Hogwarts: Harry Potter Gioco di Ruolo

Nessun Dorma

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view post Posted on 14/7/2013, 12:19
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O Z Y M A N D I A S

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//Notte 1: Dopo il Ballo.

Hello, hello, remember me?
I'm everything you can't control



La Sala Grande gremita di ospiti nei loro vestiti speciali, con la sua musica, il banchetto, le danze, avevano fornito un ambiente ricco di distrazioni: lì non c'erano Kedavra e Jelonek, ma due persone qualsiasi calate in ruoli sociali qualsiasi.
Il Campo di Quidditch, con la sua notte impenetrabile, con quel duello dall'esito imprevedibile, aveva schiacciato la loro identità: erano rimasti consci l'uno della presenza dell'altra, ma era stato possibile escludersi a vicenda, almeno per un po', inghiottiti dalla magnificenza dell'ignoto celeste, rassicurante, e di quello terreno, allarmante.
Il sentiero che conduceva al castello era già qualcosa di diverso. Le uniche due frasi che si erano rivolti, all'uscita degli spalti, avevano aperto il capitolo finale di quella nottata, quello dove Kedavra sapeva (sperava?) non ci sarebbe stato alcun colpo di scena, solo il remake poco originale di una storia già vissuta. Lui aveva camminato davanti a lei, come gli aveva ordinato. La Preside aveva poi contato sul fatto che lui si voltasse per chiederle indicazioni -sarebbe stato un sollievo, parlargli di una cosa così banale e quotidiana, provare a rispondere a una sua normale domanda- ma quando si trovavano ormai di fronte alla scalinata in marmo che portava all'Ufficio, si era ricordata che lui non aveva alcun bisogno di fare domande per sapere davvero qualcosa. Nel citargli l'Ufficio del Preside, lei doveva avergli già fornito inevitabilmente tutte le informazioni che gli servivano per fare strada, e molto di più.
Quando la porta dell'Ufficio si aprì e Kedavra venne investita da quel familiare silenzio, si sentì soffocare. Non c'erano più diversivi, non c'erano più paesaggi, né eventi o cose più importanti di cui preoccuparsi.
C'erano soltanto loro due.

Jelonek si fermò al centro della stanza e si pose le mani sui fianchi, intento a rimirare gli sguardi e i borbottii disapprovanti dei ritratti dei vecchi Presidi appesi alla parete.
Kedavra pensò a qualcosa per prendere in mano la situazione, qualsiasi cosa che potesse mettere in chiaro che era lei ad avere il comando, ma prima che potesse aprire bocca, lui si voltò.

-Ma dove sono i miei bagagli?-

-Sono stati portati qui accanto- rispose inutilmente Kedavra, indicando la porticina che conduceva alla sua stanza da letto.
Errore da principianti: non solo aveva convalidato il suo diritto di iniziare la conversazione, ma si era anche piegata a spiegargli qualcosa che poteva benissimo capire da solo.
Riprenditi.
Jelonek non sembrò festeggiare quella vittoria. Prima che potesse fermarlo, aprì la porta e si infilò nella stanza. Kedavra lo seguì riluttante, continuando a pensare a un modo per prendere il controllo di quello che sarebbe successo.
Quando la vide comparire sulla soglia, Jelonek si voltò e allargò le braccia, sul volto un'espressione di autentica delusione.

-Bé? Tutto qui? Mi vuoi dire che è... qui che dorme la Preside di Hogwarts?-

Kedavra fece di tutto per non cedere alla provocazione, anche se non poteva fare a meno di sentirsi irritata. La sua stanzina era piccola, ma aveva un bel letto di piume morbido con una testata in palissandro intagliato (tarmato e consunto, vorrai dire) e un'unica finestrella con una magnifica vista sul parco. Era perfettamente conscia del fatto che gli studenti avessero stanze assai più curate, ma non aveva mai avuto di che lamentarsi. Ma era chiaro che la sua domanda retorica non fosse motivata da una sincera sorpresa -non era così sicura che lui fosse ancora in grado di sorprendersi per qualcosa, a dire il vero- quanto dalla volontà di banalizzarla. Era sempre stato maestro nell'arte della svalutazione. In effetti, nessuno aveva mai osato sminuire lei e le sue capacità più di lui.

-Una cella- continuò imperterrito Jelonek, appoggiando la balestra sul copriletto e prima di sedersi e mettersi le mani sotto le cosce con uno sguardo divertito -Davvero appropriato. Io, invece, dove dormirò?-

-Tu dormirai qui- replicò Kedavra, inflessibile -Non ti voglio in giro per il castello di notte-

Lui simulò un'espressione stupita, non priva di una punta di malizia. Non diede segno di avere ascoltato la seconda parte della frase.

-Dormiremo insieme, quindi. Sappi che la notte mi alzo spesso per esercitarmi con la balestra e fare pipì, a volte anche contemporaneamente-

-Non dormiremo insieme. Tu dormirai qui-

-E tu dove dormirai?-

-Io...- Kedavra si schiarì la voce e indicò la scrivania dell'Ufficio che si intravedeva alle sue spalle -Non dormo-

-HA!- l'angolo destro della bocca di Jelonek si sollevò con gusto -Benissimo. Allora possiamo cominciare-

-Jelonek-



L'espressione beffarda abbandonò molto lentamente i lineamenti di Jelonek, trasformandosi in qualcosa di nuovo, più consapevole, in qualche modo... più oscuro, come se quell'unica parola avesse squarciato, almeno in parte, la maschera che portava. Kedavra aveva pronunciato il suo nome con fermezza. Non potevano continuare a lungo con quella farsa, non con quella posta in gioco. Uno dei due doveva abbassarsi a girare il coltello nella piaga, ed era evidente che lui non era incline a farlo.
Seguì qualche secondo di silenzio, un silenzio grave, come quello che aveva respirato appena entrata lì dentro, pochi minuti prima. Quella volta, però, doveva reggerlo, senza aspettare che lui ne traesse vantaggio. Abbassò lo sguardo.

-Ti ho chiesto di aiutarmi. Ti ho offerto un lavoro- tornò a guardarlo negli occhi -Non sei qui in vacanza. E finché ti troverai in questa scuola non oserai mancarmi di rispetto-

Jelonek la stava di nuovo squadrando nel modo che era certa di avere dimenticato, ma che invece ricordava benissimo; era come se lui stesse conversando, in tutta tranquillità, con i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi segreti, ignorando una a una le parole che gli stava rivolgendo. Era qualcosa che le faceva perdere la testa.

-Perché mi hai presentato con il mio vero nome?- chiese lui a quel punto, e il suo sorriso era già cambiato, era già molto diverso da quello che rivolgeva agli altri. La lingua dietro i molari, le sopracciglia appena sollevate, gli occhi brillanti, il capo piegato di lato.
Non sembrava irritato, tutt'altro. Era intrigato.

Perché hai detto a tutti il mio cognome?
Kedavra distolse lo sguardo velocemente, ma anche in quel modo gli stava comunicando qualcosa contro la sua volontà.

-Il contratto stabiliva la segretezza della tua identità soltanto per tutelarti. E' possibile che il tuo nome si trovi ancora in qualche volume della nostra Biblioteca, ma il rischio che qualcuno lo trovi è molto basso. Se anche dovesse succedere, lo spiegheremo come un caso di omonimia-

-Quanti Jelonek Fedoryen pensi che esistano al mondo, Mandy?-

-L'unico rischio è che qualcuno possa capire quale è il vero motivo per cui ti trovi qui- Kedavra continuò, ignorandolo -Questo potrebbe ledermi, in qualche modo. Ho bisogno di tenere segreto questo... problema... il più a lungo possibile. E allo stesso tempo devo recuperare le mie abilità il prima possibile. Se non riesci a... sistemare le cose, Jelonek, e a farlo in fretta, ti rispedisco in Germania o dovunque sia il posto in cui lavori domani stesso-

Lui si abbandonò a una risatina: -Non conosci tutti i termini del contratto, Mandy. Io sono ufficialmente morto. E' l'unica cosa che mi tiene fuori da...-

Kedavra non era pronta a parlare del tempo che lui aveva passato dietro le sbarre; non voleva che lui sapesse come aveva accolto le sue lettere e non voleva ripensare ai motivi per cui non gli aveva mai risposto. Ma soprattutto...

(Non vuoi sapere quello che gli hanno fatto. Non vuoi sapere dove si trovava, cosa stava subendo mentre tu continuavi con la tua vita.)

-Finché farai quello che sei venuto a fare, non verrà a prenderti nessuno. Me ne assicurerò io stessa-

Jelonek emise uno sbuffo scettico, ma non commentò oltre. Invece, si alzò in piedi e si diresse verso di lei. Kedavra era sicura di sapere perché l'avesse fatto; sapeva di poterla sovrastare in altezza, e la cosa gli aveva sempre dato molte soddisfazioni. Del resto, erano solo due le aree in cui poteva vantare una supremazia su di lei.
Lo guardò con aria di sfida mentre si avvicinava. Non le importava che potesse vedere i suoi pensieri, anzi; lasciò liberamente che percepisse l'immagine molto chiara della bacchetta che sfiorava con la mano, tra le pieghe del vestito.

-E così, questo morbo, questa malattia... ha buttato all'aria anni e anni di allenamenti ed esercitazioni. Dev'essere veramente frustrante per te-

Kedavra ricambiò il suo sguardo, senza rispondere. Da vicino, poteva notare quanto la pelle del suo viso apparisse affaticata, segnata.

-L'unico modo per superare un trauma è non ignorare il trauma, Mandy- sentenziò lui, scavando nei suoi occhi senza alcuna pietà -Se vuoi che ti insegni di nuovo quello che ti insegnai sette, lunghi anni fa, per prima cosa dovrai ammettere ad alta voce quello che è successo-

-Non ho tempo per questi giochetti, Jelonek-

-Ha-ha- lui mosse un dito a destra e a sinistra -Sulle lezioni avrò carta bianca, come l'avevo allora. O sarò io a rispedirmi da solo in Germania o dovunque io lavori domani stesso. Avanti. Ammettilo-

Kedavra lo odiava. Lo odiava. Niente di tutto ciò aveva la minima utilità. Voleva solo riavere quello che aveva perso, e avrebbe dato qualsiasi cosa perché lui non fosse tanto indispensabile a quello scopo.
Sospirò. Da qualche parte avrebbero dovuto iniziare, in ogni caso.

-La Follia Verde...-

Si fermò, sorprendendo anche se stessa. Glielo aveva scritto, in quell'unica lettera vergata tra i dubbi e i ricordi ricolmi di imbarazzo. Lo aveva pensato innumerevoli volte. Ma non lo aveva mai detto ad alta voce. Lì per lì, ne ebbe paura, come se udire la propria voce pronunciare quelle parole rendesse improvvisamente reale quello che era successo.
Jelonek la fissava con una traccia di consapevolezza. Sapeva benissimo quanto fosse difficile per lei; altrimenti non glielo avrebbe chiesto.

-La Follia Verde ha annullato le mie capacità da Legilimens-

(E' spaventoso.)
Ce l'aveva fatta, e si sentiva peggio. Perché mai al Ballo aveva bevuto così poco? Aveva bisogno di un bicchiere, di qualcosa, subito. Fece per muoversi, ma lui la fermò superandola e bloccandole l'uscita.

-No, Mandy. Devi essere lucida-

-Togliti di lì- la voce di Kedavra si tinse di una nota minacciosa.

-Quando avrai finito di elaborare piani di attacco per farmi spostare e dimostrarmi la tua mascolina superiorità, voglio mostrarti una cosa- sollevò entrambe le braccia -Posso andare a prendere una cosa dai miei bagagli?-

Senza attendere risposta, si spostò dalla porta e si inginocchio sulla prima delle cinque valigie ricolme che gli elfi domestici avevano prelevato dal treno e accatastato contro la parete di fronte al letto. La spalancò con un pugno, rompendo definitivamente il lucchetto malconcio, e prese a trafficare con la più bizzarra accozzaglia di oggetti che Kedavra avesse mai visto. Scaraventò da parte almeno una quindicina di numeri del Settimanale delle Streghe, un pallottoliere, uno Spioscopio gigante, una sveglia a forma di panino e un paio di Pantaloni Camminanti verde bottiglia che presero a misurare la stanza a grandi passi, prima di uscire e continuare il loro autonomo tour nel resto dell'Ufficio. Kedavra osservava il tutto divisa tra curiosità, irritazione e autentico disgusto. Infine, Jelonek emerse dal disastro ambientale che era la sua valigia spalancata -dove, intravide Kedavra, qualcosa si stava muovendo al di sotto di quello che pareva un campione di carta da parati con un motivo di ciliegie rosse e arancio- con un oggetto tutto sommato banale.
Si trattava di una scatola in legno chiaro, ad apertura scorrevole, piatta e rettangolare. Jelonek sedette sul letto e la invitò a fare altrettanto, appoggiando la scatola sulla coperta come se fosse il più affascinante dei reperti.
Kedavra si sedette a debita distanza, occhieggiando il contenitore titubante.

-Che cos'è?- domandò, esasperata.

-E' la tua Legilimanzia- spiegò Jelonek, criptico.

In risposta al suo sguardo privo di qualsiasi entusiasmo, lui aggiunse:

-La Mandy a cui ho insegnato Legilimanzia avrebbe potuto scoprire il contenuto di questa scatola da almeno dieci metri, purché ci fosse qualcuno che lo stesse pensando-

Lui sollevò un sopracciglio.

-Ora sono qui, a trenta centimetri da te. Guardami-

Kedavra alzò lo sguardo su di lui. Non avrebbe dovuto, ma lo fece comunque. Si ricordava di lui, realizzò con inedita potenza. Se ne ricordava troppo bene.

-Non sto pensando ad altro che al contenuto di questa scatola. E ti sto guardando. Perciò te lo chiedo, Mandy: cosa contiene questa scatola?-

Kedavra lo fissò. Indirizzò tutti i suoi pensieri, tutte le sue domande, tutta la sua concentrazione verso gli occhi di lui, guidata dall'antica consapevolezza di poterci vedere attraverso. Provò, provò con tutta se stessa, frenata solo dalla certezza di fallire; certezza che si avverò. Non vide altro nelle sue iridi verdognole, niente che non fossero le rievocazioni di quei ricordi proibiti che ora gli stava offrendo su un piatto d'argento.

-Non lo so- mormorò, distogliendo lo sguardo spazientita.

A quel punto, lui fece qualcosa che nessuno, nessuno nell'universo che Kedavra Mandylion era riuscita a costruire avrebbe mai osato fare. Allungò la mano e le prese il mento tra pollice e indice, con fermezza, quindi avvicinò il viso al suo, di fatto costringendola a guardarlo da vicino.

-GUARDAMI, Mandy. Cosa c'è nella scatola?-

-Non lo so-

-Non mi stai guardando. Guardami-

-NON LO SO, Jelonek, non lo so, NON LO SO perché non funziona più, non ce la faccio più e ho paura che...-

Si divincolò dalla sua presa e si coprì la bocca con le mani. Era quello il rischio di avere a che fare con lui. Non appena si accettava l'idea che potesse sapere ogni cosa di chi aveva davanti, diventava inutile nascondere alcunché; era un'abitudine che si perdeva sin troppo in fretta. Ma lei non era più una ragazzina di diciassette anni. Lei non poteva parlare in quel modo.

