppi ai polsi e alle caviglie.
Era un'ipotesi molto azzardata, come tutte le migliori.

-Se anche mi scoprisse qui... potrebbe soltanto arrabbiarsi- si avvicinò il piede nudo al viso e passò con il dito sul rigonfiamento dovuto alla scheggia -E sì, penso proprio che si arrabbierebbe-

Appoggiò il piede e tirò su le ginocchia, un lieve ghigno sulle labbra.

-È un vero peccato che tu non ti fidi di lei, Evey- disse a un certo punto, gli occhi che non la abbandonavano per un solo momento -Lei ne avrebbe così tanto bisogno, ora come ora-

Psicologia inversa. Direttamente dalle migliori Poste del Cuore e Rubriche di Corteggiamento.
Come le schegge nei piedi.

J. F.
 
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Sapere che la Preside Kedavra aveva grandi problemi di fiducia le recava un vago senso di soddisfazione. La Preside si sentiva irrimediabilmente sola, circondata da tradimenti e da persone che evidentemente non condividevano il suo punto di vista, qualcuno che la faceva sentire costantemente insicura, incerta come se fosse sospesa su di un baratro, appesa per un filo sempre più sottile, terrorizzata per ogni singolo passo che avrebbe dovuto compiere, sapendo che di sotto non c'era nessuno che avrebbe potuto prenderla una volta precipitata...
(Avverto una certa affinità.)
- Te ne andrai? - chiese, inclinando appena la testa e tentando di risultare neutrale. La domanda giusta sarebbe stata ti farà andare via? Chissà perchè Evey non ne era sorpresa. Jelonek era soltanto l'ennesimo strumento da usare, sfruttarlo, ottenere da lui tutto ciò per cui poteva essere utile e dunque gettarlo via.
(Quell'origami dev'essere stato davvero offensivo.)
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi bucherellati e sui calzini arrotolati. La prospettiva di Jelonek che veniva allontanato (o che se ne andava) le metteva addosso una strana sensazione di freddo, che però Evey non permise di estendersi alla sua espressione. Non che facesse qualche differenza, lui se ne sarebbe accorto comunque, ma era importante, per lei, non farlo manifestare. Non sapeva per quale motivo. Forse perchè non sarebbe stato reale, rimaneva solo un ipotesi campata in aria da una delle due parti, mentre l'altra rimaneva inflessibile e scettica al riguardo, come se ci fossero possibilità che questo non avvenisse.
- Perchè dovrebbe arrabbiarsi? Non stai facendo niente di male. Non puoi nemmeno aggirarti per il castello? - Evey era infastidita - Sembra che tu sia ancora prigioniero. -
Strumento da usare e da sfruttare. Come qualsiasi cosa che poteva essere utile...
Perchè Kedavra doveva arrabbiarsi nel trovarlo fuori dall'Ufficio? Si era arrabbiata anche trovandolo lì, a conversare con lei, e Evey non poteva immaginare per quale motivo la Preside di Hogwarts dovesse essere così prevenuta o limitativa nei suoi confronti. Quel giorno sembrava che Jelonek avesse pugnalato uno dei gattini di fronte ai suoi occhi, tanta era la rabbia che Evey aveva visto nello sguardo della Preside.
Alzò lo sguardo su di lui, il sopracciglio sinistro alzato in un'espressione di pura ironia. Fidarsi di Kedavra? Avevano tutti commesso quell'errore, quella notte non troppo distante. Si erano fidati, avevano bussato alla sua porta e lei li aveva mandati via (perchè troppo potente per aiutarli).
La fiducia non era così facile da ottenere. Non per tutti era uno strumento da usare e da sfruttare.
Le targhette alle sue spalle ripresero a sibilare.
- Che se ne fa Kedavra della fiducia di una qualsiasi studentessa? Lei ha i suoi Auror - disse, distogliendo lo sguardo e prendendo Zeboim per staccarla dallo stivale e salvarlo definitivamente dalla sua furia distruttiva.
Kedavra non considerava affatto i suoi studenti. Era stata messa lì da qualcuno, su quello scranno di Preside, e da lì non si era mossa, ma questo non significava che tenesse in considerazione figure estranee ai suoi soldati. Jelonek ne era un esempio. La Stanza delle Catene ne era un esempio.
 
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Screaming down within me as I count the cost
Holding on in spite of the doubt



Nel momento in cui udì le forzature neutrali del tono della sua voce, quel "Te ne andrai?" che era l'unica parte visibile di una lunga concatenazione di pensieri che di neutrale non avevano niente (cosa ci sarebbe stato da nascondere, altrimenti?), Jelonek comprese di avere detto la cosa sbagliata. Per un secondo le aveva parlato nel modo in cui si conversa con una vocina interiore, con cui si ripassa il da farsi nella più assoluta e lucida indifferenza.
Aveva dimenticato quello che stavano facendo. Le regole del gioco.
Era con le spalle al muro, ma la sensazione era decisamente familiare. Lei aveva detto che lui sapeva avere a che fare con le persone molto meglio di quanto credesse; qualcosa che andava ben al di là delle sue più selvagge aspettative, ma era inevitabile che prima o poi qualche strafalcione le facesse ridimensionare la sua le sue convinzioni.
Poteva soltanto compiere altri errori, da quella posizione in cui si era messo con le sue mani. Altra sensazione molto, molto familiare.
C'era la Strada dello Zucchero e la Strada Vaga. Senza nemmeno fermarsi a riflettere su quello che stava facendo, Jelonek colpì di testa il metaforico cartello che indicava il bivio.

