//Notte 437. Qualche tempo dopo gli Interrogatori.I have never wished you dead
Yet.
-... mi sono presentata, con il mio nome e il mio ruolo. Poi gli ho chiesto...
Una bacchetta saettò nell'aria, atterrando in un movimento elastico con un rumore di legno su nocche. La voce di Kedavra si interruppe in una breve imprecazione. J. F. risollevò la bacchetta, rimettendola in posizione, pronta a colpire di nuovo. Se qualcuno fosse entrato in quel momento e avesse visto la Preside di Hogwarts con le mani stese sulla scrivania come una scolaretta degli anni Cinquanta, la sua reputazione ne avrebbe risentito. Ma nessuno veniva nel suo Ufficio alle - il suo sguardo vagò verso la pendola, furtivo, anche se Jelonek non voleva - tre e quarantasette del mattino. Quello era uno dei motivi per cui aveva detto a Jelonek di venire a quell'orario. Qualcosa come sei ore prima, in effetti. I suoi ultimi, imperdonabili errori lo avevano persuaso a dare inizio alla prima sessione di Deframmentazione di quella lezione, e per il Legilimens quel tipo di esercizio non esisteva se deprivato del cosiddetto Indirizzamento. Kedavra gli aveva chiesto più volte se l'Indirizzamento dovesse per forza includere punizioni corporali in caso di errori (il che le sembrava privo di basi teoriche difendibili) ma lui l'aveva sfidata a guardarlo negli occhi e trovare la risposta da sola. Quello era il punto in cui si arenava sempre la sua voglia di protestare. Ovviamente, Jelonek lo sapeva bene.
-Il discorso diretto, Mandy. Le parole precise.
Era seduto al lato opposto della sua scrivania, la schiena piegata in avanti in modo da raggiungere meglio le sue mani stese. Lei si era rifiutata di consegnargli la sua bacchetta, naturalmente: non aveva alcuna intenzione di vederlo appiccare fuoco alle sue scartoffie per un movimento troppo brusco, così gliene aveva data una rotta, che giaceva nell'ultimo cassetto del suo scrittoio da tempo immemore. Il disappunto di non averla disarmata era stato ben presto sostituito dal compiacimento di poter infierire sulle sue nocche. "Il dolore funziona meglio dei ricordi. Il corpo ricorda meglio della mente", era stata la sua giustificazione, ma non era bastata a liberarla dall'idea che la stesse prendendo in giro. Oltre a questo, qualcosa in lei si ribellava all'idea di fargli intendere che lui fosse in grado di ferirla. Le sue dita ne stavano facendo le spese.
In ogni caso, le bacchettate contribuivano a tenerla sveglia. E a farla imbestialire.
I suoi occhi si assottigliarono mentre li rivolgeva a lui. Ogni dettaglio del suo aspetto incendiava il suo umore, dai suoi capelli puliti e il loro vago effluvio di violette, alla camicia larga bianca decorata con disgustosi cuoricini rossi, fino a Trismegisto, appollaiato sulla spalla di lui, intento a osservare la scena con un brillio sadico nelle pupille gialle. Poteva essere il gatto più docile del mondo quando erano da soli, ma il Legilimens sembrava dotato del potere di corromperlo. Insieme a quest'ultimo, il felino alternava lo sguardo tra la pergamena con la trascrizione dell'Interrogatorio di August Booth, prelevata dagli archivi del Quartier Generale per la stesura di un rapporto che giaceva da qualche parte, incompiuto, e la sua padrona, che si mordeva la lingua per trattenere invettive e si stiracchiava le dita quando credeva di non essere vista.
-Era... era pomeriggio inoltrato.
Abbassò la testa. Sollevò una mano per massaggiarsi la tempia. Cercava di ricordare. Aveva una vaga immagine di come Booth fosse vestito ed era certa di sapere rievocare le risposte che le aveva fornito, ma non era ciò che interessava a Jelonek. La Deframmentazione doveva, per utilizzare il gergo semplicistico del Legilimens, "pulirle il cervello", per farla esercitare più lucidamente. I ricordi erano in continua rielaborazione in un flusso infinito e costante di informazioni. Per poter usufruire della propria mente, avrebbe dovuto purgare i pensieri attuali di ogni inquinamento passato, riordinarli.
Scosse il capo. Fece per chiudere gli occhi, ma Jelonek la bacchettò di nuovo, strappandole un grugnito. Doveva sempre essergli accessibile. Piantò lo sguardo nel suo, trattenendo un sospiro di frustrazione: -No... no, era mattina. Gli ho detto "buongiorno".
Vide la bacchetta alzarsi di nuovo e si corresse: -"Buongiorno, August."
Il Legilimens non parve impressionato. Scambiò un'occhiata d'intesa con Trismegisto, quindi alzò le spalle.
-Hai tirato a indovinare. Continua.
Kedavra si stiracchiò le rughe meditabonde che le tagliavano la fronte. Questa volta, fece attenzione a non distogliere lo sguardo da Jelonek mentre parlava, cercando di suonare sicura: -Mi sono presentata, ho fatto... mmm... un riferimento al ruolo con cui è più familiare.