Lui rimase immobile per qualche secondo, e per un po' non disse niente. Quindi riprese, in un tono che le ricordò irrimediabilmente la durezza dei suoi insegnamenti, delle notti passate in bianco, delle parole con cui lui la demoliva e continuava a sfidarla in continuazione, fino a portarla all'esaurimento.

-Lezione numero uno. Il contatto visivo- dichiarò Jelonek, abbassando la mano.

Kedavra sospirò: -Non ora. Domani c'è una riunione al Quartier Generale e ho bisogno di riposo. Cominceremo...-

-Ma tu non dormi, Mandy, te lo sei dimenticato?- le ricordò, suadente, prima di riassumere il torno fermo: -Lezione numero uno. Il contatto visivo-

Kedavra non era certa di riuscire a mantenere gli occhi aperti per un intero minuto. Tuttavia, su di un punto lui aveva ragione. Lei lo aveva chiamato perché le insegnasse nuovamente la Legilimanzia, così come gliel'aveva insegnata quando si erano conosciuti, al settimo anno. Allora, lei si era abbandonata nelle sue mani, gli aveva concesso carta bianca, gli aveva permesso di ricorrere a qualsiasi metodo di insegnamento. E in un modo o nell'altro, per un motivo o per un altro, aveva funzionato. La Legilimanzia era stata parte integrante della sua vita, della sua identità. Aveva costituito un vantaggio essenziale nelle battaglie che aveva combattuto come Auror; in più di un'occasione le aveva salvato la vita, le aveva permesso di scoprire la verità. La Follia Verde aveva preteso quell'ultimo tributo da lei. Il silenzio desolante che avvertiva quando tentava di utilizzare quel potere come faceva una volta era una ferita che sapeva ancora troppo di assenzio. Quella beffa, seguita a un danno che li aveva lasciati completamente devastati, era di fatto l'ultimo ponte, l'ultimo collegamento a una storia che avrebbe voluto definitivamente archiviare. E no, forse non sarebbe riuscita a vedere un'altra alba con la consapevolezza di non avere fatto nulla per combattere.
Per recuperare ciò che la Follia Verde le aveva strappato. Sempre che fosse possibile.
Alzò gli occhi su Jelonek, che aveva ormai completamente riassunto la sua tenuta da insegnante integerrimo. Sapeva benissimo che lui non si sarebbe presentato così, alle lezioni di Occlumanzia che aveva programmato per gli studenti. Quello che aveva davanti in quel momento era il Jelonek che non si mostrava facilmente a nessuno. Tranne che a lei.

Lezione numero uno. Il contatto visivo.

-Sono pronta- concluse, risoluta.

-Kedavra
 
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view post Posted on 4/9/2013, 18:53
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//Notte 8: Dopo gli avvenimenti narrati qui.

Hello, hello, it's only me
Infecting everything you love



Kedavra attese Evey Atkinson uscisse dall'Ufficio, quindi si impose di contare fino a venti. Arrivata a tredici, si alzò in piedi e si diresse verso la stanza da letto. Entrò sbattendo la porta.

-Cosa diavolo ti è saltato in mente?-

Jelonek era seduto sul letto a gambe incrociate, girato verso di lei. Teneva in grembo uno dei gattini della cucciolata, quello con il pelo bianco e grigio, arrotolato su se stesso e con gli occhietti chiusi. Lo accarezzava in un ritmo dolce, pacifico. L'unica nota che stonava in quel quadretto era il brillio nei suoi occhi e il ghigno appena accennato tra la barba sfatta.

-Shh- le disse, accennando al gatto -Sbibu sta dormendo-

Kedavra pensò che la sua bacchetta era a portata di mano e che Schiantarlo sarebbe stata la cosa più semplice del mondo. Lui piegò la testa da un lato e la scosse con divertita disapprovazione.

-Con il cucciolo in braccio? Sei senza cuore-

La Preside lo guardò, valutando il da farsi. Quindi gli si avvicinò, raccolse il gattino e lo posò per terra. Quello sparì sotto il letto mentre Jelonek, che non si era mosso, si stendeva all'indietro, appoggiandosi sulle braccia. Negli occhi, la sfida.

-Perché stavi parlando con quella studentessa?-

Lui fece schioccare la lingua.

-Perché non mi chiedi quello che vuoi sapere veramente?-

-E' questo ciò che voglio sapere veramente-

-No, Mandy. Quello che vuoi sapere veramente è quante delle cose scritte nel rapporto che ti ha inviato il Ministero della Magia tedesco su di me sono vere-

I lineamenti di Kedavra si irrigidirono. Sì, lo voleva sapere, ma aveva temuto troppo la risposta per chiederglielo in quella prima settimana. Inoltre non si aspettava certo che lui fosse sincero al riguardo. Sapeva che avrebbe semplicemente continuato a giocare, a metterla alla prova per uno scopo che era chiaro solo nella sua testa.

-Non ho alcun motivo di pensare che non siano tutte vere-

-Ti sbagli- replicò lui, improvvisamente serio. Poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso che agli occhi di Kedavra apparve vagamente sinistro -In ogni caso, prima o poi potrai scoprirlo da sola, no?-

Faceva riferimento ai suoi poteri da Legilimens. Fu quasi sul punto di rispondergli, quando si accorse che lui era riuscito a sviare il discorso. Lo inchiodò con lo sguardo.

-Tu non incontrerai mai più uno studente senza supervisione. Sono stata chiara?-

-Ma se dovessi dare ripetizioni a...-

La fronte di Jelonek si distese quando si ritrovò con la bacchetta di Kedavra a trenta centimetri dal collo. Scambiò uno sguardo con lei, quindi si sollevò a sedere lentamente, finché la punta della bacchetta non premette contro il suo petto. Non c'era nulla che Kedavra odiasse di più di trovarsi i suoi occhi addosso, ma nonostante tutto, non mosse la mano di un millimetro.

-Senza di quella non sei niente-

Kedavra spinse la bacchetta in avanti, contro quel suo stupido poncho.

-Fossi in te mi preoccuperei di quello che sono con questa in mano- ribatté lei, gelida -La mia pazienza si è esaurita, Jelonek. Non c'è niente che mi trattenga dal metterti una Traccia addosso che mi avverta ogni volta che ti allontani da me-

-Se non c'è niente che ti trattenga, perché non lo hai ancora fatto?-

-Non sfidarmi-

Jelonek la guardò con ironia, quindi si portò la mano destra sull'avambraccio sinistro, muovendosi con la cautela di chi sa di poter essere attaccato da un momento all'altro e non spostando gli occhi dai suoi. Kedavra era così irritata da non riuscire nemmeno a interrogarsi su quel gesto, il cui motivo fu chiaro solo quando lui ebbe sollevato il lembo sinistro del poncho, rivelando un bracciale argentato stretto attorno al suo polso.

-Non è un'idea molto originale, dopotutto- commentò, accennando all'oggetto -Mi hanno già dato un collare-

Kedavra osservò vagamente ciò a cui lui faceva riferimento, poi tornò a guardare lui. La stava prendendo in giro?

-Che cos'è?- chiese a un certo punto, incerta su come ricevere quella nuova informazione.

Jelonek emise un breve sbuffo noncurante, quindi spostò con due dita la punta della bacchetta che ancora gli stava puntando contro. Kedavra la abbassò: sarebbe riuscita a colpirlo in poche frazioni di secondo comunque, dopotutto.

-Te l'ho già detto, Mandy, è il mio collare. Sono già controllato-

-Non mi è stato scritto niente al riguardo- fece notare lei, diffidente -Non ti credo-

-Ow, non mi sono guadagnato nemmeno un po' di fiducia? In tutti questi anni?-

-Scriverò al Ministero della Magia tedesco- decise Kedavra, muovendo qualche passo verso l'Ufficio. Guardò Jelonek, ancora sul letto a gambe incrociate, e provò qualcosa a metà tra il fastidio e la voglia di spedirlo contro la parete opposta.

-Fino ad allora, però, non ti avvicinerai ad alcuno studente a meno che tu non sia in un luogo pubblico, alla presenza di altre persone. Sono stata abbastanza chiara?-

Jelonek si grattò dietro la testa e sorrise.

-Sei sempre chiarissima, Mandy-

-E smettila di chiamarmi in quel modo-

Lei uscì da dove era entrata, lasciando la porta socchiusa. Quando fu di nuovo solo nella camera da letto, Jelonek ripescò Sbibu da sotto il letto e si stese all'indietro, accarezzandoselo sul petto mentre fissava il soffitto a volta.
Avrebbe dovuto fare qualcosa per quel poncho strappato, e al più presto. Forse un qualche studente gli avrebbe fornito un utile suggerimento.

-Kedavra

Edited by Kedavra - 5/9/2013, 08:20
 
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view post Posted on 27/5/2014, 02:37
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//Giorno 341. Successivamente agli avvenimenti narrati qui.

Sembravano essere già passate settimane da quando si erano lasciati il San Mungo alle spalle, invece non erano stati che due giorni. Nel caos che aveva seguito la spedizione al Cimitero, Kedavra aveva dovuto coordinare un lungo debriefing con gli Auror, riprendere in mano la corrispondenza relativa al suo incarico di Preside - se così si poteva chiamare l'orda di Gufi imbizzarriti che si erano affollati fuori dalle sue finestre - e cercare di evitare al meglio delle sue possibilità le continue richieste dei Giornalisti, in trepidante attesa delle sue dichiarazioni relativamente alla Notte Rossa e all'arresto avvenuto al San Mungo. Per fortuna, l'operazione al Cimitero era avvenuta nella più completa segretezza e nessuna informazione era, per il momento, trapelata. Quando avesse avuto il tempo di parlare con i Giornali, il disastro avvenuto a Hogwarts quella fatidica notte folle, non più una notizia fresca dopotutto, sarebbe stato almeno in parte oscurato dall'arresto di Lily Malfoy. L'immagine che i Giornali avrebbe dipinti di lei e gli Auror sarebbe stata, una volta tanto, più benevola della realtà. Non di meno, era un tipo di pressione che non poteva sopportare in quel momento, non con tutto quello che c'era ancora da organizzare.
Erano le cinque meno dieci minuti. Kedavra era seduta alla sua scrivania con il bollitore sul camino e tre tazze preparate sulla scrivania assolutamente ingombra; fissava la pendola in stile regency nell'angolo, senza sapere se essere infastidita o sollevata da quella brevissima pausa.
Per qualche astruso motivo, Jelonek era in piedi, con le spalle appoggiate alla parete alla sua destra e uno dei suoi gatti tra le braccia - Sbibiz o qualcosa del genere... in qualche modo, quel cucciolo in particolare sembrava appartenere più a lui, ormai. Da quando era tornato, il Legilimens sembrava rifuggire ogni tipo di confort. Nonostante la frenesia delle ultime quarantotto ore, non le aveva risparmiato serrate sessioni di lezioni in ogni secondo di tregua, adducendo sbrigativamente la motivazione di dover recuperare il tempo perso al San Mungo. I pasti o le notti di sonno erano diventati un lontano ricordo e le occhiaie sul volto della Preside di Hogwarts erano tornate dello stesso colore che avevano assunto nei mesi immediatamente successivi all'ultimo ballo. Quel tè al gelsomino era il primo sfizio che si era concessa da quando avesse memoria, ma se non fosse stato per l'attesa del visitatore non si sarebbe permessa nemmeno quell'indulgenza.
Con un pigro svolazzo della bacchetta, fece volare il bollitore verso la scrivania e riempì le tre tazzine, in cui aveva già sminuzzato le foglie. Spense poi il camino: non era decisamente più stagione.
Prese a tamburellare sulla superficie della pergamena più vicina, ma smise quasi subito nel momento in cui i tendini del braccio le inviarono un segnale di dolore. Desiderò avere seguito le raccomandazioni dei Guaritori con più attenzione. Si voltò verso Jelonek, certa che la brusca interruzione non gli fosse sfuggita. Invece, lo trovò intento ad accarezzare distrattamente il gatto, lo sguardo perso oltre le finestre.
Ora che ci pensava, lui era stato eccezionalmente silenzioso, da quando avevano abbandonato il San Mungo. Si sarebbe aspettata almeno qualche osservazione delle sue sul fallimento al Cimitero, sul mancato arresto del Capo dei Mangiamorte, sul suo piano andato a monte, ma lui non aveva detto niente. E pensare che quelle erano le ultime ore in cui gli sarebbe stato permesso parlare di qualcosa che aveva appreso tramite la sua arte.
Forse è proprio questo.
Inevitabilmente, il suo sguardo ricadde sul moncherino. In preparazione per quel pomeriggio, Jelonek aveva tolto tutti i bendaggi. La pelle era quasi completamente guarita: rimaneva di un colore più scuro rispetto al resto del braccio, ma non c'erano più tracce di croste o sangue. I Guaritori avevano fatto un buon lavoro. Non doveva più fargli troppo male.
Spostò di nuovo lo sguardo sulla pendola. Erano passati solo due minuti dall'ultima volta che aveva controllato l'orario. Sospirò, spazientita, riprese a tamburellare le dita senza pensarci, smise immediatamente.
Se solo lui avesse parlato, sarebbe stato tutto più semplice.
Sta aspettando, e non il suo arrivo. Aspetta che io gli dica qualcosa su quello che ha fatto.
Il tempo non sarebbe passato più velocemente, in quel silenzio assoluto.

-Jelonek, vorrei...-

Mantenne lo sguardo fisso sulle scarse porzioni di palissandro che era possibile intravedere tra il disordine dello scrittoio. Si schiarì la voce, prendendo ad arricciare l'angolo di una pergamena scarabocchiata.

-... vorrei ringraziarti per quello che hai fatto, quando... quando hai deciso di sacrificare la tua mano. Non eri tenuto a farlo. Siamo... degli sconosciuti, per te-

L'angolo della pergamena si strappò, e Kedavra smise di tormentarlo. Si decise a voltarsi verso di lui, incontrando il suo sguardo.
Dì qualcosa.
Quanto altro tempo doveva essere passato? Un minuto?
La fronte di Kedavra si corrugò appena, mentre la donna utilizzava le energie residue per riprendere l'ultima lezione di Legilimanzia dal punto in cui l'avevano lasciata. Aveva fatto enormi progressi, ma nonostante tutto, lui sembrava ancora il più difficile da leggere. Colse, di sfuggita, l'immagine di un viale di Hogsmeade. Un pensiero circondato da una specie di... soddisfazione. Non sapeva cosa potesse significare.
L'angolo della bocca di Jelonek si sollevò, riformando la strana fossetta tra la barba sfatta. Lasciò andare il gatto, che dopo essersi strusciato alle sue caviglie spiccò una corsetta attraverso la porta della camera da letto. Ovviamente, non gli era sfuggito che lei stesse usando la Legilimanzia su di lui.
Mosse la testa in un impercettibile cenno di assenso.
Quindi, continuò a fissarla.
Proprio quando Kedavra stava per incitarlo a dire qualcosa, Jelonek parlò.

-Voglio una casa-

Kedavra batté le ciglia un paio di volte. Il silenzio divenne così spesso da permetterle di avvertire il ticchettio del pendolo. Non realizzò pienamente il senso delle sue parole, non subito almeno. Quando lo fece, assottigliò appena gli occhi.