-Bé, le mie lezioni di Occlumanzia potrebbero essere così irresistibili che Mandy potrebbe anche arrivare a pregarmi di restare... Sempre che io lo voglia, in effetti...-

Danger danger...!

-E potrei volerlo, se anche a me piacesse insegnare Occlumanzia piuttosto che... Mandy non ha mica il controllo della mia vita-

No, certo. Sono altri ad averlo.

-Se mi piacesse insegnare Occlumanzia e rimanere qui, se mi piacesse...-

Fare le scampagnate con i tuoi amichetti mascherati.
Si strinse nelle spalle, sdrucciolando sulla strada di sinistra.

-... se avessi un qualche altro motivo per restare-

Rimettersi in pista. Subito.

-... o una casa. Non ho mai avuto una casa mia-

Solo celle, stanze comuni, dormitori. Bastava dire "celle", in effetti.
Aveva detto qualcosa di vero. Quale sprizzo di umana spontaneità.
Non era nemmeno così assurdo. Avrebbe dovuto far dimenticare a Mandy il rapporto giunto dal Ministero, quello sui suoi presunti (sì, sì) crimini, i loro trascorsi, il fatto di averlo trovato con Evey quel giorno nel suo Ufficio. O magari perdonare, senza dimenticare, che sembrava ancora più campato per aria.
(Ma poi, perdonare COSA? Lei cosa dovrebbe perdonarmi?)

Always trying to find it out
That we could find a way back there
Beyond the moon right through the air



Non poteva certo trascurare quel punto fermo. Non era un puntino. Era un universo.
Per una cosa del genere avrebbe dovuto perdere un braccio, e farlo in suo onore. Forse nemmeno quello sarebbe bastato a convincerla di nuovo a fidarsi di lui come un tempo. No, sicuramente non sarebbe bastato. Erano ben al di fuori del giochetto della fiducia, inoltre anche senza la sua Legilimanzia di un tempo, poteva avvertire il suo...
(... risentimento?)
... ogni volta che le rivolgeva la parola. Nemmeno lei era così stupida da credere fino in fondo che lui l'avesse perdonata. Del resto, aveva con il tempo sviluppato una certa attitudine a circondarsi di traditori.
Sarà forse che è lei a ispirare tradimento.
Quel pensiero svolazzò per la Sala Trofei e trovò un angolo in cui incunearsi, con una solida ragnatela, mentre J. F. ascoltava, nascondendo a fatica il proprio compiacimento, le parole di Evey. Quanta saggezza in un corpicino tanto giovane.

-Mmm- fece Jelonek nella sua migliore espressione meditabonda, qualcosa proprio da manuale, con gomito appoggiato sul ginocchio e indice e pollice che accarezzavano la barbetta sul mento mentre fissava la volta in marmo -Per quello che è successo quella notte. Chiudersi nell'Ufficio del Preside le ha richiesto tutte le forze che aveva. Aveva solo due scelte: essere ricordata come la Preside che aveva ucciso tutti i suoi studenti in un raptus di Follia Verde, o come quella che si è barricata dietro una porta a vomitare mentre la scuola precipitava nel caos. Si era rassegnata al fatto che solo in pochi, quelli con una vera conoscenza degli effetti di quella roba lì, avrebbero capito il suo gesto. Ha accettato di passare da codarda e incompetente, marchiata per sempre in questo modo, piuttosto che rischiare di farvi del male-

Jelonek sollevò le sopracciglia.

-Questo è come lo spiegherebbe lei. Io penso che c'entri soltanto la sua reputazione. La reputazione di una codarda e la reputazione di una debole assassina. Lei ha ingoiato il boccone amaro della prima. Sul fatto che vi avrebbe uccisi tutti se fosse uscita di lì, bé...- sollevò le spalle -Ha cercato di uccidere gli Auror che hanno fatto irruzione per somministrarle l'antidoto. Il tuo professore di Erbologia si è salvato per un pelo, solo perché lei era estremamente indebolita da quella storia dell'assenzio-

Per tutto il racconto, un sorrisetto compiaciuto era rimasto bene in vista sulle labbra di Jelonek.

-Persone come te, il professor Von Valentine... gli studenti che sono rimasti feriti ma ancora più quelli che hanno fatto del male ad altri... siete le prove viventi di quello che giustifica il suo essersi rinchiusa lì dentro. Se voi siete stati in grado di creare tanta distruzione, lei avrebbe fatto molto di peggio o almeno questo è ciò che la spinge a tirare avanti. Finché tu non riuscirai ad accettare questo, lei continuerà a tormentarsi nel dubbio di avere fatto la scelta sbagliata, nonostante lo neghi-

Si inumidì le labbra.