-Questo è quello che faresti, Mandy, ma non mi importano le tue tecniche d'Interrogatorio. Che, tra l'altro, non funzionano.
-E cosa potresti saperne,
tu?
-Non stai ricordando. Stai ipotizzando. Non stai ricordando, non stai
sentendo.
La Preside si morse il labbro. Continuò a fissare Jelonek, cercando di vedere al di là del grigiore spento dei suoi occhi. Cercò di risentire la propria voce, così come era risuonata quella mattina di qualche settimana prima, nella Sala Interrogatori numero cinque, ma non si trattava di una voce singola. Nella sua mente risuonava un coro di saluti tutti uguali. Tentò, non volendo prolungare il silenzio.
-"Mi conosci come la Preside Kedavra."
Bacchettata. Un flash di dolore, l'impressione che un primo strato di pelle si fosse staccato contro il legno. Non cedette. Doveva pensare a quello che aveva detto quel giorno.
-"Mi conosci come Kedavra Mandylion. Dirigo il tuo Interrogatorio. Questo è... il professor Fedoryen, il nostro Collaboratore est..."
Jelonek fece per abbassare la bacchetta, ma Kedavra ritrasse la mano e balzò in piedi. Trismegisto mutò la sua espressione da truce a incuriosita.
-Non posso ricordarmi parola per parola quello che ho detto, Jelonek. Ho diretto decine di Interrogatori in quei giorni.
Ora che si trovava eretta davanti a lui, era irritata. Era saltata in piedi quasi istintivamente, ma era stata soltanto la stanchezza ad averle impedito di reprimere quell'impulso. Non stavano andando da nessuna parte. Aveva bisogno di una pausa, ma aveva vissuto abbastanza lezioni con Jelonek da sapere che lui non gliel'avrebbe mai concessa. Una mente indebolita è facilmente accessibile, ed è generalmente incapace di usare la Legilimanzia in maniera efficace. Lui lo sapeva, e amava approfittarne. Il suo tornaconto era proprio quello, il motivo per cui si mostrava integerrimo e severo quando vestiva il ruolo del maestro. Gli piaceva vedere fino a che punto l'avrebbe spinta il suo orgoglio. Quanto sarebbe riuscita a sopportare.
-Hai
trascinato anche me in decine di Interrogatori in quei giorni. - fece notare lui, accarezzando Trismegisto con la sua mano umana. Il Tracciatore era abbandonato sulla sua coscia. Kedavra evitava di guardarlo direttamente; le ricordava la scena di Morgenthal che gli mozzava centimetri di polso appena guarito per saldarglielo con i suoi Incantesimi e quell'immagine le stringeva lo stomaco. Cercò di non distrarsi mentre Jelonek continuava a parlare, la voce che si faceva melliflua.
-Io c'ero e non hai detto sempre le stesse cose, Mandy. Quello che hai detto in quell'Interrogatorio è solo uno dei tanti ricordi che ti girano per la testa. Si mischiano con gli altri. Interferiscono con quello che devi fare. Siediti e guardami.
Kedavra rimase in piedi. Non gli avrebbe chiesto una pausa, ma lui non aveva modo di rimetterla al lavoro subito, se se la fosse presa comunque. Agitò la propria bacchetta e mise a bollire dell'acqua. Gettò poi un'occhiata alla sua mano destra. Come sospettava, le nocche erano spellate e vi emergeva la carne viva, con qualche goccia di sangue. Gliele mostrò in un gesto piccato.
-Soddisfatto? Non sta funzionando. L'Indirizzamento o come lo chiami. - lo provocò, prima di abbandonarsi di nuovo sullo scranno dietro la scrivania. Era raro che non sedesse composta, ma in quel momento si accasciò sullo schienale imbottito quasi senza pensarci. Non sapeva quando avesse iniziato a sentirsi tanto a suo agio con lui. Ma trovarsi per ore chiusi nella stessa stanza mentre il resto del castello dormiva, ogni giorno, per mesi, doveva averci qualcosa a che fare.
Quando da Jelonek non giunse alcuna risposta, lo guardò di sottecchi. Ciò che vide le ricordò qualcos'altro degli estenuanti giorni degli Interrogatori. Aveva notato, in lui, un atteggiamento diverso. Si era fatto schivo, per lo più silenzioso; la seguiva passivamente e non sembrava smaniare per farle intuire di avere compreso la verità prima di lei quando un Interrogato rispondeva. Quando le loro lezioni erano riprese, aveva avuto modo di credere che si fosse immaginata tutto. Lui non aveva niente di diverso: era sempre sarcastico, brutale e inflessibile, come era sempre stato da quando lo aveva chiamato a Hogwarts. Aveva quindi accantonato la questione. Ma ora, vedendolo per un attimo con lo sguardo basso e vacuo, piombato in un improvviso silenzio, fu costretta a ripensarci.