-Intendi restare?- mormorò, sapendo che qualsiasi tentativo di nascondere la sua sorpresa sarebbe stato superfluo -Non te lo permetteranno-

Lo aggiunse rapidamente, come se volesse caparbiamente escludere quella possibilità finché non fosse stata realmente concreta. Non voleva credere a niente del genere.
Perché?
Non lo aveva mai visto particolarmente felice, lì a Hogwarts. Lo strano trionfo che gli scorgeva negli occhi durante i primi mesi se n'era andato, o forse era lei che in fondo ci aveva fatto l'abitudine. Forse, aveva iniziato a darlo per scontato, o forse non si era mai preoccupata di interrogarsi riguardo alla sua felicità.
Non sarebbe la prima volta.
Oh, quella voce assomigliava molto a quella di lui. Era dentro la sua testa. C'era sempre stato.
Jelonek si strinse nelle spalle.

-Me lo permetteranno, se intercedi per me-

Kedavra valutò attentamente quelle parole. Si era sacrificato. Aveva salvato lei e molti altri, quando non aveva motivo per farlo.
Un motivo ce l'aveva.
Forse era questo che aveva motivato quel silenzio quasi assoluto durato quarantotto ore. Jelonek aveva aspettato che fosse lei a tirare fuori l'argomento, aveva atteso pazientemente che arrivasse la sua occasione (come aveva atteso l'occasione di infilare quella mano nel muro?) e ora non esitava un istante per trattarla come merce di scambio.
La Preside si morse il labbro. Non avrebbe saputo dire per quanto ancora Jelonek sarebbe dovuto rimanere lì a scuola, se si fossero attenuti al contratto iniziale. I suoi poteri legilimantici non erano ancora al livello che desiderava, quello antecedente alla Follia Verde. Forse ci sarebbe voluto un altro anno comunque.

-E la casa? Cosa significa?-

Questa volta, Jelonek rispose quasi subito.

-Non ho mai avuto un... posto mio. Visto che rimarrò qui per un po' di tempo, ho pensato che potrei avere... un posto dove stare. Tutti gli altri Professori ce l'hanno-

L'ultima aggiunta suonava un po' come un mettere le mani avanti. Kedavra dovette trattenere un sorrisetto. La questione era più seria di quanto apparisse e non andava presa alla leggera. Lui aveva violato più e più volte le sue disposizioni di non allontanarsi dall'Ufficio e dal suo controllo. Aveva comunque fatto quello che voleva, ma non era accaduto niente di preoccupante e lei stessa aveva sentito di avere bisogno di quelle pause da lui. Permettergli di vivere altrove era... un azzardo. Al di là di ciò che fosse giusto o meno, al di là della fiducia che poteva essersi guadagnato dopo la Notte Rossa, era qualcosa che andava contro le regole.
Non le piaceva l'idea di lasciarlo libero. Non era libero, non da quando...
... aveva fatto tutte le cose indicate in quella cartella che il Ministero della Magia le aveva inviato, per metterla in guardia. Cosa di cui, sette anni prima, non lo avrebbe creduto capace.

-Non sono cose vere- intervenne Jelonek a denti stretti, intercettando i suoi pensieri.

Kedavra detestava le continue dimostrazioni delle sue capacità innaturali, da sempre così superiori a quelle che lei aveva mai avuto. Le sue parole sulla questione non potevano avere valore, non più del rapporto redatto da dipendenti ministeriali tedeschi incaricati del suo caso e della sua scarcerazione.

-Hogsmeade non è molto abitata. Molti maghi e streghe preferiscono vivere altrove. In fondo alla High Street c'è un'abitazione abbandonata-

Era un brillio quello che scorgeva negli occhi di lui?

-Non potrà costare molto. Puoi andare a informarti domani, se lo desideri-

Jelonek scosse la testa, stavolta con un sorriso ben visibile sulle labbra.

-Non ho un soldo, Mandy. Ho dovuto investire tutto nell'esecuzione di Mr. Stumpy, ricordi?-

Alzò il moncherino, che Kedavra evitò di guardare.

-Mi stai chiedendo un prestito?- domandò, lentamente.

Jelonek si passò la lingua sulle labbra, senza preoccuparsi di celare un aperto ghigno.

-No, ti sto chiedendo di comprarmi una casa. E di garantire per me con il Ministero della Magia-

Kedavra aprì bocca, pronta a fargli comprendere l'assurdità di quello che aveva detto, ma lui si staccò dalla parete, continuando a mostrarle il moncherino. A quel punto, la Preside sollevò le sopracciglia.

-Non sei stato l'unico ad essersi sacrificato. Sidney non mi ha chiesto di comprargli una casa, Cappellopazzo non mi ha chiesto di alzargli i voti e Evey...-

Aveva continuato a guardarlo negli occhi e nel pronunciare l'ultimo nome, aveva visto...

-... che cos...-

Bussarono alla porta. Un rumore così inaspettato che Kedavra, per poco, non sobbalzò. Jelonek continuò a fissarla per qualche secondo, prima di rivolgere lo sguardo all'ingresso. Kedavra si dimenticò di invitare il visitatore a entrare, ma quello lo fece comunque.
L'uomo camminò all'interno dell'Ufficio come se lo possedesse, guardandosi tuttavia intorno con vaga curiosità. I suoi occhi chiarissimi, nascosti da esili occhiali dalla montatura leggera, esitarono soprattutto sugli strumenti argentati che, dopo la morte di Silente, erano stati riposti nelle teche ai lati della stanza. Solo quando si fu fermato ai piedi della breve scalinata che precedeva la mezzaluna rialzata su cui era posto lo scrittoio, si fermò e accennò un impercettibile inchino.

-Preside Kedavra-

Il tono era controllato, asciutto, privo di fronzoli, proprio come il suo completo grigio impeccabile, la camicia inamidata turchese e la cravatta rossa perfettamente in ordine. Le sue scarpe sembravano non avere mai toccato il suolo, tanto la pelle rifletteva la luce delle candele con un bagliore diffuso. Dalla tasca dei pantaloni spuntava una bacchetta di legno chiaro.

-Signor Morgenthal-

La Preside ricambiò il saluto, invitandolo ad accomodarsi. Mentre l'uomo avanzava e sedeva su una delle poltrone gemelle davanti alla scrivania, lo vide lanciare un'occhiata penetrante a Jelonek, che era tornato ad appoggiarsi alla parete, in silenzio. Kedavra sapeva bene quello che Morgenthal pensasse di Jelonek e della sua richiesta di averlo al castello. Tuttavia, non li aveva mai visti insieme nella stessa stanza. Jelonek appariva eccezionalmente silenzioso, quasi sottomesso; evitava il suo sguardo in maniera evidente.

-Serviti pure- Kedavra tornò a fissare l'emissario del Ministero della Magia mentre gli accennava alla tazzina da tè.

Morgenthal sollevò un paio di dita elegantemente, liquidando l'offerta. Invece, alzò la valigetta marrone che recava con sé e l'appoggio sulla poltrona libera, aprendone il lucchetto con uno svolazzo della bacchetta straordinariamente rapido. Non aveva nemmeno avuto il tempo di vedergliela sfoderare. Era l'unica persona che Kedavra conoscesse a poter fare una cosa del genere, almeno tra quelle che non avevano mai ricevuto un addestramento Auror mirato.

-Credo che la cosa migliore sia non trattenermi troppo. Chissà cosa è andato canticchiando, il nostro uccellino, senza il suo collare intorno al becco-

I saluti erano stati in un inglese perfetto, ma con frasi così lunghe il pesante accento tedesco era molto caratteristico. Kedavra capì alla perfezione che cosa intendesse dire con quelle parole, ma i termini scelti da lui non le piacquero comunque.

-Jelonek non ha nessun motivo per andare a dire a qualcuno del nostro accordo. Ha sacrificato una mano per questa scuola e i suoi abitanti. Mi ha... salvata quando sarei potuta morire accidentalmente. E quando sono venuti da me a chiedere dove si trovasse la Collana, è stato tra i primi ad alzarsi e difendermi. Non ha detto a nessuno quello che sa. Non ha detto a nessuno quello che sai tu, né che tu sai qualcosa, se è per questo-

Ebbene, lo stava facendo. Stava garantendo per lui, senza avere avuto nemmeno intenzione di farlo.
Morgenthal alzò entrambe le sopracciglia con evidente scetticismo. Quindi mosse di nuovo la bacchetta ed estrasse con essa due pesanti oggetti dalla valigetta. Uno era uno scrigno nero, senza iscrizioni. L'altro, una grossa lama ricurva avvolta da un panno.
Kedavra si dimenticò quello che doveva aggiungere. Accennò al coltello con aria interrogativa e Morgenthal lo scoprì, rivelandolo in tutta la sua lucentezza.

-Non esiste un Incantesimo che possa assicurare un taglio altrettanto netto e pulito-

Kedavra sentì Jelonek scostarsi dalla parete, ma non si voltò. Temeva di rivolgere al tedesco la domanda successiva.

-A cosa serve?-

Morgenthal non rispose subito. Invece, con la sua solita grazia sfiorò il contenitore con la punta della bacchetta. Si aprì lentamente, rivelando una mano sinistra in tutto e per tutto simile a quella anatomica, ma priva di unghie e di un intenso colore nero. La luce negli occhi di Morgenthal aveva un che di disturbante, così come il tono orgoglioso con cui parlò.

-Questo è l'ultimo Tracciatore che ho prodotto. Non è un semplice Collare. Non si indossa. Vedi, diventa piuttosto parte integrante dell'organismo-

Fece Levitare la mano al di sopra dello scrigno e rimase a osservarla, come in venerazione della sua stessa creazione.

-Ha un costo esorbitante. Ma non è ancora stato testato a dovere, possiamo solo ipotizzare gli effetti collaterali degli Incantesimi che gli permettono di funzionare. Questo è uno dei motivi per cui lui se lo può permettere dando fondo ai suoi risparmi. Gli ho già scritto i dettagli dei rapporti epistolari che mi dovrà corrispondere ogni due settimane. Una lettera che senza dubbio custodisce gelosamente-

Il suo sguardo sottile saettò di nuovo verso Jelonek, che questa volta lo incontrò, serio, senza dire una parola. Anche Kedavra poteva immaginare la fine di quella lettera. Conoscendo Jelonek, si trovava probabilmente dispersa nel cortile del San Mungo in mille pezzi.
Morgenthal continuò, senza attendere domande.

-Non consente di distinguere le temperature. Resiste al fuoco e al ghiaccio solo fino a un certo punto, dopodiché si rompe. Permette una certa sensibilità tattile: liscio, ruvido, morbido, duro, dovrebbero essere tutti distinguibili l'uno dall'altro. L'articolazione delle dita è buona. Non so se recepisce il dolore, né fino a che intensità. Certo è che stimolerà tutti i nervi dell'arto, fino al cervello, in caso di Infrazioni. Le Infrazioni sono le stesse previste dal Collare: utilizzo diretto di magia e perdita di controllo. Rabbia, trasporto eccessivo, alcool, Pozioni che alterino la tua percezione e il tuo controllo sulla realtà ti causeranno un dolore crescente, fino alle conseguenze che sono sicuro non vedrai l'ora di sperimentare in prima persona. Qualsiasi tentativo di liberarsi del Tracciatore avrà conseguenze ancora peggiori, tutte da scoprire-

C'era un'inconfondibile nota di soddisfazione dietro quelle parole. Kedavra non si lasciò trasportare.

-La Materializzazione congiunta? La Legilimanzia?-

Morgenthal socchiuse gli occhi, facendo cenno di avere già pensato a tutto.

-La Materializzazione congiunta e l'utilizzo di Metropolvere sono consentite, ma verranno registrate dal Tracciatore che ce le segnalerà immediatamente, in modo che sia sempre rintracciabile. Non potrà varcare i confini di uno stato senza che questo non ci venga subito notificato. Su Legilimanzia e Occlumanzia, se così si può definire quello di cui è capace, sono state applicate le stesse modifiche del Collare. Sperando che funzionino, ovviamente-

Kedavra registrò quelle informazioni. Si voltò verso Jelonek, che ricambiò il suo sguardo. Il ghigno era completamente scomparso dalle sue labbra. Si rese conto di non volerlo vedere così, ma allo stesso tempo, quello che Morgenthal stava dicendo le donava un inspiegabile senso di sollievo.

-Voglio monitorarlo direttamente io, in prima persona-

Morgenthal scosse la testa: -Questa è una tecnologia magica segreta di elevatissimo livello. Ho l'esclusiva sul suo utilizzo. Inoltre, il signor Fedoryen è responsabilità del Ministero della Magia tedesco. Ti ricordo che si trova qui esclusivamente per una... cortesia internazionale-

Kedavra emise uno sbuffo scettico.

-No. Jelonek si trova qui perché la sua testimonianza sul suo periodo di reclusione a Nurmengard potrebbe gettare te e il tuo Ministero nel fango. Jelonek si trova qui perché nonostante tutto non ha mai parlato ai giornali di quello che gli è successo, accettando di essere controllato da voi senza volere niente in cambio-

Jelonek si era avvicinato allo scrittoio, arrivando a essere in piedi dietro le sue spalle. Kedavra non poteva vedere la sua espressione, ma dal suo respiro poteva quasi cogliere la sua sorpresa. Era forse la prima volta che una sua azione fosse riuscita a stupirlo.
Morgenthal rivolse a Jelonek un'occhiata di puro disgusto. I suoi aguzzi zigomi si ammorbidirono appena nel tornare a guardare lei.

-La sua presenza qui ti indebolisce. È un pericolo per la tua scuola, per i suoi studenti-

-Non mi è parso affatto pericoloso, in una situazione di grande caos come è stata la Notte Rossa, quando avrebbe potuto approfittare per fare quello che voleva. Ha salvato alcuni studenti. Se avesse un qualche... piano, come sembri credere, quella era la sua occasione. Le sue intenzioni sono chiare, Christoffel. Vuole allontanarsi da voi. Vuole liberarsi della vostra prigionia, che a quanto pare, non si è fermata dopo la sua scarcerazione. Inoltre, sono stata io a chiamarlo. Era qualcosa che non poteva prevedere-

Morgenthal si portò la lingua dietro i molari, aggrottando appena la fronte.

-Continuerò a metterti in guardia su di lui finché non tornerai in te. A Berlino abbiamo avuto modo di vederlo all'opera. Può manipolare chiunque. E tu, in questo caso...-

-Credevo non ti potessi trattenere- lo interruppe Kedavra, indicando la mano ancora sospesa tra di loro -Puoi procedere-

Morgenthal non tentò nemmeno di continuare. Del resto, si erano scambiati infinite lettere al riguardo, e i rispettivi punti di vista erano ormai alquanto chiari. Si alzò in piedi e fece sbrigativamente cenno a Jelonek di avvicinarsi, cosa che il Legilimens fece mascherando un'esitazione altrimenti palpabile. Gli prese il braccio mutilato e lo tenne fermo sulla superficie dello scrittoio con la sinistra, appena al di sotto del gomito.
Non esisteva confronto tra la stazza di Jelonek e quella di Morgenthal, che indicava una trentina di anni di vita comoda alle spalle, senza sforzi fisici di sorta. Eppure, Kedavra notò che Jelonek non tentava minimamente di liberarsi dalla presa. Attendeva, con una pervasiva rassegnazione sul volto. E qualcosa... qualcosa che poteva essere scambiato per paura.
Solo allora, la Preside si ricordò del coltello.

-A cosa serve?- chiese di nuovo, rendendosi conto che il suo ospite non l'aveva mai veramente spiegato.