-Voi non avete avuto scelta. Non avete colpe. Lei una scelta l'ha avuta. E il senso di colpa la sta distruggendo-

Se Kedavra fosse uscita allo scoperto e la Follia Verde avesse preso la meglio su di lei, probabilmente lui non sarebbe stato lì a parlarne con Evey. Evey sarebbe stato un mucchietto di ceneri o un lenzuolo di sangue sepolto da qualche parte. D'altro canto, quella porta sigillata e silente al posto della loro coraggiosa Preside che li guidava alla battaglia da un cavallo bianco era un'immagine molto forte. Il legno severo, su cui probabilmente spiccava ancora la famosa targa di Shaverne, quella che faceva un gran figurone sulle prime pagine di tutti i giornali inglesi, il silenzio privo di risposte, reso convulso e nauseabondo dal Morbo che si diffondeva in loro... erano immagini troppo potenti. Sono quelle a formare le opinioni, in fondo. Davanti a un bambino morto e sanguinante non ci si interessa di cosa gli sia successo. Si piange e basta.
E Hogwarts piangeva. Hogwarts giudicava senza ascoltare.
(Proprio come tu hai giudicato quell'origami. I miei risultati M.A.G.O. Qualsiasi test o numero che mi riguardasse.)

Always remembering...



Jelonek si era fatto serio, ma era una serietà serena. Le prese la mano destra tra le sue, poi la guardò negli occhi, parlando più piano.

-Lascia che sia lei a provare il tuo rimorso. Tu te ne puoi liberare. Sei più che pronta a farlo-

Perché Evey era più simile a Mandy di quanto non sapesse. E ciò che avevano in comune poteva essere pericoloso.

J. F.
 
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view post Posted on 28/11/2013, 04:22
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Non replicò alle sue ipotesi di rimanere dietro giuste motivazioni. Aveva ragione ed Evey non avrebbe saputo che cos'altro aggiungere, se non che sperava che lui trovasse i suoi motivi e la casa. Non voleva che se ne andasse; sorrise vagamente, continuando a fissare il pavimento, decisa a non guardarlo in volto, almeno per un po'. Non desiderava che la considerasse una ragazzina Tassorosso più di quanto Evey non si stesse già sentendo, con quei pensieri che sfrecciavano nella sua mente senza che lei ne avesse il controllo. Si chiese se sarebbe stato qualcosa che se ne fosse andato con l'età, perchè lei lo trovava davvero insopportabile. Magari, imparando Occlumanzia, avrebbe anche saputo come dare un contegno a quei pensieri (che comunque continuava ad avere il sospetto che Jelonek alimentasse volutamente). La prospettiva non le dispiaceva, così come non le dispiaceva l'idea di tenerlo fuori da alcune immagini nella sua mente.
Stava giocherellando distrattamente con uno dei lacci dell'Amantello, mentre lo ascoltava, gli occhi ben piantati sul pavimento sotto di loro. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non parlare di quella notte o di Kedavra, ma suppose che fossero argomenti che non avrebbero potuto evitare sempre. Tra le due possibilità, quelle della reputazione della Preside, quale avrebbe preferito che scegliesse? Quella della codarda, la via prescelta, oppure l'assassina? Evey non dovette pensarci più di qualche secondo.
Avrebbe accolto volentieri la fine, cento e cento volte ancora, piuttosto di essere costretta ad affondare i denti nel collo di Lily Luna Potter o stringere le dita attorno alla gola di Julia Baudelaire. La morte, per mano della Preside dalla preziosa reputazione, sarebbe stata una via preferibile al passare ogni notte con gli occhi sgranati sul soffitto del baldacchino, sudando nell'udire ancora ed ancora quelle grida di rabbia e disperazione, le fiamme verdi che le lambivano la pelle mentre lei girava e rigirava l'anello furiosamente. Lo girava finchè qualcuna delle sue compagne di dormitorio non si alzava per andare in bagno, o per bere, o Zeboim non saltava sul suo letto, strappandola con un sussulto da lì dentro.
Decisamente, non ci sarebbe nemmeno stato da pensare quale delle due scelte Evey avrebbe preferito che Kedavra avesse fatto.

Mettere fine a tutto questo.