Se gli avesse fatto una domanda diretta, lui l'avrebbe sfidata a usare la Legilimanzia. Inevitabilmente, lei avrebbe fallito di nuovo. Così, non disse nulla. Quando l'acqua fu abbastanza calda, Evocò uno straccio pulito e lo intinse. Alzò la manica dell'abito mentre tamponava le ferite, ottenendo immediato sollievo. Si godette la sensazione per qualche minuto, prima di accorgersi che gli occhi di Jelonek si erano sollevati ed erano fissi sulla sua mano. Seguendo il suo sguardo, Kedavra capì cosa aveva attirato la sua attenzione.
Appena sopra le linee delle vene, correvano lungo tutta la circonferenza del polso dei piccoli affossamenti rotondi nella pelle. La Preside non fece nulla per coprirli. Non solo era troppo tardi, ma sapeva che il Dono di Jelonek lo aveva già reso a parte della loro origine nel momento in cui si erano rivisti per la prima volta.
-Imothep. Erano manette. - minimizzò, scrollandosi le spalle -Avevano delle punte rivolte verso l'interno. Ero legata al muro, nel posto in cui mi teneva. Gliel'abbiamo fatta pagare. È successo... molti anni fa.
L'aggiunta fu precipitosa, e se ne accorse anche lei. Ora, gli occhi di Jelonek erano tornati nei suoi. Aveva un'espressione strana. Per un po' non disse nulla, anche se le sue labbra scarne erano stirate. Poi, grattò Trismegisto dietro le orecchie. Quando il gatto prese a fare le fusa, parlò con noncuranza.
-Me lo avevano detto. A Nurmengard. Be', non lo avevano
proprio detto. Ma avevano letto un giornale che aveva quella notizia in prima pagina. O forse seconda. Laggiù non sei così importante.
Kedavra si accorse che la sua espressione non era affatto difficile da decodificare. In realtà, il sorriso del Legilimens era sinceramente divertito. Non si scompose mentre lui continuava:
-"La Preside Mandylion rapita da un mago oscuro. O Mangiamorte. O mezzo-demone"? E cos'è un mezzo-demone, esattamente? Tutti si erano mossi per salvarla. Anche qualche studente -- alcune cose non cambiano mai. Non potevo leggere giornali, laggiù, ma potevo leggere quelli che li leggevano. E l'aveva letto uno di loro prima di colazione. Prima che venisse a portarmi la
mia colazione, se sai cosa intendo, eheh.
Sotto la barba sfatta, il suo collo venne scosso da una risata sorniona. Kedavra lo guardò senza dire nulla. Il suo rapimento a opera di Imothep, avvenuto tanti anni prima, non era certo uno dei suoi argomenti di conversazione preferiti, eppure non si poteva dire la stessa cosa del periodo che lui aveva passato rinchiuso a Nurmengard. Non avevano mai affrontato il discorso - lui aveva davvero intenzione di parlarne
ora? - e lei era sicura che fosse perché sapeva esattamente che cosa gli avrebbe detto, come avrebbe liquidato qualsiasi sua accusa.
Perché mi accuseresti, vero?(
Ti sei preparata giustificazioni per anni. )
Non ne avevano parlato perché lei non poteva avere colpe se lui era impazzito e aveva...
fatto quello che aveva fatto, in giro per l'Europa. E di certo non le avrebbe rinfacciato di averlo abbandonato: non erano più due ragazzini, anche se talvolta Jelonek le sembrava
(bloccato a quell'età in cui)
comportarsi come un bambino.
Tuttavia, non la stava schernendo perché aveva interrotto la loro lezione, o perché si stava tamponando le nocche, dimostrando di aver sentito dolore. Questo la preoccupava molto di più del suo sorriso storto.
Trismegisto interruppe le fusa, tirò fuori le unghie e saltò giù. Jelonek si raddrizzò sulla sedia, guardandola. Batté piano le ciglia, e Kedavra si accorse di non averlo mai visto tanto spossato. Non era da lui accusare sonno - era sempre pronto a sbeffeggiare i suoi sbadigli, piuttosto - ma in quel momento le sembrò distrutto.
-Forse dovresti andare a casa. - osservò con distacco, accennando alle sue occhiaie.
-Non voglio andare a casa.
La risposta era stata secca. Spesso lui le rispondeva così rapidamente che iniziava a parlare prima che ancora lei avesse finito. Vedeva nei suoi occhi quello che stava per dirgli, naturalmente. Il sorriso di Jelonek era scomparso. Al suo posto c'era uno sguardo che Kedavra non riuscì a capire.
Non aveva mai avuto difficoltà a inquadrare le persone. Anni di pratica di Interrogatori le avevano insegnato a distinguere le menzogne, la paura, l'ambiguità, la sopportazione. Ma non si era mai trovata a dover decifrare Jelonek, al di là delle loro Sessioni di Sguardi, da cui cercava semplicemente di estrapolare i suoi pensieri. Sul resto aveva volontariamente scelto di indossare paraocchi. Non doveva importarle. Appena si fosse interessata a lui, Jelonek avrebbe creduto di avere ragione.