Morgenthal afferrò la lama con aria pratica e la sollevò. La bacchetta era di nuovo scivolata in tasca senza che nessuno se ne fosse accorto.

-Questo Tracciatore deve diventare parte dell'organismo. Deve poter agire con l'organismo. Non può fissarsi sulla pelle integra. Ha bisogno della carne viva per poter funzionare a dovere-

Kedavra sentì il cuore balzarle in gola.

-Non intenderai...?-

Ma Morgenthal stava già posizionando la lama circa due centimetri al di sopra del punto in cui l'avambraccio di Jelonek si interrompeva, dove l'enorme ferita si era rimarginata con tanta difficoltà.

-Non esiste altro modo. Non allarmarti, ha vissuto di peggio-

Kedavra era scattata in piedi, quasi senza rendersene conto. Jelonek girò la testa verso di lei, guardandola al di sopra della spalla. Era pallido, ma il suo corpo non pareva tremare, a differenza del suo.

-Morgenthal, posso farmi portare una Pozione che limiti il dolore, posso...-

-Non hai sentito, Mandy? Nessuna Pozione che alteri il mio stato di coscienza- la voce di Jelonek era sorprendentemente tranquillizzante. Era la prima volta che parlava da quando Morgenthal era entrato nella stanza. La sua fronte era imperlata di sudore e sulle sue labbra era comparso l'accenno di un sorriso sinistro.

-Io non...-

-Non ha senso perdere altro tempo- fece Morgenthal, e prima che chiunque altro potesse aggiungere qualcosa, fece calare la lama sul braccio sinistro di Jelonek.

Uno strano fischio parve riempire le orecchie di Kedavra mentre Jelonek gemeva, afferrandosi allo scrittoio con la mano integra. Il grosso coltello aveva attraversato la pelle, i fasci di nervi, i muscoli, la carne e l'osso del Legilimens, passando da parte a parte in un unico movimento fluido e deciso. La scrivania venne invasa da sangue denso, che prese a imbrattare tutte le pergamene intorno.
Si accorse che ora, le spalle di Jelonek erano scosse da un tremito. Si accorse che la mano destra di lui non era più stretta attorno al bordo di palissandro, ma al suo polso. La strinse di rimando, mentre Jelonek emetteva respiri strozzati e tornava a guardarla, attraverso i ciuffi di capelli che gli ricadevano sugli occhi.

-Le... le schegge... del pavimento della tua camera da letto, Mandy...- deglutì, a fatica -Fanno molto... molto più male-

Sulla scrivania non c'era che sangue. Morgenthal, intanto, aveva riposto il coltello dopo averlo ripulito accuratamente e ora aveva ripescato il Tracciatore. Lasciò andare il braccio di Jelonek mentre, come se niente fosse, spingeva la protesi direttamente sulla carne viva, mormorando Incantesimi e compiendo movimenti rapidissimi con la bacchetta.
Jelonek le strinse la mano così forte che Kedavra temette le si stesse per spezzare. Questa volta, fu un grido autentico quello che gli uscì dalle labbra. Lungo, stonato. Quando perse i sensi, Kedavra fece appena in tempo a evitare di fargli sbattere la testa per terra, sollevandolo con un Mobilicorpus. A quel punto, ancora ansante, guardò Morgenthal, che stava tranquillamente riponendo il contenitore nella valigetta come se non avesse fatto nulla di più eccitante dell'evocazione di un mazzo di fiori.

-Era... era necessario?-

Morgenthal si era fatto nuovamente scivolare la bacchetta in tasca. Non rispose alla sua domanda, evidentemente trovandolo non necessario. Invece, aggirò la scrivania e sollevò il braccio abbandonato di Jelonek. Al di là del rosso che gocciolava a terra, era possibile vedere che le vene attorno al polso erano diventate nere. Questa vista sembrò accontentare Morgenthal, che tornò alla sua poltrona e prese ad abbottonarsi la giacca.

-Il Tracciatore è fissato. Fagli scrivere il primo rapporto quando si risveglia. Può prendere una Pozione Rimpolpasangue, se dovesse essere indispensabile-

Dal tono che aveva utilizzato, era chiaro che non lo ritenesse indispensabile. Afferrò la valigetta, pronto ad andare. Quindi, si chinò appena per raccogliere la tazzina che Kedavra gli aveva predisposto. Anche dalla sua posizione, era evidente che alcune gocce di sangue erano schizzate all'interno.
Morgenthal se la portò alle labbra, bevendo un lungo sorso. Quindi, ripose la tazza sul piattino e scambiò un ultimo sguardo con la Preside di Hogwarts.

-Visto come stanno le cose, non ci rivedremo per un po'. Non fidarti di lui. Aspetto la sua lettera. Buona serata-

Con questo congedo, Christoffel Morgenthal si voltò e si incamminò fuori dall'Ufficio del Preside.

-Kedavra

Edited by Kedavra - 27/5/2014, 03:54
 
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view post Posted on 12/8/2014, 05:47
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//Giorno 345. Dopo il Ballo.

Era stata una conversazione piuttosto breve. Dal camino, la testa di Morgenthal le aveva esposto i fatti in una sorta di gelida cronaca, come se ormai glieli avesse ripetuti così tante volte da non farli risultare più così pregni di significato. La Preside di Hogwarts aveva iniziato ad ascoltarlo in piedi, perfino sporta leggermente verso di lui, combattendo l'impulso di appoggiarsi alla mensola di marmo per sorreggersi, ma quasi subito gli aveva voltato le spalle, tentando qualche passo sui tappeti che ricoprivano la fredda pietra dell'Ufficio del Preside. Non si coprì la bocca con le mani, non si ravviò i capelli, non espresse con uno scoppio di rabbia ciò che le parole dell'Inventore le avevano scatenato.
Quando l'uomo ebbe finito di parlare, Kedavra non si concesse più di un paio di secondi prima di dirgli, dandogli ancora le spalle:

-Vieni qui a Hogwarts. Dobbiamo parlarne di persona-

Anche senza guardarlo, anche senza la Legilimanzia che era abituata ad avere, Kedavra sapeva perché Morgenthal se ne stava in silenzio. Non aveva alcuna voglia di perdere tempo con i suoi quesiti tecnici, non in una situazione simile.

-Scioglierò gli Incantesimi protettivi dell'Ufficio per i prossimi quindici minuti. Il tempo di creare e usare una Passaporta-

Morgenthal non si profuse in cenni o affermazioni di assenso. Quando Kedavra si voltò, le fiamme verdi avevano già lasciato il posto alle braci naturali e dell'Inventore non c'era più traccia. La Preside prese a percorrere il perimetro della stanza, lanciando Incantesimi alle pareti, al pavimento e al soffitto, mormorando le formule a mezza voce. Quando ebbe finito, la pendola nell'angolo vicino all'ingresso indicava che solo sei dei quindici minuti che aveva concesso all'Inventore erano passati. Alzò lo sguardo su Jelonek, che nell'attesa si era appoggiato alla scrivania. Si rigirava un cravattino rosso tra le mani ma, come sempre, non appariva particolarmente turbato dalla situazione.
Fu solo guardandolo che Kedavra realizzò di non avere un'idea precisa del perché avesse voluto che Lordoch lo chiamasse, del perché l'avesse voluto lì a tutti i costi, ma non era pentita della sua scelta. Nessun altro, a Hogwarts, aveva avuto a che fare con Morgenthal, a parte loro due, e in qualche modo non riusciva a essere da sola. Forse - pensò furtivamente, intravedendo con la coda dell'occhio uno degli ultimi bauli del Legilimens rimasti nella stanza da letto attigua - non era più abituata a rimanere da sola.
Scacciò violentemente quell'ipotesi (ma lui l'avrebbe scorta comunque, e avrebbe sorriso), imponendosi una sorta di concentrazione che la aiutasse a decidere come agire. Avrebbe indetto una riunione Auror, o meglio, quante più riunioni Auror potessero permettersi. Morgenthal non l'avrebbe passata liscia. Dovevano muoversi.
(Lui si trova qui perché...)
"Mani sbagliate". Così ha detto Shaverne. Se il Burattinaio vi arrivasse prima di noi, sarebbe la fine. Avrei tutti sulla coscienza.
No. No, no. Morgenthal avrebbe tutti sulla coscienza.

(Morgenthal non ha una coscienza. )
Nessuno avrà sulla coscienza nessuno. Questa è la mia occasione, la nostra occasione. Uscirà allo scoperto. Farà un errore.
Ma dovremo arrivarci prima noi. Per tutto ciò che c'è di buono, dovremo arrivarci prima noi.

(... Lui è qui perché vuoi che ti veda mentre ti arrabbi con Morgenthal, mentre gli dai del buono a nulla. Vuoi che ti veda redimerti. )
Non ci sarà alcuna redenzione, per nessuno di noi.

-Lo sapevi?-

Chiese Kedavra a bruciapelo, la voce quasi tremante di rabbia. Jelonek era riuscito, in qualche modo, a stringere il papillion in un lento fiocco, legato al di sopra dell'attaccatura del Tracciatore. Per un istante fu turbata dal pensiero che si potesse trattare di un qualche beffardo messaggio per Morgenthal, sensato solo nella mente deviata del Legilimens.
Lui alzò lo sguardo su di lei con un vago sorriso. Non rispose alla domanda superflua; entrambi erano più che consapevoli che Jelonek avesse sempre saputo, sin dall'inizio.
A questa considerazione, Kedavra fu sul punto di apostrofarlo, ma dimenticò tutto quando notò le macchie scure sulla manica della giacca e le striature che spiccavano sulla pelle visibile oltre il polsino.

-Perché sei sporco di sangue?- domandò, la voce appena tremante.

Jelonek Fedoryen lanciò un'occhiata al polso destro, quello ancora umano, quindi aggrottò le sopracciglia.

-Sono scivolato nella doccia-

Aveva già usato quella battuta, prima. Era esasperante, ma non quanto la sua incapacità di estrapolargli la verità con qualche tecnica Legilimantica. Non ne era ancora in grado e di certo era troppo scossa per tentare qualche nuovo esercizio.

-Vieni- ordinò bruscamente la Preside, estraendo di nuovo la bacchetta -Fammi vedere-

Otto minuti.
Jelonek non si mosse, malgrado un impercettibile tentativo di ritrarsi alla vista dell'arma. Mantenne invece un insolito ghigno sulle labbra. Kedavra ebbe la sgradevole sensazione che avesse trovato, nella sua mente, ciò che cercava; ovviamente, quello che lei tentava inutilmente di nascondergli. Era qualcosa a cui era impossibile abituarsi.
Salì con rabbia i gradini che li separavano e tagliò di netto la stoffa di giacca e camicia, rivelando i profondi graffi che gli percorrevano l'avambraccio. Alcuni sanguinavano copiosamente. Erano ben visibili un paio di schegge lucenti ancora incastrate nella carne.
Kedavra scoprì che non le importava come se li fosse procurati, né intendeva distrarsi con le sue risposte divaganti. Tenendogli fermo il braccio con la mano sinistra, fece compiere alla bacchetta una serie di movimenti atti a ripulire e fasciare le ferite. Lo sguardo di Jelonek rimase immobile su di lei. Quando la Preside tornò a fissarlo, incontrò l'immagine confusa di una finestra che andava in frantumi nel buio, il tutto contornato da un acceso sentimento di rabbia distruttiva. Cosa diamine poteva essere successo? Jelonek non era tipo da scoppiare in eccessi del genere, non...
(A parte quando ha ucciso. )
Mi sto distraendo. Deve andarsene.
Strinse la benda con un ultimo nodo, poi gli voltò le spalle, socchiudendo appena gli occhi in un sospiro che doveva aiutarla a mantenere la calma, ma che invece la fece infuriare maggiormente.
Dieci minuti.
Proprio in quel momento, il suono di una sorta di risucchio riempì la stanza. La Preside non attese nemmeno che Christoffel Morgenthal si riprendesse dal fulmineo viaggio in Passaporta per iniziare a inveire contro di lui.

-Lo hai scritto!-

Lo aggredì, alzando un indice contro di lui mentre si allontanava da Jelonek.

-Abbiamo parlato per settimane di norme di sicurezza, protezione, necessità di segretezza e... tu lo hai scritto su un foglio-

Alzò gli occhi al cielo, come cercando da qualche parte la forza di gestire un disastro del genere. Solo quando ebbe tratto qualche altro respiro, rifuggendo l'immagine degli scenari apocalittici che continuavano a presentarsi nella sua mente, riuscì a guardare Morgenthal.
L'uomo se ne stava ritto al centro dell'Ufficio del Preside. Indossava un completo gessato grigio fumo, con una cravatta blu così stretta intorno al suo esile collo che sembrava impossibile che non lo stesse strozzando. Kedavra non si abbandonò a una fantasia simile.
Il portamento dell'Inventore era solo leggermente diverso dal solito. La Preside fu quasi compiaciuta nel notare qualche traccia di imbarazzo sul suo volto, testimoniato da un lieve tic nervoso a livello del sopracciglio. Nel complesso, comunque, sembrava semplicemente in attesa della sua occasione di parlare. Si chinò senza interrompere il contatto visivo, come in presenza di un felino pericoloso, e posò uno strano oggetto a terra. Qualcosa che assomigliava terribilmente al teschio di un qualche primate e che Kedavra immaginò si trattasse del complemento da ufficio che aveva trasfigurato in una Passaporta. Non era il momento, comunque, di discutere del suo dubbio gusto in materia di fermacarte. Era il momento delle spiegazioni e delle soluzioni.

-Spiega di nuovo tutto. Dal principio-

Poteva servirle. Doveva assicurarsi di non avere trascurato alcun dettaglio.
Morgenthal diede in un leggero cenno di assenso, inspiegabilmente sollevato, quindi prese a parlare nel suo freddo accento mitteleuropeo:

-Hansi Kolffer. Impiegato dell'Ufficio Manufatti e Congegni Magici come Archivista. Il mio Ufficio. È stato trovato morto, schiantato, sul marciapiede sotto una delle finestre del nono piano del Ministero. Classificato come suicidio-

La Preside socchiuse gli occhi. Non riusciva a dispiacersi per uno sconosciuto impiegato del Ministero della Magia tedesco quanto le dispiacesse per tutti loro. Se avessero fallito.

-Ripetimi cosa avete scoperto-

-È stata aperta un'inchiesta. Pare che Koffler non fosse il tipo da suicidarsi. C'è chi ritiene che non abbia agito di sua spontanea volontà nel buttarsi dalla finestra-

Kedavra odiò con tutto il cuore quella pausa ad effetto, ma non disse nulla.

-Potrebbe essere un omicidio. Ma ho preferito ricontrollare gli Archivi dell'Ufficio, per sicurezza. L'ho fatto personalmente-

Si passò la lingua sottile sulle labbra rosee. La Preside poté sentire Jelonek, qualche passo dietro di lei, mettersi comodo sulla scrivania. Per lo meno, c'era qualcuno che si stava godendo quel momento.

-Il documento è sparito. Il documento in cui avevo appuntato le indicazioni per trovare la Collana, in caso...-

Kedavra scosse lentamente la testa, come delusa dal fatto che la versione di Morgenthal non fosse cambiata, che una cosa simile potesse veramente essere accaduta, ma l'Inventore proseguì ugualmente.