- Bene. -
Non aveva mai sentito la propria voce così fredda e distaccata. Sapere che il senso di colpa della Preside di Hogwarts era l'equivalente di una belva dalle fauci spalancate che la stava sbranando pezzo per pezzo era qualcosa che la faceva gioire in maniera selvaggia, quasi oscena. Evey non aveva mai provato nulla di così simile alla sensazione di soddisfazione che l'aveva fatta fremere nell'affondare i canini sulla carne di Lily Luna Potter; era pura adrenalina, un'emozione irrazionale e travolgente che le annebbiava la mente e le faceva battere il cuore in modo furioso. Il laccio dell'Amantello era tanto stretto attorno alla sua mano che la pelle sotto di esso era completamente bianca, ma Evey non sembrava essersene accorta, lo sguardo fisso sulla pietra sotto di lei, troppo impegnata ad assaporare quella notizia.
- Che la distrugga pure. -
Non era sicura di aver pronunciato davvero quelle parole o se si fosse trattato di un suo pensiero, tanto reale da poterne sentire il tono sibilante sfrigolarle tra i denti.
Com'era sfrigolata la pelle di Jessica McKinnon.
Le targhette, alle sue spalle, urlavano.
Sussultò quando avvertì le dita di lui trarle la mano. Il suo primo istinto fu quello di ritrarsi, troppo immersa nella Stanza delle Catene per credere che quel tocco fosse reale (gira l'anello) ma non lo fece. Ne aveva bisogno, di lui e di quelle dita così stranamente calde a confronto con le sue. Tenne lo sguardo basso, non del tutto sicura di volerlo guardare in volto e mostrargli ciò che si celava al di là delle iridi azzurre.
- Io non ci credo. - disse quindi, immobile come una statua, mentre il suo sguardo rimaneva piantato sul pavimento - Loro non provano rimorso. -
Kedavra, gli Auror, nemmeno Shaverne... Evey si era schierata contro quest'ultima, domandandosi come fosse possibile che una donna del genere avesse avuto un così libero accesso a loro, al castello, al potere. Aveva visto i ribelli insorgere e venire puniti. Aveva visto il sangue scorrere tra il terrore e la paura, i lividi portati nel silenzio. Era stata fortunata, era stata risparmiata, la sua vita era rimasta salva dalla mietitura delle vittime. E poi, la porta della Stanza delle Catene si era aperta.
Ma Shaverne se ne era già andata. C'era Kedavra, che aveva deciso di non esserci. Non era con la magia che Evey era piombata sulle sue vittime, ma con denti e unghie. Non era servita nessuna bacchetta, né a lei e neppure a chi aveva attaccato.
- Non voglio liberarmene. Io non sono come lei. -
Fu solo allora che Evey alzò lo sguardo su Jelonek, senza scomporsi di un millimetro. Lasciò che lui vedesse tutta la tempesta al di là degli occhi azzurri, la rabbia e la paura, la soddisfazione e la vendetta, il rimorso, il pentimento, la vergogna, la codardia. Evey non era come Kedavra; lei aveva canalizzato tutte quelle emozioni in una sola: la colpa. E non lo negava, non poteva, non ci riusciva perchè lei era umana. Lei non dimenticava, lei non seppelliva i ricordi.
Lei non abbandonava.

|You gave up the fight, you left me behind.|

 
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view post Posted on 2/12/2013, 11:33
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A Jelonek non servivano altre conferme. La necessità, tuttavia, era solo una parte del piacere. Una minima parte. Qualsiasi percorso sinaptico che nel suo cervello conduceva al piacere si era estinto da tempo, come quei ruscelli che si prosciugano dopo un'estate particolarmente torrida, o i sentieri montani in cui non passa nessuno e finiscono per scomparire sotto chili di neve. Dimenticati.
"Loro" lo avevano prosciugato e lo avevano seppellito. Ma di tanto in tanto, specie sotto Natale, c'era ancora qualche lucina che si illuminava in quel trascuratissimo angolo dei suoi lobi cerebrali.
Ascoltava le due Evey, quella che parlava e quella che pensava, che arrivò in ritardo, solo quando lei infine aveva deciso che la sua faccia fosse più interessante del pavimento - discutibile, specie con quel bel pavimento di pietra o marmo o quel che era. La facilità con cui Evey Atkinson dispensava senso di colpa alle sue vittime-carnefici, come un'Afrodite che distribuisce bellezza tra le sue vestali, lo affascinava mortalmente. Lei sembrava camminare in un grande corridoio dorato, tra due file di persone costantemente in equilibrio su una corda sottile. Era sufficiente un soffio per cui ricadessero dalla parte della colpa, del crimine, del peccato, il tutto sotto il suo sguardo inflessibile. C'era però da dire che nessuno sembrava mai precipitare nel vuoto. Rimanevano sempre attaccati, chi con un un braccio, chi con una mano, chi con i denti. Persino Mandy, nonostante la sua colossale bricconata della porta sprangata ("sarebbe stato meglio morire", sentenziava quella che in quel momento avrebbe potuto essere un fantasma), restava tenacemente appesa con il mignolo.
Evey era molto più facile al perdono di quanto pensasse. Era molto più facile al perdono di lui.
Era naturale che fosse così. Si potevano tenere in sospeso la quasi totalità delle persone della tua vita, per poi dimostrarti incredibilmente buono e misericordioso, nell'intervallo tra un errore e l'altro; oppure, si poteva essere estremamente indifferenti e tolleranti per tutta la vita, fino a quel giorno in cui la coltellata tra le scapole faceva troppo male. C'erano ferite che non si rimarginavano. Ma Evey era ancora troppo giovane per averne mai davvero ricevuta una, nonostante le sue peculiari esperienze. Lo provava la forza del suo risentimento, che da osservare era splendida ed enigmatica come un fuoco fatuo.
Infatti avrebbe perdonato qualsiasi cosa.
C'era da dire che se Evey era dipendente dalla colpa che riversava sugli altri, Kedavra si drogava di quella che gli altri riversavano su di lei. In quel senso, erano due pezzi complementari dello stesso puzzle. Due pezzi che si incastravano benissimo.
(Questo aveva visto quel giorno, nell'Ufficio.)
Non aveva davvero importanza che Evey riallacciasse i rapporti con chiunque le avesse pestato i piedi, che ne approfittasse per immagazzinare nella sua memoria drammatica eccezionali ricongiungimenti e nuove ostilità con una data di scadenza molto vicina. Importava che al momento presente lei fosse il negativo di Mandy, uno dei simboli del suo fallimento.
Che combinazione.
Ora, Evey si lanciava in un sadismo acrobatico che assumeva perfettamente senso con la sua cornice esteriore, ma si contraddiceva subito dopo. Come poteva il senso di colpa distruggere Kedavra se la Preside non era in grado di provarlo?
Evey, deciditi.
Jelonek mosse la testa come per annuire, ma era più interessato a guardarla negli occhi. Tutto, in lei, era così... instabile. Nulla sembrava definitivo. Tutto era costantemente in discussione, persino la tragedia. Persino il trauma.
Una tabula rasa, un foglio pronto a tornare bianco e integro su richiesta degli altri, indipendentemente dalle macchie, dagli sputi, dal sangue e dagli strappi che aveva ricevuto.
(Come è accaduto alla tua memoria, grazie a quelle Brave Bacchette. Quando hai scoperto quanto quel bianco potesse essere accecante e quel vuoto potesse riempirsi rapidamente di demoni.)
"Cosa fai sabato sera?"
"Non so, tu hai da fare? Potremmo litigare. Sai, per movimentare un po' la settimana dopo E il sabato dopo, quando dovrei avere un momento libero per perdonarti."