Per la prima volta, però, si trovò a pensare agli effetti che la Notte Nera doveva avere sortito su di lui. Non sembrava avere subito alcun trauma dopo la Notte Rossa, in cui aveva perso un arto, dove era annegato insieme a lei. Aveva sofferto, all'Ufficio Misteri, come tutti. Ricordava cosa aveva provato osservando quell'esplosione che lo aveva fatto precipitare nel buio, in una caduta di decine di metri da cui era certa non sarebbe sopravvissuto. Per quello che le pareva di ricordare, non sembrava turbato più degli altri quando lo aveva incontrato nel Labirinto e lui l'aveva issata sul cornicione. Si era reso utile. E una volta nella Stanza degli Specchi...
"Credo che qualcuno qui dentro esiterebbe eccome ad attaccarmi. A meno che non nasconda un coltello in tasca."
Era stato Falconer a dirlo, durante il suo Interrogatorio, guardando con insistenza Jelonek. La sua allusione era chiara, e Kedavra si era imposta di non darvi peso. Senza che potesse evitarlo, sentì le costole che erano state colpite dalle pugnalate mandare una fitta.
-Falconer ha accennato al fatto che possa essere stato tu ad accoltellarmi, là dentro. - disse lentamente, fissandolo negli occhi come lui le aveva insegnato.
Jelonek inclinò la testa da un lato in un movimento misurato, come se stesse assistendo a uno strano fenomeno, ma non parlò. Le sue labbra si incurvarono leggermente.
-Lo credi possibile? - lo incalzò, sollevando le sopracciglia.
Il Legilimens scrollò le spalle e diede in una vaga risata: -Se fosse avanzato uno di quei mantelli o una maschera da Mangiamorte, me li sarei tenuti. Halloween si avvicina.
-Jelonek.
Solo un'altra volta il suo nome era stato pronunciato in quel modo, lì dentro. Era stato la sera in cui lui era tornato a Hogwarts. Kedavra sostenne il brillio nel suo sguardo e provò a usare la Legilimanzia su di lui, con scarsi risultati. Desiderava troppo quella risposta, e quel desiderio le era di intralcio. Lui sorrise apertamente al suo tentativo, prima di aggrapparsi alla scrivania e spingere la sedia all'indietro, rimanendo in equilibrio sulle gambe posteriori.
-Quelli che sono stati sotto il controllo del Burattinaio non ricordano quello che hanno fatto.
-
Tu ricordi quello che hai fatto lì dentro? Sarebbe l'unico modo per escluderlo. - inquisì Kedavra. Non riusciva a capire se lui si stesse comportando così solo per attirare la sua attenzione o se davvero stesse nascondendo qualcosa. Quel che era peggio, era che quel dubbio sembrava divertirlo.
-La mia... memoria non funziona più come dovrebbe. - scandì lui, dondolandosi sulla sedia con un sorriso tirato -Un'altra delle cortesie di Nurmengard, oltre ai giornali gratis.
La Preside sbuffò, alzando gli occhi al cielo: -Di cosa stai parlando?
-Diciamo solo che non ho avuto una spedizione di salvataggio. E l'unica persona a cui ho scritto in quegli anni era troppo occupata a...
Questa volta, fu Kedavra a ridere. Sciolse la tensione che le attanagliava lo stomaco, facendole irrigidire le giunture. Era troppo presa a lasciarsi andare per accorgersi che Jelonek aveva smesso di sorridere. Quando lo realizzò, non gli diede importanza.
-Occupata a fare cosa, Jelonek? - sollevò le sopracciglia, spronandolo con un gesto della mano -A dirigere Hogwarts? A seguire l'addestramento per Auror? Oppure a
sposarmi e ad
avere figli? Quale di queste è la colpa di cui mi sarei macchiata? E quale di queste cose ti ha spinto a vagabondare per l'Europa a ubriacarti e giocare d'azzardo? Come ho fatto, da qui, a costringerti a usare la Legilimanzia per mettere sul lastrico i Babbani con cui hai giocato a carte in qualche bisca clandestina, e farti arrestare per questo? Avanti. Parliamone.
Il suo cuore si agitava nel petto più di quanto avrebbe voluto, ma la sua mente era più sgombra di come non lo fosse stata dopo uno qualsiasi dei suoi Indirizzamenti. Lo fissò negli occhi, sfidandolo a parlare. Non aveva senso continuare in quel modo. Sentirlo blaterare di Nurmengard in ogni occasione, vederlo perdersi con quell'espressione vuota sul volto. Lo guardò, ora, senza battere ciglio. Lui poteva percepire la sua agitazione, poteva immergersi nella sua rabbia, e in quel momento Kedavra non voleva altro. Ne aveva avuto abbastanza.
Jelonek atterrò in avanti, tornando ad appoggiarsi con tutte e quattro le gambe della sedia. Alzò il mento e per qualche attimo sembrò che la sua lingua giocherellasse con l'interno delle guance nella bocca chiusa. Non era alterato. Kedavra, del resto, aveva smesso di aspettarsi da lui una qualsivoglia reazione normale.
-Vivo con Evey, adesso.