-... in caso qualcuno ci avesse uccisi. Per motivi di sicurezza, nel caso ci si trovasse a doverla recuperare per evitare che venga trovata e usata. O per poterla studiare, passato il pericolo-

Fece quell'ultima aggiunta con un brillio nello sguardo. Kedavra lo aveva sospettato dal secondo in cui aveva scoperto che Morgenthal aveva scritto su carta le indicazioni per trovare la Collana; lo aveva fatto per sé, per potersi concedere di studiarne i meccanismi magici quando il pericolo fosse stato scampato, come una sorta di premio personale. Non aveva resistito alla spinta della propria curiosità. E quella curiosità, ora, rischiava di ucciderli tutti.
Si passò una mano sulla tempia, sforzandosi di ragionare, mentre tutto quello che desiderava in quel frangente era spedire Morgenthal con la testa sulle braci ardenti e osservare i suoi occhialini fondersi in una massa informe.
L'Archivista dell'Ufficio in cui lavorava Morgenthal trovato morto in circostanze misteriose. La pergamena scomparsa dallo schedario. La pergamena con le indicazioni per arrivare alla Collana.
Deve avergli fatto quello che ha fatto a Valerius durante il duello. Deve essersi impossessato dalla sua mente e del suo corpo, avergli fatto recuperare il documento e poi averlo costretto a suicidarsi. Appena ha finito di usarlo.
Succederà a tutti noi, adesso. Sta venendo qui.
No. No, non sarebbe accaduto. Non se avessero agito in fretta.
Si decise a fare la domanda più spaventosa di tutte.

-Cosa c'era scritto esattamente su questo documento, Morgenthal? E perché... perché diavolo non mi ha chiesto se potevi farlo? Quando pensavi di dirmi di avere affidato la sicurezza del mondo magico a un po' di inchiostro su carta?!-

L'Inventore si passò di nuovo la lingua sulle labbra. Sembrava determinato a non mostrarsi scosso o pentito delle sue azioni, ma il suo nervosismo era tradito dalla forzata immobilità del volto, che lo portava a non battere neanche le palpebre.

-Non è semplice inchiostro e non è semplice carta-

Parve come indeciso per qualche attimo. Quindi, muovendosi molto accuratamente, si portò la mano in tasca e ne estrasse un foglio di pergamena. Kedavra aggrottò la fronte fissando il nuovo oggetto comparso sulla scena.

-Che significa?-

Questa volta, Morgenthal deglutì, un segno di debolezza che venne prontamente dissimulato in una rinnovata rigidità di busto e collo. Alzò appena una mano, come accennando ad attendere la sua spiegazione.

-Mi avevi chiesto di fare in modo che nessuno fosse in possesso di tutte le informazioni necessarie per trovare la Collana. I maghi che hanno collaborato al sistema di sicurezza hanno firmato una liberatoria perché venisse loro cancellata la memoria. La stessa che ho firmato io, salvando solo poche informazioni. I dettagli del nascondiglio non sono noti a nessuno e non sono scritti da nessuna parte-

-E allora qual è il valore del documento? Cosa c'è scritto nel documento rubato, Morgenthal?-

Morgenthal le porse la pergamena.

-Leggi tu stessa-

La Preside strinse gli occhi, senza riuscire a capire.

-Se il foglio è stato rubato, tu come puoi...-

-Ne ho fatto una copia e l'ho nascosta nella mia scrivania- spiegò Morgenthal tutto d'un fiato, celando il timore per la sua reazione, la quale non tardò ad arrivare.

-Hai trascritto informazioni top-secret su due fogli di pergamena?-

Kedavra era sbalordita. Mentre scendeva i gradini dirigendosi verso l'Inventore, sfiorò il pensiero che l'uomo avesse semplicemente smarrito il senno.

-Ci saranno conseguenze. Se dovesse succedere qualcosa, verrai processato per alto tradimento-

-Non potrò mai essere processato per avere scritto questo-

Le premette la pergamena nelle mani, risultando tutto sommato piuttosto tranquillo. Il foglio era quasi completamente bianco, a parte alcune righe nella parte alta. Kedavra le lesse velocemente. Quando risollevò lo sguardo su di lui, il dubbio che fosse del tutto impazzito si era fatto più fondato.

-Questo è soltanto...-

-Un passo del Faust, una popolare opera babbana tedesca. L'unica cosa che può risultare sospetta è che sia scritta in inglese. Ma nessuno avrebbe mai trovato troppo interessante la sua presenza nell'Archivio-

Kedavra non sapeva cosa pensare. Valutò brevemente l'ipotesi di ricacciarlo in Germania e denunciarlo alle autorità, o arrestarlo lei stessa. Ma lui continuò a parlare.

-L'estratto è inutile senza le mie indicazioni per sapere come decifrarlo. Le mie indicazioni sono inutili senza conoscere il luogo a cui fanno riferimento. Senza trovarsi nel luogo giusto, il resto delle indicazioni non compariranno nemmeno. La pergamena è incantata per rivelarsi solo al momento opportuno, soddisfatte alcune condizioni, e soprattutto solo ed esclusivamente nel luogo adeguato. Soltanto i qui presenti sanno di che luogo si tratti. Senza questa informazione, questa pergamena non è altro che una raccolta di citazioni letterarie tradotte in maniera mediocre-

Kedavra gettò un'altra occhiata al foglio, quindi lo abbassò, ma non lo restituì.

-Hai pensato che fosse sicuro nascondere... questo... nella tua scrivania?-

Morgenthal liquidò la polemica con un gesto della mano, segno che stava acquisendo sicurezza.

-La mia scrivania è il posto più sicuro dopo quello in cui la Collana è stata nascosta. È Incantata per autodistruggersi dopo la mia morte. Se mi fosse capitato qualcosa, il documento in Archivio ti sarebbe stato spedito. Con un po' di tempo, avresti capito come interpretarlo-

L'Inventore emise un breve sospiro.

-È difficile che il ladro capisca le indicazioni, specie se non conosce il luogo a cui fanno riferimento o il funzionamento della pergamena, ma sicuramente siamo più esposti ora di prima. La Collana non può più rimanere al suo posto. Deve essere recuperata e locata altrove-

-Te ne occuperai tu- fece immediatamente Kedavra -Sei tu il responsabile di quello che è successo-

Le labbra filiformi di Morgenthal si distesero in un sorriso che non si allargò al resto del viso.

-Non è la mia giurisdizione e non sono certo un combattente esperto. Posso darti le informazioni che ho chiesto mi venissero risparmiate dall'Incantesimo di Memoria. Sarà il vantaggio più importante che avrete sul ladro-

-Avremo?- ribatté Kedavra, seccamente.

-Il sistema di sicurezza è progettato per impedire a una persona singola di raggiungere la Collana. Consiglio piuttosto un nutrito gruppo di maghi e streghe abili. Potrete... perdere qualcuno durante il percorso-

Le dita di Kedavra formicolavano.

-Mi stai chiedendo di inoltrarmi nell'Ufficio Misteri sfidando le tue trappole e qualsiasi orrore sia sepolto laggiù, mettendo a repentaglio la vita dei miei Auror con... nient'altro che una pergamena su cui fare affidamento?- chiese, piano, sentendo il proprio cuore batterle furiosamente nelle orecchie.

Morgenthal annuì.

-Puoi anche sperare che tutto vada per il meglio e non fare nulla. La pergamena contiene indicazioni estremamente difficili da capire. E non abbiamo motivo di sospettare che nessuno qui abbia spifferato il nome "Ufficio Misteri" a qualcuno, non è così?-

Per la prima volta da quando era comparso con la Passaporta, Morgenthal si voltò verso Jelonek, arricciando un labbro. Il Legilimens mostrò il Tracciatore infiocchettato in un gesto di saluto.

-A Prosit manca l'aria della Germania- fu tutto ciò che disse, con un fallito tentativo di sorridere.

-Tornerà a respirarla presto- ribatté Morgenthal con una punta di allegria, prima di tornare a guardare Kedavra.

La Preside non aveva seguito lo scambio tra i due. Il suo sguardo era perso tra le ultime fiamme nel caminetto, morenti. Stringeva ancora la pergamena tra le mani.

-Dobbiamo agire in fretta. È un Negromante. Potrebbe avere mezzi per decifrare il codice, mezzi che non conosciamo-

Si riscosse, dopo avere parlato come tra sé e sé. Fissò Morgenthal con durezza.

-Se davvero dobbiamo andare là sotto, avremo bisogno delle tue informazioni. Avremo bisogno di qualsiasi vantaggio su di lui-

L'Inventore annuì lentamente.

-Quello che so ti farà capire cosa fare, ma non lo renderà più semplice. È il sistema di sicurezza più ingegnoso che abbia mai creato. Non ne esistono di simili in tutto il mondo-

-Lo so-

O non avrei chiesto a te di nasconderla.
Dopo averle appesantito le membra, la stanchezza sembrava infine averla abbandonata. Una luce violacea penetrava dalle finestre prive di tende dietro il suo scrittoio. Il suo pensiero vagò ai corridoi oscuri e sconosciuti dell'Ufficio Misteri, dove i raggi dell'alba non li avrebbero raggiunti. Represse un brivido.

-Dimmi quello che sai-

Morgenthal scambiò un'ultima occhiata verso Jelonek.

-I segreti di questo tipo sono inclusi nella clausola "Segreti di Stato" del tuo Tracciatore. Se li rivelassi, incorreresti nelle stesse conseguenze relative alla diffusione di informazioni tratte con la tua Legilimanzia. È il caso di tenerlo a mente... o forse no. Sarei felice di assistere a quello che succederebbe se dovessi parlarne con qualcuno-

-Non ne parlerà- tagliò corto Kedavra.

Guardò Jelonek a sua volta, prima di abbassare impercettibilmente gli occhi a terra.

-Mi fido di lui-

Deglutì appena, prima di risalire i gradini e sedersi in una delle poltrone poste davanti alla scrivania, invitando Morgenthal a fare lo stesso. Lo sguardo di Jelonek era tornato a fissarsi sulla sua figura, inamovibile, ma questa volta la Preside non se ne accorse. Invece, piegò con cura la pergamena e se la inserì in tasca, vicino alla bacchetta.

-Avanti. Non abbiamo molto tempo-

Dopo avere annuito un'ultima volta, l'Inventore ricominciò a parlare.

-Kedavra

Edited by Kedavra - 12/8/2014, 08:24
 
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view post Posted on 19/9/2016, 07:06
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//Notte 437. Qualche tempo dopo gli Interrogatori.

I have never wished you dead
Yet.




-... mi sono presentata, con il mio nome e il mio ruolo. Poi gli ho chiesto...

Una bacchetta saettò nell'aria, atterrando in un movimento elastico con un rumore di legno su nocche. La voce di Kedavra si interruppe in una breve imprecazione. J. F. risollevò la bacchetta, rimettendola in posizione, pronta a colpire di nuovo. Se qualcuno fosse entrato in quel momento e avesse visto la Preside di Hogwarts con le mani stese sulla scrivania come una scolaretta degli anni Cinquanta, la sua reputazione ne avrebbe risentito. Ma nessuno veniva nel suo Ufficio alle - il suo sguardo vagò verso la pendola, furtivo, anche se Jelonek non voleva - tre e quarantasette del mattino. Quello era uno dei motivi per cui aveva detto a Jelonek di venire a quell'orario. Qualcosa come sei ore prima, in effetti. I suoi ultimi, imperdonabili errori lo avevano persuaso a dare inizio alla prima sessione di Deframmentazione di quella lezione, e per il Legilimens quel tipo di esercizio non esisteva se deprivato del cosiddetto Indirizzamento. Kedavra gli aveva chiesto più volte se l'Indirizzamento dovesse per forza includere punizioni corporali in caso di errori (il che le sembrava privo di basi teoriche difendibili) ma lui l'aveva sfidata a guardarlo negli occhi e trovare la risposta da sola. Quello era il punto in cui si arenava sempre la sua voglia di protestare. Ovviamente, Jelonek lo sapeva bene.

-Il discorso diretto, Mandy. Le parole precise.

Era seduto al lato opposto della sua scrivania, la schiena piegata in avanti in modo da raggiungere meglio le sue mani stese. Lei si era rifiutata di consegnargli la sua bacchetta, naturalmente: non aveva alcuna intenzione di vederlo appiccare fuoco alle sue scartoffie per un movimento troppo brusco, così gliene aveva data una rotta, che giaceva nell'ultimo cassetto del suo scrittoio da tempo immemore. Il disappunto di non averla disarmata era stato ben presto sostituito dal compiacimento di poter infierire sulle sue nocche. "Il dolore funziona meglio dei ricordi. Il corpo ricorda meglio della mente", era stata la sua giustificazione, ma non era bastata a liberarla dall'idea che la stesse prendendo in giro. Oltre a questo, qualcosa in lei si ribellava all'idea di fargli intendere che lui fosse in grado di ferirla. Le sue dita ne stavano facendo le spese.
In ogni caso, le bacchettate contribuivano a tenerla sveglia. E a farla imbestialire.
I suoi occhi si assottigliarono mentre li rivolgeva a lui. Ogni dettaglio del suo aspetto incendiava il suo umore, dai suoi capelli puliti e il loro vago effluvio di violette, alla camicia larga bianca decorata con disgustosi cuoricini rossi, fino a Trismegisto, appollaiato sulla spalla di lui, intento a osservare la scena con un brillio sadico nelle pupille gialle. Poteva essere il gatto più docile del mondo quando erano da soli, ma il Legilimens sembrava dotato del potere di corromperlo. Insieme a quest'ultimo, il felino alternava lo sguardo tra la pergamena con la trascrizione dell'Interrogatorio di August Booth, prelevata dagli archivi del Quartier Generale per la stesura di un rapporto che giaceva da qualche parte, incompiuto, e la sua padrona, che si mordeva la lingua per trattenere invettive e si stiracchiava le dita quando credeva di non essere vista.

-Era... era pomeriggio inoltrato.

Abbassò la testa. Sollevò una mano per massaggiarsi la tempia. Cercava di ricordare. Aveva una vaga immagine di come Booth fosse vestito ed era certa di sapere rievocare le risposte che le aveva fornito, ma non era ciò che interessava a Jelonek. La Deframmentazione doveva, per utilizzare il gergo semplicistico del Legilimens, "pulirle il cervello", per farla esercitare più lucidamente. I ricordi erano in continua rielaborazione in un flusso infinito e costante di informazioni. Per poter usufruire della propria mente, avrebbe dovuto purgare i pensieri attuali di ogni inquinamento passato, riordinarli.
Scosse il capo. Fece per chiudere gli occhi, ma Jelonek la bacchettò di nuovo, strappandole un grugnito. Doveva sempre essergli accessibile. Piantò lo sguardo nel suo, trattenendo un sospiro di frustrazione: -No... no, era mattina. Gli ho detto "buongiorno".
Vide la bacchetta alzarsi di nuovo e si corresse: -"Buongiorno, August."

Il Legilimens non parve impressionato. Scambiò un'occhiata d'intesa con Trismegisto, quindi alzò le spalle.

-Hai tirato a indovinare. Continua.

Kedavra si stiracchiò le rughe meditabonde che le tagliavano la fronte. Questa volta, fece attenzione a non distogliere lo sguardo da Jelonek mentre parlava, cercando di suonare sicura: -Mi sono presentata, ho fatto... mmm... un riferimento al ruolo con cui è più familiare.

-Questo è quello che faresti, Mandy, ma non mi importano le tue tecniche d'Interrogatorio. Che, tra l'altro, non funzionano.