Avrebbe dovuto prendere esempio da lei? Correre sotto il sole tenendo per mano i suoi carcerieri, guardare Eloise fare la ruota e l'Uomo Simpatico le capriole giù per la collina e l'Uomo Silenzioso leggere un libro di barzellette sotto un albero con una spiga di grano tra le labbra? Tutto questo mentre Mandy, con un vestito a campana e pois rossi, stendeva la tovaglia da picnic?
Jelonek sorrise. Il sorriso che manda la zucca di Halloween dal fondo del bidone della spazzatura, il primo di novembre.

-Con il tempo ti annoierà- disse, più con rassegnazione che con consapevolezza -Ti accorgerai che non serve a niente. Se il rimorso servisse davvero a qualcosa, non avremmo più persone che fanno del male ad altre-

Le dita si strinsero sulle sue come se si trattasse di un gesto naturale, come se volesse semplicemente aiutarla a non girarsi quell'anello, a rimanere in quella Stanza ancora un poco, quel tanto che bastava perché si rendesse conto che non era reale. Nulla era reale adesso, quando ormai quel momento era passato, ora che le ferite erano diventate cicatrici. Il dolore era vero, ma solo fintantoché lei lo infliggeva, finché accoglieva il sapore vermiglio nella sua bocca avida.
(L'anima non si ammala, indipendentemente da quello che dicono i romanzi.)
E lei sarebbe tornata a sferzare, a mutilare, a distruggere. Perché il senso di colpa era un'invenzione stupida, cui si potevano aggrappare soltanto i disperati che credevano di averne bisogno per poter fare quello che volevano.

-Non ti serve. Non ti servirà. Non quando avrai imparato a sostituirlo-

Il suo pollice destro le accarezzò il dorso della mano, che intanto si faceva più calda, al sicuro tra le sue.
Sarò io a insegnartelo. Insieme a un sacco di altre cose.