Lo disse con un tono così assurdamente tranquillo, con una serenità così fuori luogo, che il senso di quelle parole non penetrò immediatamente nella coscienza di Kedavra.
-Di cosa...
-Vivo con Evey, già da qualche tempo, a dire il vero. - il Tracciatore prese a strappare piccoli triangolini di pergamena dal documento dell'Interrogatorio di August Booth -Credo che lo sappiano un po' tutti. In effetti, la maggior parte dei nostri vicini di casa lavora qui, al castello. Edward è stato uno dei primi a saperlo. E Sesy Riddle. Non è bene non tenersi aggiornati con la Gazzetta, Mandy. - indicò una pila di quotidiani non ancora aperti, legati con un filo di spago in uno degli angoli in cui venivano accatastate le cose di cui non aveva tempo di occuparsi. La Preside lo fissava ammutolita, e con ogni secondo di silenzio il sorriso di lui si ampliava di un millimetro -Lily Stella... insomma... Lily
Luna Potter, anche lei. Oh, e Miles. I tuoi Auror, compreso quello-di-cui-non-devo-parlare. Oltre a tutti i tuoi studenti, credo.
Il Tracciatore raccolse i pezzetti di carta e li lanciò in aria, come coriandoli. L'ultimo era già atterrato da qualche secondo quando Kedavra tornò a parlare. Era difficile non cogliere l'aria soddisfatta del Legilimens. Fu quella a spronarla.
-Se è vero... lei non sa cosa... - riprese fiato, pentendosi immediatamente della pausa -Non sa tutto quello che c'è da sapere su di te.
Gli occhi di J. F. si assottigliarono appena, ma rimase ben visibile un brillio nel suo sguardo: -Non lo sai nemmeno tu. E lei... lei sa abbastanza.
Nemmeno un esperto di Occlumanzia come lui poté evitare di abbassare lo sguardo per un secondo, e Kedavra lo stava guardando attentamente. Non le sfuggì.
-Te ne andrai, Jelonek. Quando le nostre lezioni saranno finite... te ne tornerai in Germania. Lei
questo lo sa?
Jelonek inclinò ancora la testa da un lato. Ridacchiò con indifferenza: -Magari mi farai rimanere tu, Mandy. Metterai una buona parola con il nostro amico Chris. A proposito, com'è andato il vostro incontro? Gli hai chiesto finalmente dove compra la sua acqua di colonia?
Kedavra non cedette. Ovviamente, Jelonek sapeva che Morgenthal non si era fatto vivo, nonostante lei stesse cercando di convocarlo da mesi. Al Ministero della Magia tedesco il suo vice lo stava sostituendo nell'Ufficio che dirigeva; quando era rientrato dall'Inghilterra, dopo averle condiviso le informazioni che li avrebbero (male) orientati per la Notte Nera, aveva lasciato detto ai colleghi che sarebbe partito per un lungo viaggio a scopo di ricerca. Nessuno era a conoscenza della sua destinazione, e i gufi non riuscivano a raggiungerlo.
-Be', avremo molto di cui parlare quando tornerà.
L'irreperibilità dell'Inventore la irritava quasi quanto la notizia che aveva appena appreso. Ma no, in quel caso non si trattava di fastidio. Era preoccupata. Ricordava quando aveva trovato Evey e Jelonek intenti a giocare con i gatti nel suo Ufficio. Era stata molto chiara con lui, nel proibirgli di trovarsi di nuovo da solo con gli studenti. Ora capiva che per lui non doveva essere stato altro che un invito a nozze.
Al di là delle energie spese nella determinazione di non dargli soddisfazione (
perché dovrebbe dargli soddisfazione vedermi alterata su questo?), qualcosa le stava sfuggendo. Quelle tracce di umore rabbuiato che aveva visto in lui dopo la Notte Nera, per tutta la durata degli Interrogatori. La storia con Evey - un potente senso di nausea la colpiva, a pensare in quei termini - non poteva giustificarlo. Il dubbio di averla aggredita nella Sala degli Specchi non gli suscitava evidentemente alcun pentimento. Ma allora, cosa...?
-Dormirò qui stanotte. - decretò Jelonek, alzandosi in piedi.
-Credi di poterlo decidere tu? - rimbeccò lei, freddamente -Non ho tempo di occuparmi di te, adesso.
-Mi farò bastare il letto del Preside.
Kedavra non aveva voglia di discutere né, in effetti, le sarebbe cambiato nulla che qualcuno dormisse nella sua stanza da letto o meno. Erano mesi che non si coricava, e quando il sonno la coglieva, il suo cuscino era una pila di buste. Non reagì quando lui le augurò una sardonica buonanotte prima di chiudersi la porta della sua camera alle spalle, con Trismegisto alle calcagna. Scosse la testa, sfinita, e prese a riordinare le sue carte. Forse avrebbe potuto lavorare per un'ora o due, prima che i suoi occhi...
Alcuni dei pezzetti che Jelonek aveva strappato dal documento svolazzarono allo spostare di una cartella. Sospirando con esasperazione, Kedavra raccolse il resoconto dell'Interrogatorio e vi puntò sopra la bacchetta. Dovette battere le palpebre un paio di volte per assicurarsi di avere letto bene il titolo.