-E cosa potresti saperne, tu?

-Non stai ricordando. Stai ipotizzando. Non stai ricordando, non stai sentendo.

La Preside si morse il labbro. Continuò a fissare Jelonek, cercando di vedere al di là del grigiore spento dei suoi occhi. Cercò di risentire la propria voce, così come era risuonata quella mattina di qualche settimana prima, nella Sala Interrogatori numero cinque, ma non si trattava di una voce singola. Nella sua mente risuonava un coro di saluti tutti uguali. Tentò, non volendo prolungare il silenzio.

-"Mi conosci come la Preside Kedavra."

Bacchettata. Un flash di dolore, l'impressione che un primo strato di pelle si fosse staccato contro il legno. Non cedette. Doveva pensare a quello che aveva detto quel giorno.

-"Mi conosci come Kedavra Mandylion. Dirigo il tuo Interrogatorio. Questo è... il professor Fedoryen, il nostro Collaboratore est..."

Jelonek fece per abbassare la bacchetta, ma Kedavra ritrasse la mano e balzò in piedi. Trismegisto mutò la sua espressione da truce a incuriosita.

-Non posso ricordarmi parola per parola quello che ho detto, Jelonek. Ho diretto decine di Interrogatori in quei giorni.

Ora che si trovava eretta davanti a lui, era irritata. Era saltata in piedi quasi istintivamente, ma era stata soltanto la stanchezza ad averle impedito di reprimere quell'impulso. Non stavano andando da nessuna parte. Aveva bisogno di una pausa, ma aveva vissuto abbastanza lezioni con Jelonek da sapere che lui non gliel'avrebbe mai concessa. Una mente indebolita è facilmente accessibile, ed è generalmente incapace di usare la Legilimanzia in maniera efficace. Lui lo sapeva, e amava approfittarne. Il suo tornaconto era proprio quello, il motivo per cui si mostrava integerrimo e severo quando vestiva il ruolo del maestro. Gli piaceva vedere fino a che punto l'avrebbe spinta il suo orgoglio. Quanto sarebbe riuscita a sopportare.

-Hai trascinato anche me in decine di Interrogatori in quei giorni. - fece notare lui, accarezzando Trismegisto con la sua mano umana. Il Tracciatore era abbandonato sulla sua coscia. Kedavra evitava di guardarlo direttamente; le ricordava la scena di Morgenthal che gli mozzava centimetri di polso appena guarito per saldarglielo con i suoi Incantesimi e quell'immagine le stringeva lo stomaco. Cercò di non distrarsi mentre Jelonek continuava a parlare, la voce che si faceva melliflua.

-Io c'ero e non hai detto sempre le stesse cose, Mandy. Quello che hai detto in quell'Interrogatorio è solo uno dei tanti ricordi che ti girano per la testa. Si mischiano con gli altri. Interferiscono con quello che devi fare. Siediti e guardami.

Kedavra rimase in piedi. Non gli avrebbe chiesto una pausa, ma lui non aveva modo di rimetterla al lavoro subito, se se la fosse presa comunque. Agitò la propria bacchetta e mise a bollire dell'acqua. Gettò poi un'occhiata alla sua mano destra. Come sospettava, le nocche erano spellate e vi emergeva la carne viva, con qualche goccia di sangue. Gliele mostrò in un gesto piccato.

-Soddisfatto? Non sta funzionando. L'Indirizzamento o come lo chiami. - lo provocò, prima di abbandonarsi di nuovo sullo scranno dietro la scrivania. Era raro che non sedesse composta, ma in quel momento si accasciò sullo schienale imbottito quasi senza pensarci. Non sapeva quando avesse iniziato a sentirsi tanto a suo agio con lui. Ma trovarsi per ore chiusi nella stessa stanza mentre il resto del castello dormiva, ogni giorno, per mesi, doveva averci qualcosa a che fare.

Quando da Jelonek non giunse alcuna risposta, lo guardò di sottecchi. Ciò che vide le ricordò qualcos'altro degli estenuanti giorni degli Interrogatori. Aveva notato, in lui, un atteggiamento diverso. Si era fatto schivo, per lo più silenzioso; la seguiva passivamente e non sembrava smaniare per farle intuire di avere compreso la verità prima di lei quando un Interrogato rispondeva. Quando le loro lezioni erano riprese, aveva avuto modo di credere che si fosse immaginata tutto. Lui non aveva niente di diverso: era sempre sarcastico, brutale e inflessibile, come era sempre stato da quando lo aveva chiamato a Hogwarts. Aveva quindi accantonato la questione. Ma ora, vedendolo per un attimo con lo sguardo basso e vacuo, piombato in un improvviso silenzio, fu costretta a ripensarci.
Se gli avesse fatto una domanda diretta, lui l'avrebbe sfidata a usare la Legilimanzia. Inevitabilmente, lei avrebbe fallito di nuovo. Così, non disse nulla. Quando l'acqua fu abbastanza calda, Evocò uno straccio pulito e lo intinse. Alzò la manica dell'abito mentre tamponava le ferite, ottenendo immediato sollievo. Si godette la sensazione per qualche minuto, prima di accorgersi che gli occhi di Jelonek si erano sollevati ed erano fissi sulla sua mano. Seguendo il suo sguardo, Kedavra capì cosa aveva attirato la sua attenzione.
Appena sopra le linee delle vene, correvano lungo tutta la circonferenza del polso dei piccoli affossamenti rotondi nella pelle. La Preside non fece nulla per coprirli. Non solo era troppo tardi, ma sapeva che il Dono di Jelonek lo aveva già reso a parte della loro origine nel momento in cui si erano rivisti per la prima volta.

-Imothep. Erano manette. - minimizzò, scrollandosi le spalle -Avevano delle punte rivolte verso l'interno. Ero legata al muro, nel posto in cui mi teneva. Gliel'abbiamo fatta pagare. È successo... molti anni fa.

L'aggiunta fu precipitosa, e se ne accorse anche lei. Ora, gli occhi di Jelonek erano tornati nei suoi. Aveva un'espressione strana. Per un po' non disse nulla, anche se le sue labbra scarne erano stirate. Poi, grattò Trismegisto dietro le orecchie. Quando il gatto prese a fare le fusa, parlò con noncuranza.

-Me lo avevano detto. A Nurmengard. Be', non lo avevano proprio detto. Ma avevano letto un giornale che aveva quella notizia in prima pagina. O forse seconda. Laggiù non sei così importante.

Kedavra si accorse che la sua espressione non era affatto difficile da decodificare. In realtà, il sorriso del Legilimens era sinceramente divertito. Non si scompose mentre lui continuava:

-"La Preside Mandylion rapita da un mago oscuro. O Mangiamorte. O mezzo-demone"? E cos'è un mezzo-demone, esattamente? Tutti si erano mossi per salvarla. Anche qualche studente -- alcune cose non cambiano mai. Non potevo leggere giornali, laggiù, ma potevo leggere quelli che li leggevano. E l'aveva letto uno di loro prima di colazione. Prima che venisse a portarmi la mia colazione, se sai cosa intendo, eheh.

Sotto la barba sfatta, il suo collo venne scosso da una risata sorniona. Kedavra lo guardò senza dire nulla. Il suo rapimento a opera di Imothep, avvenuto tanti anni prima, non era certo uno dei suoi argomenti di conversazione preferiti, eppure non si poteva dire la stessa cosa del periodo che lui aveva passato rinchiuso a Nurmengard. Non avevano mai affrontato il discorso - lui aveva davvero intenzione di parlarne ora? - e lei era sicura che fosse perché sapeva esattamente che cosa gli avrebbe detto, come avrebbe liquidato qualsiasi sua accusa.
Perché mi accuseresti, vero?
(Ti sei preparata giustificazioni per anni. )
Non ne avevano parlato perché lei non poteva avere colpe se lui era impazzito e aveva... fatto quello che aveva fatto, in giro per l'Europa. E di certo non le avrebbe rinfacciato di averlo abbandonato: non erano più due ragazzini, anche se talvolta Jelonek le sembrava
(bloccato a quell'età in cui)
comportarsi come un bambino.
Tuttavia, non la stava schernendo perché aveva interrotto la loro lezione, o perché si stava tamponando le nocche, dimostrando di aver sentito dolore. Questo la preoccupava molto di più del suo sorriso storto.
Trismegisto interruppe le fusa, tirò fuori le unghie e saltò giù. Jelonek si raddrizzò sulla sedia, guardandola. Batté piano le ciglia, e Kedavra si accorse di non averlo mai visto tanto spossato. Non era da lui accusare sonno - era sempre pronto a sbeffeggiare i suoi sbadigli, piuttosto - ma in quel momento le sembrò distrutto.

-Forse dovresti andare a casa. - osservò con distacco, accennando alle sue occhiaie.

-Non voglio andare a casa.

La risposta era stata secca. Spesso lui le rispondeva così rapidamente che iniziava a parlare prima che ancora lei avesse finito. Vedeva nei suoi occhi quello che stava per dirgli, naturalmente. Il sorriso di Jelonek era scomparso. Al suo posto c'era uno sguardo che Kedavra non riuscì a capire.
Non aveva mai avuto difficoltà a inquadrare le persone. Anni di pratica di Interrogatori le avevano insegnato a distinguere le menzogne, la paura, l'ambiguità, la sopportazione. Ma non si era mai trovata a dover decifrare Jelonek, al di là delle loro Sessioni di Sguardi, da cui cercava semplicemente di estrapolare i suoi pensieri. Sul resto aveva volontariamente scelto di indossare paraocchi. Non doveva importarle. Appena si fosse interessata a lui, Jelonek avrebbe creduto di avere ragione.
Per la prima volta, però, si trovò a pensare agli effetti che la Notte Nera doveva avere sortito su di lui. Non sembrava avere subito alcun trauma dopo la Notte Rossa, in cui aveva perso un arto, dove era annegato insieme a lei. Aveva sofferto, all'Ufficio Misteri, come tutti. Ricordava cosa aveva provato osservando quell'esplosione che lo aveva fatto precipitare nel buio, in una caduta di decine di metri da cui era certa non sarebbe sopravvissuto. Per quello che le pareva di ricordare, non sembrava turbato più degli altri quando lo aveva incontrato nel Labirinto e lui l'aveva issata sul cornicione. Si era reso utile. E una volta nella Stanza degli Specchi...

"Credo che qualcuno qui dentro esiterebbe eccome ad attaccarmi. A meno che non nasconda un coltello in tasca."



Era stato Falconer a dirlo, durante il suo Interrogatorio, guardando con insistenza Jelonek. La sua allusione era chiara, e Kedavra si era imposta di non darvi peso. Senza che potesse evitarlo, sentì le costole che erano state colpite dalle pugnalate mandare una fitta.

-Falconer ha accennato al fatto che possa essere stato tu ad accoltellarmi, là dentro. - disse lentamente, fissandolo negli occhi come lui le aveva insegnato.

Jelonek inclinò la testa da un lato in un movimento misurato, come se stesse assistendo a uno strano fenomeno, ma non parlò. Le sue labbra si incurvarono leggermente.

-Lo credi possibile? - lo incalzò, sollevando le sopracciglia.

Il Legilimens scrollò le spalle e diede in una vaga risata: -Se fosse avanzato uno di quei mantelli o una maschera da Mangiamorte, me li sarei tenuti. Halloween si avvicina.

-Jelonek.

Solo un'altra volta il suo nome era stato pronunciato in quel modo, lì dentro. Era stato la sera in cui lui era tornato a Hogwarts. Kedavra sostenne il brillio nel suo sguardo e provò a usare la Legilimanzia su di lui, con scarsi risultati. Desiderava troppo quella risposta, e quel desiderio le era di intralcio. Lui sorrise apertamente al suo tentativo, prima di aggrapparsi alla scrivania e spingere la sedia all'indietro, rimanendo in equilibrio sulle gambe posteriori.

-Quelli che sono stati sotto il controllo del Burattinaio non ricordano quello che hanno fatto.

-Tu ricordi quello che hai fatto lì dentro? Sarebbe l'unico modo per escluderlo. - inquisì Kedavra. Non riusciva a capire se lui si stesse comportando così solo per attirare la sua attenzione o se davvero stesse nascondendo qualcosa. Quel che era peggio, era che quel dubbio sembrava divertirlo.

-La mia... memoria non funziona più come dovrebbe. - scandì lui, dondolandosi sulla sedia con un sorriso tirato -Un'altra delle cortesie di Nurmengard, oltre ai giornali gratis.

La Preside sbuffò, alzando gli occhi al cielo: -Di cosa stai parlando?

-Diciamo solo che non ho avuto una spedizione di salvataggio. E l'unica persona a cui ho scritto in quegli anni era troppo occupata a...

Questa volta, fu Kedavra a ridere. Sciolse la tensione che le attanagliava lo stomaco, facendole irrigidire le giunture. Era troppo presa a lasciarsi andare per accorgersi che Jelonek aveva smesso di sorridere. Quando lo realizzò, non gli diede importanza.

-Occupata a fare cosa, Jelonek? - sollevò le sopracciglia, spronandolo con un gesto della mano -A dirigere Hogwarts? A seguire l'addestramento per Auror? Oppure a sposarmi e ad avere figli? Quale di queste è la colpa di cui mi sarei macchiata? E quale di queste cose ti ha spinto a vagabondare per l'Europa a ubriacarti e giocare d'azzardo? Come ho fatto, da qui, a costringerti a usare la Legilimanzia per mettere sul lastrico i Babbani con cui hai giocato a carte in qualche bisca clandestina, e farti arrestare per questo? Avanti. Parliamone.

Il suo cuore si agitava nel petto più di quanto avrebbe voluto, ma la sua mente era più sgombra di come non lo fosse stata dopo uno qualsiasi dei suoi Indirizzamenti. Lo fissò negli occhi, sfidandolo a parlare. Non aveva senso continuare in quel modo. Sentirlo blaterare di Nurmengard in ogni occasione, vederlo perdersi con quell'espressione vuota sul volto. Lo guardò, ora, senza battere ciglio. Lui poteva percepire la sua agitazione, poteva immergersi nella sua rabbia, e in quel momento Kedavra non voleva altro. Ne aveva avuto abbastanza.
Jelonek atterrò in avanti, tornando ad appoggiarsi con tutte e quattro le gambe della sedia. Alzò il mento e per qualche attimo sembrò che la sua lingua giocherellasse con l'interno delle guance nella bocca chiusa. Non era alterato. Kedavra, del resto, aveva smesso di aspettarsi da lui una qualsivoglia reazione normale.

-Vivo con Evey, adesso.

Lo disse con un tono così assurdamente tranquillo, con una serenità così fuori luogo, che il senso di quelle parole non penetrò immediatamente nella coscienza di Kedavra.

-Di cosa...

-Vivo con Evey, già da qualche tempo, a dire il vero. - il Tracciatore prese a strappare piccoli triangolini di pergamena dal documento dell'Interrogatorio di August Booth -Credo che lo sappiano un po' tutti. In effetti, la maggior parte dei nostri vicini di casa lavora qui, al castello. Edward è stato uno dei primi a saperlo. E Sesy Riddle. Non è bene non tenersi aggiornati con la Gazzetta, Mandy. - indicò una pila di quotidiani non ancora aperti, legati con un filo di spago in uno degli angoli in cui venivano accatastate le cose di cui non aveva tempo di occuparsi. La Preside lo fissava ammutolita, e con ogni secondo di silenzio il sorriso di lui si ampliava di un millimetro -Lily Stella... insomma... Lily Luna Potter, anche lei. Oh, e Miles. I tuoi Auror, compreso quello-di-cui-non-devo-parlare. Oltre a tutti i tuoi studenti, credo.