It all comes to nothing
In the scheme of things



J. F.
 
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view post Posted on 3/12/2013, 01:18
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Rimase in silenzio e continuò a guardare il pavimento senza vederlo, di nuovo circondata dalla sensazione di disagio e confusione che la coglieva ogni volta che parlavano di quello. Evey sentiva di avere molte cose a cui aggrapparsi, così tante emozioni da non riuscire a contarle. Rabbia, risentimento, nostalgia, malinconia, terrore, frustrazione, impotenza, orrore... Tutte si accendevano dentro di lei, nauseandola, facendole venire voglia solo di dormire, chiudere gli occhi e non pensare più a niente.
Mettere fine a tutto questo.
Anche la mano di Jelonek, che la stringeva, sembrava così surreale, così distante da non essere vera. Specie se le impediva di torcere quel dannato anello, che Evey aveva un bisogno disperato di sentire sotto le proprie dita, perchè intorno alla pelle non bastava. Ma Jelonek glielo impediva, voleva che... che cosa voleva? Voleva che si aggrappasse a qualcos'altro. Ma Evey non sapeva nemmeno da che parte voltarsi, camminava nel buio senza sapere quando il pavimento sarebbe finito, senza avere una benchè minima possibilità di tornare indietro perchè la pietra alle sue spalle si sgretolava, franandole quasi sotto i piedi, imponendole di accelerare il passo verso l'ignoto.
- Come si fa? - mormorò quindi, incapace di mantenere il tono distaccato e furioso di poco prima. Ora era solamente... stanca. Voleva voltare pagina ma non ci riusciva, la pergamena del suo libro era incollata alla facciata successiva e non poteva sperare di staccarla senza strappare la carta, senza strappare se stessa. Era in trappola, continuava ad essere in trappola e nessuno poteva farci niente.
Alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi: se lui sapeva come fare, se era a conoscenza di un metodo, Evey avrebbe dato qualsiasi cosa per imparare. Imparare a distaccarsi, a non pensarci più, a superare tutto questo. Jelonek aveva passato cose ben peggiori di lei, eppure... era strano, si, le targhette alle sue spalle continuavano a sussurrarle che qualcosa in lui era estremamente pericoloso, ma sembrava in pace. Sembrava sapere quello che voleva e come affrontarlo, a differenza sua. Com'era uscito da quel tunnel?
Non è uscito, ricordi? E' rinchiuso, come te. Lo hai visto prima, quando gli hai coperto gli occhi con le mani.
Ricambiò le attenzioni delle sue dita, il pollice che incontrava il pollice e ne sfiorava il dorso, la presa della mano che aumentava con sregolata timidezza, ora facendosi più forte, ora allentandosi come se temesse di ferirlo.
Perchè è questo che temi, non è vero? Ferire anche lui. Allontanarlo senza nemmeno rendertene conto.
Perdere lui come hai perso gli altri. Come hai perduto te stessa.

In my heart I still hope you will open the door
You can purify it all, answer my call


Con che cosa avrebbe dovuto sostituire quel rimorso? Ogni singola cellula di lei bruciava per la colpa, ogni momento della giornata, divampando quando il pensiero le tornava ai propri denti, gocciolanti di sangue, alla gola che ardeva dal desiderio, alle unghie che si conficcavano nella carne come fossero artigli. Come poteva sostituire una sensazione del genere? Era l'unico modo in cui aveva sempre reagito a ciò a cui aveva fatto. Quello o scappare. Non sapeva fare altro, non aveva mai nemmeno pensato che potesse esserci altro.
- Insegnami... - mormorò, abbassando lo sguardo sull'intreccio delle loro mani, stanca, non riuscendo, per qualche ignoto motivo, a guardarlo in volto. Sapeva che lui aveva visto tutte le domande che le ronzavano in testa, occupandole la mente in quel modo così fastidioso. Evey non poteva fare nulla, non da sola, non così. Lui aveva detto che l'avrebbe aiutata, lui poteva fare qualcosa. Lui...

In my heart I still hope you will open the door
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view post Posted on 3/12/2013, 03:13
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In decadence I take thee by the hand
Too frail... to gain the promised land



Con ogni minuto che passava, Jelonek si sentiva sempre più come un bambino a cui fosse stata data una pistola. O una bacchetta. Trattenersi dal giocherellarci era più o meno impossibile.
Talvolta le persone che sapevano di lui, di quello che poteva fare, evitavano di guardarlo, o gli impedivano di scrutare nelle loro menti in altri modi; oppure si rifiutavano di rivolgergli la parola. Nel complesso, la maggior parte di coloro che attraversavano la sua strada erano accessibili tramite due vie: quella verbale e quella legilimantica, gentilmente offerta dalla sua Indolente Compagna. Questa storia del contatto fisico era qualcosa che... lo incuriosiva. Quando era piccolo - ricordi macchiati dal tempo, anneriti dall'oblio - sua madre usava bendarlo. Era stato molto prima che lui sviluppasse la sua Legilimanzia, che scoprisse quanto era maledetto speciale, quindi non c'era alcun sanguinoso collegamento con quanto era successo nel periodo della Cella Grigia. No, laggiù erano in pieno Prima Di, e lui lo trovava divertente. Lei ripescava tre oggetti dalla sua camera, in genere dei giocattoli, e gli dava un minuto per manipolarli, rigirandoseli tra le dita. "Indovina Cosa". Alla fine, doveva indovinare esattamente cosa fossero, e se ne azzeccava almeno due su tre, aveva diritto a una tavoletta di cioccolato.
(Un Prima Di così lontano fa quasi male. Non pensarci più.)
Il tatto era diventato il suo senso preferito. In tutti quegli anni, però, nel suo Dopo che ancora continuava, aveva toccato pavimenti di pietra, muri umidi, lembi di pelle che si staccavano, buchi nei vestiti... raramente si era ritrovato a toccare un altro essere umano. Quella era una terza via di accesso a Evey Atkinson, la più intrigante, perché lì si trovavano ad armi pari; si incontravano a metà strada. Non si era mai ricordato cosa significasse un contatto simile, perché non serbava veri ricordi in cui fosse successo... in quel modo.
Talvolta riusciva a concentrarsi su tutto il resto pensando che fosse solo un po' di pelle calda. Talvolta, il bisogno che avvertiva attraverso quella barriera di epitelio rosa e vibrante lo...
[distraeva]
Continuava a guardare, a vorticare con i pensieri intorno a quella superficie di congiunzione, che diventava quasi una superficie condivisa, due facce della stessa medaglia. Proseguiva nel suo studio, come un indigeno che ammira per la prima volta il proprio riflesso nel frammento di specchio che gli hanno porto gli esploratori.
(Che cosa vedi?)
Nulla. Non c'è niente, qui. Non finché ci sono io.
Una risposta. Era questo ciò che lei gli chiedeva gridando, cavalcando l'eco corale che proveniva dalle targhette della Sala Trofei.
Una risposta, quando lui aveva soltanto qualche spiegazzato asso nella manica.