CITAZIONE
Interrogatorio: Atkinson, Evey
La sua fronte si aggrottò. Per la sua Deframmentazione, Jelonek aveva ripescato un foglio casuale dai file riportati dal Quartier Generale e le aveva chiesto di riportare fedelmente tutto ciò che aveva detto quando aveva interrogato August Booth. Aveva tenuto quella pergamena davanti e l'aveva letta mentre lei parlava; viste le sue bacchettate ogni volta che sbagliava, Kedavra aveva dato per scontato che quello fosse il resoconto dell'Interrogatorio di Booth, e che lui lo stesse controllando per verificare i suoi errori. Non le sembrò più che una semplice incongruenza finché non notò le righe che precedevano quelle che erano state ridotte in pezzi dal Tracciatore.
CITAZIONE
Interrogata: Altrimenti sarei a casa mia, a vivere in pace il mio lutto.
Comandante degli Auror: Un lutto? Mi dispiace molto. Posso sapere di chi si tratta?
Premette la bacchetta contro il foglio, mormorando "
Reparo", ma sapeva già quali parole si sarebbero formate ancora prima che tutti i frammenti di pergamena volassero al loro posto. Quella era una parte che ricordava senza alcuno sforzo.
CITAZIONE
Interrogata: Mio... mio figlio.
Respirando piano, Kedavra alzò gli occhi dal foglio. I pezzi si erano sistemati anche nella sua mente. Sentiva l'eco della sua stessa voce, che le chiedeva se il padre fosse stato con loro. Sentiva Evey rispondere che sì, lo era. Che si era salvato.
Jelonek. Come ho fatto a essere così stupida? Come ha fatto Evey
a essere stata tanto...(
Non ha idea di chi sia. E non sarebbe mai arrivato a Hogwarts se non fosse stato per te. Qualsiasi pericolo sia quello in cui lui può metterla, sarà sulla tua coscienza. )
Era una preoccupazione di cui non aveva bisogno, non in quel momento. Avrebbe parlato con Evey, le avrebbe detto che Jelonek non era adatto per lei. Che non era adatto per
nessuna e che presto si sarebbe assicurata che lasciasse l'Inghilterra. Per non farvi più ritorno. Quando avesse ritrovato Morgenthal, i suoi giorni a Hogwarts sarebbero stati contati. Avrebbe trovato un altro modo per apprendere la Legilimanzia. Esisteva la Metropolvere; le loro lezioni avrebbero potuto continuare tramite camino. Non c'era ragione per cui rimanesse lì.
Non voglio che se ne vada. Non aveva altra scelta. Legarsi a qualcuno lì, qualcuno dei
suoi, non rientrava in ciò che avevano pattuito.
Con la mascella serrata e i denti stretti tra loro, Kedavra prese a compilare le sue lettere, meccanicamente, la punta della piuma che premeva sui fogli fin quasi a trapassarli.
///
Quando Kedavra aprì gli occhi, credette di essersi svegliata per puro caso. Forse erano stati i primi raggi turchesi del mattino a illuminare le sue palpebre chiuse, filtrando attraverso le alte finestre vicino al soffitto, o uno dei gatti impegnato in una folle corsa. Alzò la testa, sentendo il collo scricchiolare per la posizione in cui doveva essere crollata. Si toccò una guancia, trovandola macchiata di inchiostro. Nulla di nuovo. Si voltò piano e vide Enomiao ricambiare placidamente il suo sguardo da una delle scalinate gemelle. Strinse gli occhi verso la pendola: le sei e tre minuti. Cosa l'aveva svegliata? Poteva riprovare a dormire o...
Poi, lo sentì di nuovo. Un colpo sordo contro la parete della sua camera da letto. Un gemito di dolore.
Scattò in piedi, fiondandosi contro la porta della sua stanza. La bacchetta magica era già stretta nella sua mano destra. Aprì la porta, trovando la camera immersa nella semioscurità azzurrina dell'alba. Trismegisto le corse incontro facendola sobbalzare, e la superò miagolando indignato. Il letto era sfatto, ma vuoto.
-Jelonek?
Chiamò, avanzando con cautela, il catalizzatore steso davanti a sé. Non riuscì a vederlo, finché non la raggiunse un nuovo gemito che la fece voltare di scatto verso le assi di legno davanti a una delle finestre della torre. Ma l'ammasso tremante rannicchiato su se stesso per terra non
poteva essere Jelonek.
La sua camicia giaceva strappata a poca distanza: una manica spuntava dallo spazio sotto il letto. La schiena nuda era rivolta dalla sua parte. Kedavra vi si avvicinò con cautela, gli occhi che non riuscivano a capacitarsi di ciò che stava vedendo. La pelle di lui aveva l'aspetto di una pergamena fitta di scritte scoordinate, che qualcuno avesse stropicciato e pestato più volte. In alcuni punti, recava l'inconfondibile lucidità della carne rosa in cui si cicatrizzavano le ustioni. Quando Kedavra si inginocchiò a pochi centimetri da lui, trovò che la trama di cicatrici non si fermava alla schiena. Sembrava percorrergli ogni millimetro di epidermide visibile, da sotto il collo all'intera lunghezza delle gambe, coperte solo da due corti boxer variopinti.