Il Tracciatore raccolse i pezzetti di carta e li lanciò in aria, come coriandoli. L'ultimo era già atterrato da qualche secondo quando Kedavra tornò a parlare. Era difficile non cogliere l'aria soddisfatta del Legilimens. Fu quella a spronarla.

-Se è vero... lei non sa cosa... - riprese fiato, pentendosi immediatamente della pausa -Non sa tutto quello che c'è da sapere su di te.

Gli occhi di J. F. si assottigliarono appena, ma rimase ben visibile un brillio nel suo sguardo: -Non lo sai nemmeno tu. E lei... lei sa abbastanza.

Nemmeno un esperto di Occlumanzia come lui poté evitare di abbassare lo sguardo per un secondo, e Kedavra lo stava guardando attentamente. Non le sfuggì.

-Te ne andrai, Jelonek. Quando le nostre lezioni saranno finite... te ne tornerai in Germania. Lei questo lo sa?

Jelonek inclinò ancora la testa da un lato. Ridacchiò con indifferenza: -Magari mi farai rimanere tu, Mandy. Metterai una buona parola con il nostro amico Chris. A proposito, com'è andato il vostro incontro? Gli hai chiesto finalmente dove compra la sua acqua di colonia?

Kedavra non cedette. Ovviamente, Jelonek sapeva che Morgenthal non si era fatto vivo, nonostante lei stesse cercando di convocarlo da mesi. Al Ministero della Magia tedesco il suo vice lo stava sostituendo nell'Ufficio che dirigeva; quando era rientrato dall'Inghilterra, dopo averle condiviso le informazioni che li avrebbero (male) orientati per la Notte Nera, aveva lasciato detto ai colleghi che sarebbe partito per un lungo viaggio a scopo di ricerca. Nessuno era a conoscenza della sua destinazione, e i gufi non riuscivano a raggiungerlo.

-Be', avremo molto di cui parlare quando tornerà.

L'irreperibilità dell'Inventore la irritava quasi quanto la notizia che aveva appena appreso. Ma no, in quel caso non si trattava di fastidio. Era preoccupata. Ricordava quando aveva trovato Evey e Jelonek intenti a giocare con i gatti nel suo Ufficio. Era stata molto chiara con lui, nel proibirgli di trovarsi di nuovo da solo con gli studenti. Ora capiva che per lui non doveva essere stato altro che un invito a nozze.
Al di là delle energie spese nella determinazione di non dargli soddisfazione (perché dovrebbe dargli soddisfazione vedermi alterata su questo?), qualcosa le stava sfuggendo. Quelle tracce di umore rabbuiato che aveva visto in lui dopo la Notte Nera, per tutta la durata degli Interrogatori. La storia con Evey - un potente senso di nausea la colpiva, a pensare in quei termini - non poteva giustificarlo. Il dubbio di averla aggredita nella Sala degli Specchi non gli suscitava evidentemente alcun pentimento. Ma allora, cosa...?

-Dormirò qui stanotte. - decretò Jelonek, alzandosi in piedi.

-Credi di poterlo decidere tu? - rimbeccò lei, freddamente -Non ho tempo di occuparmi di te, adesso.

-Mi farò bastare il letto del Preside.

Kedavra non aveva voglia di discutere né, in effetti, le sarebbe cambiato nulla che qualcuno dormisse nella sua stanza da letto o meno. Erano mesi che non si coricava, e quando il sonno la coglieva, il suo cuscino era una pila di buste. Non reagì quando lui le augurò una sardonica buonanotte prima di chiudersi la porta della sua camera alle spalle, con Trismegisto alle calcagna. Scosse la testa, sfinita, e prese a riordinare le sue carte. Forse avrebbe potuto lavorare per un'ora o due, prima che i suoi occhi...
Alcuni dei pezzetti che Jelonek aveva strappato dal documento svolazzarono allo spostare di una cartella. Sospirando con esasperazione, Kedavra raccolse il resoconto dell'Interrogatorio e vi puntò sopra la bacchetta. Dovette battere le palpebre un paio di volte per assicurarsi di avere letto bene il titolo.

CITAZIONE
Interrogatorio: Atkinson, Evey

La sua fronte si aggrottò. Per la sua Deframmentazione, Jelonek aveva ripescato un foglio casuale dai file riportati dal Quartier Generale e le aveva chiesto di riportare fedelmente tutto ciò che aveva detto quando aveva interrogato August Booth. Aveva tenuto quella pergamena davanti e l'aveva letta mentre lei parlava; viste le sue bacchettate ogni volta che sbagliava, Kedavra aveva dato per scontato che quello fosse il resoconto dell'Interrogatorio di Booth, e che lui lo stesse controllando per verificare i suoi errori. Non le sembrò più che una semplice incongruenza finché non notò le righe che precedevano quelle che erano state ridotte in pezzi dal Tracciatore.

CITAZIONE
Interrogata: Altrimenti sarei a casa mia, a vivere in pace il mio lutto.
Comandante degli Auror: Un lutto? Mi dispiace molto. Posso sapere di chi si tratta?

Premette la bacchetta contro il foglio, mormorando "Reparo", ma sapeva già quali parole si sarebbero formate ancora prima che tutti i frammenti di pergamena volassero al loro posto. Quella era una parte che ricordava senza alcuno sforzo.

CITAZIONE
Interrogata: Mio... mio figlio.

Respirando piano, Kedavra alzò gli occhi dal foglio. I pezzi si erano sistemati anche nella sua mente. Sentiva l'eco della sua stessa voce, che le chiedeva se il padre fosse stato con loro. Sentiva Evey rispondere che sì, lo era. Che si era salvato.
Jelonek. Come ho fatto a essere così stupida? Come ha fatto Evey a essere stata tanto...
(Non ha idea di chi sia. E non sarebbe mai arrivato a Hogwarts se non fosse stato per te. Qualsiasi pericolo sia quello in cui lui può metterla, sarà sulla tua coscienza. )
Era una preoccupazione di cui non aveva bisogno, non in quel momento. Avrebbe parlato con Evey, le avrebbe detto che Jelonek non era adatto per lei. Che non era adatto per nessuna e che presto si sarebbe assicurata che lasciasse l'Inghilterra. Per non farvi più ritorno. Quando avesse ritrovato Morgenthal, i suoi giorni a Hogwarts sarebbero stati contati. Avrebbe trovato un altro modo per apprendere la Legilimanzia. Esisteva la Metropolvere; le loro lezioni avrebbero potuto continuare tramite camino. Non c'era ragione per cui rimanesse lì.
Non voglio che se ne vada.
Non aveva altra scelta. Legarsi a qualcuno lì, qualcuno dei suoi, non rientrava in ciò che avevano pattuito.
Con la mascella serrata e i denti stretti tra loro, Kedavra prese a compilare le sue lettere, meccanicamente, la punta della piuma che premeva sui fogli fin quasi a trapassarli.

///



Quando Kedavra aprì gli occhi, credette di essersi svegliata per puro caso. Forse erano stati i primi raggi turchesi del mattino a illuminare le sue palpebre chiuse, filtrando attraverso le alte finestre vicino al soffitto, o uno dei gatti impegnato in una folle corsa. Alzò la testa, sentendo il collo scricchiolare per la posizione in cui doveva essere crollata. Si toccò una guancia, trovandola macchiata di inchiostro. Nulla di nuovo. Si voltò piano e vide Enomiao ricambiare placidamente il suo sguardo da una delle scalinate gemelle. Strinse gli occhi verso la pendola: le sei e tre minuti. Cosa l'aveva svegliata? Poteva riprovare a dormire o...
Poi, lo sentì di nuovo. Un colpo sordo contro la parete della sua camera da letto. Un gemito di dolore.
Scattò in piedi, fiondandosi contro la porta della sua stanza. La bacchetta magica era già stretta nella sua mano destra. Aprì la porta, trovando la camera immersa nella semioscurità azzurrina dell'alba. Trismegisto le corse incontro facendola sobbalzare, e la superò miagolando indignato. Il letto era sfatto, ma vuoto.

-Jelonek?

Chiamò, avanzando con cautela, il catalizzatore steso davanti a sé. Non riuscì a vederlo, finché non la raggiunse un nuovo gemito che la fece voltare di scatto verso le assi di legno davanti a una delle finestre della torre. Ma l'ammasso tremante rannicchiato su se stesso per terra non poteva essere Jelonek.
La sua camicia giaceva strappata a poca distanza: una manica spuntava dallo spazio sotto il letto. La schiena nuda era rivolta dalla sua parte. Kedavra vi si avvicinò con cautela, gli occhi che non riuscivano a capacitarsi di ciò che stava vedendo. La pelle di lui aveva l'aspetto di una pergamena fitta di scritte scoordinate, che qualcuno avesse stropicciato e pestato più volte. In alcuni punti, recava l'inconfondibile lucidità della carne rosa in cui si cicatrizzavano le ustioni. Quando Kedavra si inginocchiò a pochi centimetri da lui, trovò che la trama di cicatrici non si fermava alla schiena. Sembrava percorrergli ogni millimetro di epidermide visibile, da sotto il collo all'intera lunghezza delle gambe, coperte solo da due corti boxer variopinti.
Kedavra sentì la bocca seccarsi. Per un po' non si rese conto che Jelonek
(questo è Jelonek, le cose che non sai)
si stava coprendo il viso con le braccia, e che il tonfo che l'aveva destata era stato probabilmente uno dei pugni che aveva fino a quel momento sferrato allo spesso vetro della finestra. Era sporco di sangue. Nel vedere il Legilimens stringere le dita sanguinolente e prepararsi a colpire ancora, gli afferrò il polso.

-Jelonek... Jelonek, sono qui.

Lui non stava dormendo, ma non sembrava nemmeno essere del tutto cosciente. Si lasciò fermare la mano, ma i suoi occhi rimasero vacui, fissi in un punto imprecisato davanti a sé.

-Cosa... cosa ti è...

Non riusciva a smettere di guardare le sue cicatrici, era rapita dalla perversione con cui le ombre bluastre del mattino provenienti dalla finestra le stessero facendo risaltare. Se fossero state tagli aperti e profondi, il suo intero corpo si sarebbe dissipato in almeno mille pezzi diversi. Troppo scioccata per formulare frasi intellegibili, Kedavra non riuscì a trovare un senso a quello che stava vedendo. Finché Jelonek non si voltò verso di lei e la afferrò per un braccio. La sua presa era forte, dolorosa, ma Kedavra non reagì.

-Non è... A volte mi capita di...- la voce di lui era affannata, acuta -... Cadere dal letto, come se... qualcuno mi colpisse nel sonno. Come facevano... Io... devo essere rotolato fin qui. Era come se mi stessero inseguendo.

I suoi occhi erano asciutti, ma sgranati in un terrore che non lo credeva capace di provare. Jelonek seguì il suo sguardo, senza lasciarle il braccio. Non rabbrividiva più. Quanto a lei, la voce le moriva in gola, ma cercò comunque di parlare.

-Questo... questo è quello che ti hanno...?- provò a deglutire, ma con scarso successo -Ma non può essere! Jelonek, non è questo ciò che fanno a Nurmengard. È solo una prigione. Non avrebbe senso che...

Lui si tirò a sedere e si appoggiò le braccia sulle ginocchia. Per un attimo, Kedavra fu sorpresa della velocità con cui sembrava essersi ripreso, ma era ancora troppo scossa per prestarci attenzione.

-I miei polsi sono ancora normali, però. - scherzò debolmente, accennando ai buchi su quelli di lei -Anche se con questo... - alzò il sinistro, su cui era stato installato il Tracciatore -... ho un po' rischiato.

Kedavra cercò qualcosa da dire, ma ogni volta che apriva bocca, i suoi occhi trovavano un nuovo segno sulla pelle di lui e la sua immaginazione la costringeva a interrogarsi sul genere di tortura che potesse averlo provocato.
Cosa gli hanno fatto?
(Cosa gli ho fatto?)
Come può essere successo? Chi, chi può aver autorizzato....
Impiegò quasi un minuto a ricomporsi.

-Scriverò al Ministero della Magia tedesco. Questo... non è accettabile.

Jelonek ricambiò il suo sguardo per un momento, poi assentì e si voltò verso la finestra. Kedavra si alzò in piedi, trovando che la testa le girava leggermente. Ogni volta che batteva le palpebre, la trama mostruosa delle cicatrici le balenava davanti agli occhi.
Questo cambiava ogni cosa. Una voce dentro di lei cominciava a dirglielo, ma per il momento, l'unico punto fermo che potesse trovare era una qualche forma di organizzazione. Nessuna prigione poteva autorizzare quel genere di torture, nessuna. Se Jelonek avesse testimoniato... Possibile che lei non avesse mai sospettato...? Ma come avrebbe potuto? Morgenthal non gliene aveva certo mai parlato. Cosa diavolo...?

-Ti preparo un tè. E metto su dell'acqua calda per... la tua mano.

Deglutì, muovendo un passo verso la porta, ma i suoi piedi inciamparono in qualcosa. Perplessa, si accorse di avere appena urtato il suo paio di pantofole. Fece per superarle, quando si fermò a metà strada. Le riflessioni sulla scena a cui aveva appena assistito, e il suo significato, si congelarono all'improvviso.
Il suo cuore stava appena iniziando a rallentare i battiti dopo quello che aveva visto. Ma ora tornò ad accelerare. Un crescendo costante, come sempre quando qualcosa non le tornava. Si chinò e raccolse una delle sue ciabatte.

-Hai avuto un incubo, hai detto. Sei caduto, e rotolato fin lì.

Dalla sua voce era scomparsa ogni traccia di compassione. Anche se gli dava le spalle, Kedavra poteva sentire gli occhi di Jelonek su di sé.

-Non immagini cosa mi hanno fatto laggiù. - lo sentì dire -Non ero un prigioniero come gli altri. Lo avresti saputo, certo, se me lo avessi mai chiesto. Se avessi creduto a quello che ti avevo scritto. Ma tu...

Kedavra si voltò, trovando che anche Jelonek si era alzato in piedi, e ora la guardava dall'alto della sua altezza, più vicino di quanto si aspettasse. La mano con cui la Preside di Hogwarts reggeva la ciabatta tremava appena, ma il suo sguardo e la sua voce erano fermi. Non lo lasciò finire.

-Ti sei sempre lamentato delle schegge che lascia il pavimento di questa stanza. - scandì lentamente, stringendo la mano sulla bacchetta e guardandolo senza battere ciglio -Queste...- gli mostrò la pantofola, prima di lanciargliela addosso. Rimbalzò contro il suo petto e scomparve per terra.

-Queste le tengo sotto il letto. Ma le ho trovate laggiù.

Anche nella penombra, Kedavra poteva vedere che il brillio oscuro nello sguardo di Jelonek era tornato. Torreggiava su di lei, avanzando impercettibilmente. Lei non cedette terreno. Nella sua mente, così caotica fino a pochi secondi prima, regnava un silenzio mortale.

-A quanto pare il tuo incubo era così terribile da averti permesso di indossarle, prima di spostarti lì. Mentre credevi che ti stessero... picchiando?, hai provveduto a metterti le ciabatte ai piedi. Te le sei tolte soltanto quando...