-Ci vorrà del tempo- dichiarò, la voce ferma, gli occhi ancora distratti da quell'insolita richiesta di aiuto, così corporea, così nuova.

Le sue labbra vennero stuzzicate da un sorriso, come una corda di violino da un musicista pigro e non troppo capace.

-Perché non lasci un vuoto, dietro... ci vorranno... molte gite in barca. Molte violazioni del coprifuoco. Molte torte in faccia-

Solo allora, Jelonek si accorse che il movimento del pollice di lei sul suo lo aveva assuefatto, quasi ipnotizzato, e risollevò lo sguardo sul suo viso. Era davvero l'ultima persona che potesse regalare speranze, vere o fittizie che fossero. Ma la speranza non era ciò che Evey Atkinson ricercava in lui. Non lo era mai stato.

-Ce la farai. Ce la faremo-

Quelle parole gli erano uscite da sole dalle labbra, precipitandosi fuori prima che lui potesse sentirne il sapore. Nessun retrogusto acre di menzogna, nessun rancidume di inganno.
(Perché stai imparando.)
Era questo, quindi? La risposta della sua pelle al tocco di lei era questo? Stava imparando?
(Certo che sì. Puoi esserne certo. Del resto, non potrebbe essere nient'altro, non con te.)
Non con lui.

Too frail... to take your pain away
Too frail... a sequel of decay



J. F.

Edited by J. F. - 4/12/2013, 07:35
 
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view post Posted on 4/12/2013, 05:17
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Si chiese se non fosse davvero quello che voleva.
Quante volte aveva desiderato non provare nulla? Riuscire a farsi scivolare addosso tutto quanto, non curarsi affatto di dove si trovasse, con chi parlasse, chi guardasse e chi la guardasse... Riuscire a dormire almeno una notte senza svegliarsi di soprassalto, rimanere neutrale e distaccata da tutto e da tutti, come se non appartenesse affatto a quel mondo. Un'entità esterna priva di emozioni che non si legava e non soffriva, ricordava senza fare nulla. Non le sembrava così brutta come prospettiva. Un vuoto.
- Sarebbe così terribile? Il vuoto? - mormorò, le sopracciglia appena corrugate, mentre abbassava di nuovo lo sguardo sull'intreccio delle loro dita, le quali continuavano a stringersi e carezzarsi le une con le altre.
Non sentire nulla, non provare nulla. Niente rabbia, niente rimorso, niente tristezza.
Niente calore, niente farfalle nello stomaco quando le dita di lui la sfioravano.
Niente targhette di cui ascoltare i pianti ed i lamenti.
Sollevò di nuovo lo sguardo; era tanto abituata a guardarlo da non porsi nemmeno più il problema del contatto visivo, tanto sapeva che lui avrebbe visto tutto comunque quelle rare volte qualora Evey avesse fatto più attenzione ad incrociare il suo sguardo. A lei piaceva guardarlo, gli piaceva il suo viso e l'idea che bastasse una sola occhiata per fargli capire cosa pensasse di una certa situazione. Di sicuro, a volte, non le sarebbe dispiaciuto sapersi schermare dalla sua capacità, ma, in percentuale, quelle volte erano irreversibilmente inferiori.
- Niente torte in faccia. - si impose a bassa voce, gli occhi appena stretti nella severità di quell'affermazione. Non capiva proprio il feticismo di Jelonek per quell'atto: bisognava evitare di sprecare il cibo, Evey era assolutamente concorde su questo. Limitare gli sprechi.
Con un lieve sorriso, abbassò di nuovo lo sguardo, dopo avergli sfiorato la guancia con la propria in un tocco leggero, quasi casuale. Il suo tono era incoraggiante, spontaneo, le sue parole la scaldavano, ricacciavano il freddo. La presa sulla sua mano aumentò la sua forza, quel tanto che bastava ad Evey per trasmettergli tutto ciò che in quel momento il suo sguardo, abbassato, non avrebbe potuto.

Ti farò un indovinello.
Perché voglio aiutarti
Stai aspettando un treno.
Ce la farai.
Un treno che ti porterà molto lontano.
Ce la faremo.
Sai dove speri che questo treno ti porti...