Kedavra sentì la bocca seccarsi. Per un po' non si rese conto che Jelonek
(
questo è Jelonek, le cose che non sai)
si stava coprendo il viso con le braccia, e che il tonfo che l'aveva destata era stato probabilmente uno dei pugni che aveva fino a quel momento sferrato allo spesso vetro della finestra. Era sporco di sangue. Nel vedere il Legilimens stringere le dita sanguinolente e prepararsi a colpire ancora, gli afferrò il polso.
-Jelonek... Jelonek, sono qui.
Lui non stava dormendo, ma non sembrava nemmeno essere del tutto cosciente. Si lasciò fermare la mano, ma i suoi occhi rimasero vacui, fissi in un punto imprecisato davanti a sé.
-Cosa... cosa ti è...
Non riusciva a smettere di guardare le sue cicatrici, era rapita dalla perversione con cui le ombre bluastre del mattino provenienti dalla finestra le stessero facendo risaltare. Se fossero state tagli aperti e profondi, il suo intero corpo si sarebbe dissipato in almeno mille pezzi diversi. Troppo scioccata per formulare frasi intellegibili, Kedavra non riuscì a trovare un senso a quello che stava vedendo. Finché Jelonek non si voltò verso di lei e la afferrò per un braccio. La sua presa era forte, dolorosa, ma Kedavra non reagì.
-Non è... A volte mi capita di...- la voce di lui era affannata, acuta -... Cadere dal letto, come se... qualcuno mi colpisse nel sonno. Come facevano... Io... devo essere rotolato fin qui. Era come se mi stessero inseguendo.
I suoi occhi erano asciutti, ma sgranati in un terrore che non lo credeva capace di provare. Jelonek seguì il suo sguardo, senza lasciarle il braccio. Non rabbrividiva più. Quanto a lei, la voce le moriva in gola, ma cercò comunque di parlare.
-Questo... questo è quello che ti hanno...?- provò a deglutire, ma con scarso successo -Ma non può essere! Jelonek, non è questo ciò che fanno a Nurmengard. È solo una prigione. Non avrebbe senso che...
Lui si tirò a sedere e si appoggiò le braccia sulle ginocchia. Per un attimo, Kedavra fu sorpresa della velocità con cui sembrava essersi ripreso, ma era ancora troppo scossa per prestarci attenzione.
-I miei polsi sono ancora normali, però. - scherzò debolmente, accennando ai buchi su quelli di lei -Anche se con questo... - alzò il sinistro, su cui era stato installato il Tracciatore -... ho un po' rischiato.
Kedavra cercò qualcosa da dire, ma ogni volta che apriva bocca, i suoi occhi trovavano un nuovo segno sulla pelle di lui e la sua immaginazione la costringeva a interrogarsi sul genere di tortura che potesse averlo provocato.
Cosa gli hanno fatto?(
Cosa gli ho
fatto?)
Come può essere successo? Chi, chi può aver autorizzato....Impiegò quasi un minuto a ricomporsi.
-Scriverò al Ministero della Magia tedesco. Questo... non è accettabile.
Jelonek ricambiò il suo sguardo per un momento, poi assentì e si voltò verso la finestra. Kedavra si alzò in piedi, trovando che la testa le girava leggermente. Ogni volta che batteva le palpebre, la trama mostruosa delle cicatrici le balenava davanti agli occhi.
Questo cambiava ogni cosa. Una voce dentro di lei cominciava a dirglielo, ma per il momento, l'unico punto fermo che potesse trovare era una qualche forma di organizzazione. Nessuna prigione poteva autorizzare quel genere di torture, nessuna. Se Jelonek avesse testimoniato... Possibile che lei non avesse mai sospettato...? Ma come avrebbe potuto? Morgenthal non gliene aveva certo mai parlato. Cosa diavolo...?
-Ti preparo un tè. E metto su dell'acqua calda per... la tua mano.
Deglutì, muovendo un passo verso la porta, ma i suoi piedi inciamparono in qualcosa. Perplessa, si accorse di avere appena urtato il suo paio di pantofole. Fece per superarle, quando si fermò a metà strada. Le riflessioni sulla scena a cui aveva appena assistito, e il suo significato, si congelarono all'improvviso.
Il suo cuore stava appena iniziando a rallentare i battiti dopo quello che aveva visto. Ma ora tornò ad accelerare. Un crescendo costante, come sempre quando qualcosa non le tornava. Si chinò e raccolse una delle sue ciabatte.
-Hai avuto un incubo, hai detto. Sei caduto, e rotolato fin lì.
Dalla sua voce era scomparsa ogni traccia di compassione. Anche se gli dava le spalle, Kedavra poteva sentire gli occhi di Jelonek su di sé.