- Vorrei essere così sicura anche io. -
Evey non dubitava della sua causa, dell'idea che la muoveva. Ma non poteva evitare di dubitare di se stessa, della forza del suo braccio, della bacchetta che reggeva. Non poteva non dubitare del tormento che la dilaniava in modo costante, anche quando si illudeva di non pensarci; era quel tormento che la conduceva sull'orlo del baratro, mostrandole quanto fosse facile vacillare, cadere verso la rovina, arrendersi, disperarsi.
Alzò di nuovo lo sguardo: aveva deciso di fidarsi di lui, nonostante i suoi stessi avvertimenti. Nonostante quelle parole, Evey si sentiva sollevata, sicura, come se quelle dita che la stringevano la trattenessero dal guardare oltre l'orlo dell'abisso, salvandola dalle fiamme e dalla lava. O almeno era ciò che credeva, nonostante le urla delle targhette alle sue spalle.
 
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view post Posted on 5/12/2013, 20:53
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Indovina Cosa.
Una guancia. Una guancia contro la sua. Ma così non valeva: aveva gli occhi bene aperti. Era già successo alla Foresta Proibita, era già successo sul Lago Nero, ma si trattava di pochi granelli colorati in una grande clessidra riempita di sabbia nera. La sua memoria sembrava incapace di includere quei fuggevoli, microscopici frammenti di esistenza, perché erano troppo dissimili dagli altri, troppo piccoli. Li spogliava di significato per mimetizzarli in quella melma informe ed era poi impossibile distinguerli, in mezzo alla spazzatura. Così, era sempre come la prima volta, la prima riga di un capitolo breve, quello che doveva essere un intermezzo.
E ora, una domanda sul vuoto, posta proprio alla persona giusta, proprio nel momento sbagliato.
(Li spogliava di significato per mimetizzarli. Li hai spogliati di significato? Non significa niente, vero?)
È solo questione di abitudine. Se diventasse qualcosa di quotidiano, non ti importerebbe più. Come è capitato con il dolore.
Assumendo che dolore e [calore?] funzionino allo stesso modo.
Inutile complicarsi troppo la vita. Tutto poteva ridursi a elementi molto semplici, molto comprensibili, molto misurabili. Era questo che aveva imparato Là Dentro, no?
E ora, quella domanda sul vuoto, posta proprio alla persona giusta. Uno di quei casi in cui la verità

-Non sei destinata al vuoto- ribatté, scuotendo appena la testa, senza interrompere quel contatto essenziale, come sapeva fosse giusto fare -Nessuno lo è. Non è quello che vuoi davvero-

Perché non è umano.
Non la poteva biasimare per avere accarezzato quel desiderio. Capitava a tutti, a un certo punto. Raramente a qualcuno capitava di realizzarlo, e quando succedeva diventava uno di quei rimpianti che ti fanno strappare la pelle con le unghie; sebbene di solito fosse inevitabile, fosse scritto da qualche parte nel futuro, impossibile da scansare, quindi non imputabile come una propria colpa. Alcuni erano segnati dalla nascita per scivolare verso quel destino. O magari era l'avere conservato come sogno un tale incubo a indirizzarti verso quell'agonia.
Evey Atkinson sembrava tra quelli. Coloro che potevano contare su un avvenire certo fino al giorno prima, solo per diventare a loro volta delle disgrazie annunciate.
Erano seduti abbastanza vicini perché lui le raggiungesse il viso a sua volta, senza separarsi da lei. Toccare ed essere toccati. Due granelli di sabbia colorati, dispersi nella sua grande Clessidra degli Orrori. Le sfiorò la guancia, poi quei capelli scuri che riflettevano ricordi così ripetuti nel tempo da essere diventati quotidiani, vicini, anche quando non si era mai trovato così lontano da loro.
(Sei di nuovo qui, a Hogwarts. Di nuovo in questa stanza. Non indossi una divisa, ma non è questo ciò che è così diverso, vero?)
No. I miei occhi sono diversi. Le mie mani. Le mie intenzioni.

-Niente torte in faccia?- si ritrasse appena, abbassando lo sguardo su di lei, dalle labbra agli occhi, nell'espressione un brillio giocoso -Questo è da vedere. È da vedere se tu abbia alcuna voce in capitolo-

Si stirò il pastrano, prima di togliervi un immaginario granello di polvere.

-Sono un Professore, signorina Everdeeninson. Ogni tanto faresti bene a ricordartelo- agitò un dito ammonitore, le sopracciglia corrugate molto severamente.

Non poteva prevedere il futuro, ma una cosa era sicura [Indovina Cosa]. La strada di Evey Atkinson era costellata di torte.
(Non sei l'unico a essere disarmato rispetto a quello che sta succedendo qui.)
E sulla sua guancia permaneva il calore sbagliato della pelle di lei, come il dolce crepitio dei nervi dopo un'ustione - perché era come il dolore.

J. F.

Edited by J. F. - 6/12/2013, 02:59
 
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