-Non immagini cosa mi hanno fatto laggiù. - lo sentì dire -Non ero un prigioniero come gli altri. Lo avresti saputo, certo, se me lo avessi mai chiesto. Se avessi creduto a quello che ti avevo scritto. Ma tu...
Kedavra si voltò, trovando che anche Jelonek si era alzato in piedi, e ora la guardava dall'alto della sua altezza, più vicino di quanto si aspettasse. La mano con cui la Preside di Hogwarts reggeva la ciabatta tremava appena, ma il suo sguardo e la sua voce erano fermi. Non lo lasciò finire.
-Ti sei sempre lamentato delle schegge che lascia il pavimento di questa stanza. - scandì lentamente, stringendo la mano sulla bacchetta e guardandolo senza battere ciglio -Queste...- gli mostrò la pantofola, prima di lanciargliela addosso. Rimbalzò contro il suo petto e scomparve per terra.
-
Queste le tengo sotto il letto. Ma le ho trovate laggiù.
Anche nella penombra, Kedavra poteva vedere che il brillio oscuro nello sguardo di Jelonek era tornato. Torreggiava su di lei, avanzando impercettibilmente. Lei non cedette terreno. Nella sua mente, così caotica fino a pochi secondi prima, regnava un silenzio mortale.
-A quanto pare il tuo incubo era così terribile da averti permesso di indossarle, prima di spostarti lì. Mentre credevi che ti stessero... picchiando?, hai provveduto a metterti le ciabatte ai piedi. Te le sei tolte soltanto quando...
Jelonek sollevò il mento, e ancora quel vago ghigno tornò ad aleggiargli sulle labbra. Non poteva apparire più diverso dall'uomo rannicchiato, tremulo e piagnucolante che l'aveva fatta accorrere, che l'aveva sconvolta e commossa. Come
aveva potuto farsi manipolare in quel modo?
-... quando ti sei tolto la camicia, ti sei steso per terra e hai iniziato a prendere a pugni il muro. Per essere più convincente quando fossi arrivata a vedere cosa stava succedendo.
Probabilmente, i gemiti che aveva sentito erano risate. Se lo figurò ridacchiante mentre si feriva la mano. E la sua preoccupazione quando l'aveva visto così...
Voleva urlare, urlare di rabbia verso se stessa, ma tutti i suoi istinti si condensarono in un'espressione di disgusto. Lui si era fatto vicino, alla distanza di un respiro da lei. La osservò per qualche secondo, poi aprì bocca.
-Guardami, Mandy. GUARDAMI!
Quando sollevò il braccio per prenderle il mento, un lampo di luce lo spedì lontano, facendolo volare per alcuni metri all'indietro. Atterrando, urtò rumorosamente contro il comodino di fianco al letto, dove sbatté la testa al muro. Il comodino si spostò, e il baule subito sotto si rovesciò, spargendo alcuni vestiti e un pannello di legno. Alcuni fogli di pergamena spuntarono dal doppio fondo.
Jelonek, finito seduto con la schiena contro la parete, non si curò nemmeno di massaggiarsi la nuca. Il suo sguardo si abbassò placidamente sulle pergamene che erano uscite dal baule. Ne sfiorò alcune, come una carezza, con un sorriso sulle labbra. Kedavra, il cuore che le martellava nelle orecchie, non distolse gli occhi da lui, nemmeno quando si voltò di nuovo e le rivolse uno sguardo che non gli aveva mai visto addosso.
(Lo sguardo di qualcuno che, se avesse potuto, l'avrebbe uccisa in quell'istante.)
-È questo che sei, quindi? Una patetica vittima in cerca di attenzioni? - lo apostrofò, prendendo coraggio, il disprezzo che veniva sputato fuori insieme a ogni parola e la bacchetta ancora puntata contro di lui -
È questo che sei?Jelonek si alzò, molto piano, barcollando per il colpo alla testa. Qualche traccia di sangue rappreso gli incollava alcune ciocche scure sulla nuca. I suoi occhi grigi, resi neri dall'ombra, tornarono sul baule. Lo calciò con violenza, rovesciando altri fogli di pergamena ripiegati. Le lettere macchiate di lacrime che le aveva scritto dalla prigione. Quelle a cui lei non aveva risposto, ma che aveva nascosto lì dentro, occultate alla sua coscienza. Eppure, non ancora abbastanza lontane.
Zoppicante, il Legilimens si incamminò verso la porta della camera da letto. Quando le fu accanto, la guardò un'ultima volta. Il suo sussurro le solleticò alcuni capelli sciolti sulla guancia.
-Sono quello che mi hai fatto diventare.
Kedavra lo sentì trascinarsi attraverso l'Ufficio, uscire e chiudersi la porta alle spalle. Non lo seguì con lo sguardo. I suoi occhi erano ancora fermi sulle vecchie lettere che il baule, rovesciandosi, aveva dissotterrato. Erano sparse a ventaglio su quella porzione di pavimento che il sole non aveva ancora raggiunto.
-Kedavra
Edited by Kedavra - 19/9/2016, 17:46