Jelonek sollevò il mento, e ancora quel vago ghigno tornò ad aleggiargli sulle labbra. Non poteva apparire più diverso dall'uomo rannicchiato, tremulo e piagnucolante che l'aveva fatta accorrere, che l'aveva sconvolta e commossa. Come aveva potuto farsi manipolare in quel modo?

-... quando ti sei tolto la camicia, ti sei steso per terra e hai iniziato a prendere a pugni il muro. Per essere più convincente quando fossi arrivata a vedere cosa stava succedendo.

Probabilmente, i gemiti che aveva sentito erano risate. Se lo figurò ridacchiante mentre si feriva la mano. E la sua preoccupazione quando l'aveva visto così...
Voleva urlare, urlare di rabbia verso se stessa, ma tutti i suoi istinti si condensarono in un'espressione di disgusto. Lui si era fatto vicino, alla distanza di un respiro da lei. La osservò per qualche secondo, poi aprì bocca.

-Guardami, Mandy. GUARDAMI!

Quando sollevò il braccio per prenderle il mento, un lampo di luce lo spedì lontano, facendolo volare per alcuni metri all'indietro. Atterrando, urtò rumorosamente contro il comodino di fianco al letto, dove sbatté la testa al muro. Il comodino si spostò, e il baule subito sotto si rovesciò, spargendo alcuni vestiti e un pannello di legno. Alcuni fogli di pergamena spuntarono dal doppio fondo.
Jelonek, finito seduto con la schiena contro la parete, non si curò nemmeno di massaggiarsi la nuca. Il suo sguardo si abbassò placidamente sulle pergamene che erano uscite dal baule. Ne sfiorò alcune, come una carezza, con un sorriso sulle labbra. Kedavra, il cuore che le martellava nelle orecchie, non distolse gli occhi da lui, nemmeno quando si voltò di nuovo e le rivolse uno sguardo che non gli aveva mai visto addosso.
(Lo sguardo di qualcuno che, se avesse potuto, l'avrebbe uccisa in quell'istante.)

-È questo che sei, quindi? Una patetica vittima in cerca di attenzioni? - lo apostrofò, prendendo coraggio, il disprezzo che veniva sputato fuori insieme a ogni parola e la bacchetta ancora puntata contro di lui -È questo che sei?

Jelonek si alzò, molto piano, barcollando per il colpo alla testa. Qualche traccia di sangue rappreso gli incollava alcune ciocche scure sulla nuca. I suoi occhi grigi, resi neri dall'ombra, tornarono sul baule. Lo calciò con violenza, rovesciando altri fogli di pergamena ripiegati. Le lettere macchiate di lacrime che le aveva scritto dalla prigione. Quelle a cui lei non aveva risposto, ma che aveva nascosto lì dentro, occultate alla sua coscienza. Eppure, non ancora abbastanza lontane.
Zoppicante, il Legilimens si incamminò verso la porta della camera da letto. Quando le fu accanto, la guardò un'ultima volta. Il suo sussurro le solleticò alcuni capelli sciolti sulla guancia.

-Sono quello che mi hai fatto diventare.

Kedavra lo sentì trascinarsi attraverso l'Ufficio, uscire e chiudersi la porta alle spalle. Non lo seguì con lo sguardo. I suoi occhi erano ancora fermi sulle vecchie lettere che il baule, rovesciandosi, aveva dissotterrato. Erano sparse a ventaglio su quella porzione di pavimento che il sole non aveva ancora raggiunto.

-Kedavra

Edited by Kedavra - 19/9/2016, 17:46
 
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view post Posted on 21/7/2017, 00:12
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O Z Y M A N D I A S

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//Notte 598.

La Preside di Hogwarts arrotolò la prima pergamena che le capitò a tiro e si sventolò animatamente il viso. Senza che se ne accorgesse, la risposta appena vergata con l’inchiostro ancora fresco si pasticciò contro l’angolo opposto del foglio, rendendo le parole una nuvola confusa. A dirla tutta, erano confuse anche prima: se le avessero chiesto cosa aveva scritto, non avrebbe saputo dire se si trattasse del rifiuto della proposta con cui un entusiasta scultore voleva regalarle una statua di tre metri di Herpo il Folle (cosa avesse fatto Herpo il Folle per meritarsi una posizione centrale nel cortile interno della scuola, dove il sedicente artista insisteva per collocarlo, era una domanda per un altro momento) o quella in cui consigliava di ricercare un aiuto medico a una fattucchiera delle Fær Øer che le imponeva di aggiungere “Fatturologia” al curriculum di materie insegnate a Hogwarts (pena la condanna a una millenaria maledizione che la strega avrebbe scagliato su di lei e sulla sua stirpe: sembrava difficile, di quei tempi, non prendere un rifiuto in maniera personale). No, Kedavra non sapeva quale foglio avesse appena reso illeggibile con la rabbiosa trasformazione in ventaglio improvvisato. Tutto ciò che sapeva era che agitarlo vicino alla testa le donava una momentanea sensazione di sollievo dal soffocante caldo che da qualche tempo (l’estate? Era mai stato così caldo a Hogwarts in estate?) aveva avvolto l’Ufficio del Preside.
Non ricordava di avere mai patito le alte temperature in quella stanza. La pietra che rivestiva le mura del castello svolgeva un’efficace funzione isolante nelle stagioni estive, trattenendo l’umidità e proteggendo gli abitanti dal brusco calo di gradi causato dalle correnti scozzesi di notte. A dirla tutta, non faceva mai caldo da quelle parti. Eppure, quella notte come molte di quelle che l’avevano preceduta, Kedavra poteva avvertire un velo di sudore formarsi sulla piega del suo collo e le sue guance sembravano andare a fuoco.
Uno schiocco. Lei e Jelonek, seduto pigramente davanti a lei, si voltarono per un attimo verso il camino vuoto e silenzioso ma tornarono a guardarsi senza commentare il rumore. Il camino, ovviamente, era spento. L’abitudine di sentire i ceppi scoppiettare almeno nove mesi all’anno giocava ogni tanto brutti scherzi, al punto che occasionalmente poteva giurare di sentire odore di resina e fumo anche se erano almeno una ventina di giorni che nessuno toccava quelle braci.
Jelonek non l’ha sentito. Ha soltanto seguito il mio sguardo per vedere cosa mi sta distraendo.
Il caldo mi sta distraendo. Non sei il miglior Legilimens del mondo?

Non era stato propriamente facile tornare a seguire le loro lezioni dopo l’episodio che le aveva fatto perdere ogni fiducia in lui. Vista l’urgenza del recupero delle sue capacità legilimantiche, non si era tuttavia concessa pause e J. F. l’aveva saputo da subito: si era ripresentato alla solita ora e non avevano fatto menzione di quello che era successo. Erano tornati prontamente al lavoro e nel giro di qualche settimana, dopo quasi due anni di massacranti esercitazioni, Kedavra poteva dire di essere tornata nella parte fruttuosa della sua curva di apprendimento.
Abbassò gli occhi sullo scrittoio per un istante: sapeva che con Jelonek era del tutto inutile, ma l’istinto la costringeva comunque a nascondergli quella momentanea soddisfazione. Se non fosse stato per il Tracciatore, lui non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di sminuire le sue conquiste.

-Lezione numero uno.

Kedavra alzò di nuovo lo sguardo su di lui quando aprì bocca. Numero uno? Avevano superato da poco la numero cinquantacinque… Scosse la testa, liberandosi della frustrazione quando capì dove voleva arrivare.

-Il contatto visivo. – replicò, esasperata. -Ho caldo. Ho abbassato la testa solo per…

-A meno che tu non sia una Legilimens esperta, e non lo sei, ogni interruzione del contatto visivo…

-… rischia di farmi ricominciare da capo. Lezione numero nove. Non è questo il caso. – ribatté, seccamente. Sapeva che questo era il momento in cui l’avrebbe sfidata a leggergli nella mente, così lo batté sul tempo.

-Una tazza sbeccata. Una specie di… aiuola piena di erbacce.

-È muschio essiccato. Ci faccio lo shampo. – Jelonek non si sforzò nemmeno di apparire offeso. Colorò le sue labbra di un pigro sorriso sarcastico. Appariva stanco, come quella sera in cui gli aveva visto le cicatrici, ma c’era qualcos’altro nei suoi occhi grigi e spenti.
Qualcosa che Kedavra sentiva di avere i mezzi di cogliere, una volta tanto.
Incatenò lo sguardo al suo senza abbassare il mento: un errore in cui ricadeva spesso e che lui le aveva rimproverato in varie occasioni. Per qualche secondo non vide nulla. Lasciò che gli oggetti privi di significato che lui le stava servendo per nascondere i suoi veri pensieri le sfilassero davanti. Un tappeto, un gufo
(paura. Dr… Carson?)
un fiocco viola, un orlo di merletti, una collana di ciliegie, la vetrina di un negozio in Diagon Alley, una piccola pila di galeoni
(lo stipendio. È quasi ora che lo riceva e ha molti acquisti in programma.)
un fiocco viola, un…
Un altro fiocco viola?
Kedavra lottò per non stringere gli occhi. Vide il volto di Jelonek arretrare impercettibilmente, forse di un paio di millimetri. Era un Occlumante troppo accorto per fare più di così, eppure i suoi poteri di Occlumanzia erano appresi e nella disciplina della difesa mentale non era imbattibile quanto nella Legilimanzia. Si aggrappò a quel fiocco viola, senza battere le ciglia per non turbare il contatto visivo.
Delusione.
Una busta da lettere aperta.
Che cosa…?
Il suo scrittoio.
Kedavra abbassò lo sguardo sulle cinte di epistole che muravano la sua scrivania e che riducevano drasticamente lo spazio per scrivere. Ricordava vagamente dove aveva messo la missiva. La trovò scaraventando qualche altra lettera per terra. Jelonek si alzò in piedi e le volse le spalle, muovendo qualche passo verso il camino. Era apertamente a disagio, forse per la prima volta da quando lo aveva rivisto.

-Sul serio?- lo affrontò, mentre estraeva il cartoncino su cui era inciso l’invito più pacchiano che avesse mai ricevuto -Ti aspettavi che…

-Ma è la tua specialità, Mandy. Non rispondere alle lettere.

Kedavra alzò le sopracciglia.

-Per essere abituato a conoscere i segreti più intimi di chiunque incroci il tuo sguardo per più di un secondo, reagisci davvero male quando qualcuno fa la stessa cosa con te. – si strinse nelle spalle -Verrò al tuo matrimonio. Se avrò tempo.

Jelonek tornò a voltarsi, ma non disse nulla. Combatteva per apparire ancora come qualcuno che avesse la situazione sotto controllo, ma la realtà era ben diversa. Kedavra storse la bocca.

-Sarai fiero di lei. Sta facendo di tutto per non darmi qualcosa che mi faccia dormire, nonostante glielo abbia chiesto.

Non era del tutto vero, ma questo Jelonek lo sapeva già. La realtà era che recarsi in Infermeria per dormire sotto la supervisione di Evey era un’umiliazione continua, alleviata soltanto dalla sua rapida scivolata tra le braccia di Morfeo. Comunque, cercava di parlarle il meno possibile in quegli incontri forzati. La loro ultima conversazione aveva reso chiaro che avrebbe continuato a fidarsi del suo promesso anche se lei le avesse consegnato di persona il dossier che lo riguardava. Qualcosa che Kedavra avrebbe fatto davvero, se solo non si trattasse di materiale top secret; e se avesse avuto la speranza che servisse a qualcosa.

-Sono fiero di lei. – fece Jelonek a un certo punto. Lo sguardo di sfida era tornato ad accendergli gli occhi. C’era molto di più dietro quella frase di quello che potesse intendere in quel momento, ma Kedavra decise di non indagare.

-Immagino che il matrimonio sia stata una tua idea. Se credi che questo possa evitarti di essere rispedito in Germania quando avrai finito quello che devi fare qui, ti sbagli di grosso.

J. F. sorrise come se sapesse qualcosa che gli rendeva quell’ultima affermazione incredibilmente divertente. Era un sorriso che le aveva rivolto di tanto in tanto anche durante i loro tempi a Hogwarts. Un sogghigno furbo e irritante a cui puntualmente non seguiva alcuna spiegazione.

-Forse dovresti chiedere al mio…

Si interruppe. Lo aveva sentito anche Kedavra, che era scattata in piedi, lo sguardo rivolto alla porta dell’Ufficio. La bacchetta le era già scivolata in mano.

-Vengo in pace.

Era stata una voce arrochita a parlare oltre il legno della porta, un’intonazione che la Preside non riconobbe. Jelonek, invece, si staccò di scatto dal caminetto e indietreggiò di un paio di passi, prima di rivolgerle un’occhiata indecifrabile.
Chi diavolo poteva essere? Era una voce maschile, troppo matura per appartenere a uno studente ed estranea a quella dei suoi Insegnanti e Auror.
Il catalizzatore di Kedavra saettò a mezz’aria e la porta si spalancò. Un rapido lancio del braccio in avanti, simile al movimento con cui un pescatore lancia l’amo, evocò una corda luminosa che si aprì come un rampino, aggrappandosi alle spalle dello sconosciuto e trascinandolo in avanti in ginocchio.
Una prima occhiata non risolse alcuno dei suoi dubbi: l’uomo indossava un mantello da viaggio che aveva visto giorni migliori e il suo viso era ricoperto da una lanugine bianco-grigiastra. Fu solo quando alzò lo sguardo su di lei che Kedavra lo riconobbe.

-Morgenthal?- mormorò, senza fiato.

Christoffel Morgenthal non avrebbe potuto apparire più diverso dall’ultima volta che l’aveva visto. Al posto del completo inamidato e senza pieghe facevano bella mostra di sé una camicia nera logora che aveva perso metà dei bottoni e una giacca rappezzata; i mocassini lucidi come specchi erano stati sostituiti da stivali incrostati da schizzi di fango e i capelli solitamente pettinati all'indietro con precisione millimetrica erano ridotti a una nuvola crespa piena di ciocche annodate. Oltre la barba che si allacciava alle basette incolte e la montatura degli occhialini rettangolari miracolosamente intatta, tuttavia, lo sguardo azzurro chiaro era inconfondibilmente quello dell’Inventore.
Teneva le mani alzate. La sua bacchetta era appoggiata elegantemente tra due dita, la punta rivolta verso l’alto.
Kedavra lo aveva visto estrarla diverse volte e sapeva che, aspettandosi un attacco, sarebbe stato abbastanza rapido da difendersi. Se vi aveva rinunciato era chiaro che non ne aveva la minima intenzione.

-Cosa… cosa ci fai qui?

Quel quesito, tuttavia, sembrava secondario rispetto alla curiosità più impellente, quella che l’aveva accompagnata nei mesi in cui i Gufi che gli aveva inviato non avevano ricevuto risposta. La Notte Nera. Era dalla Notte Nera che era disperso.

-Che cosa ti è successo?

Morgenthal rimase in ginocchio con la bacchetta tra le dita. Non si erano lasciati nel migliore dei modi: era stato a causa di una sua leggerezza che avevano dovuto affrontare il sistema di sicurezza dell’Ufficio Misteri in quella notte che aveva portato alla cattura di Falconer. Lui sapeva di doversi riguadagnare la sua fiducia e che rimanere per terra era un buon modo per apparire penitente. Quanto a Kedavra, non era ancora sicura di invitarlo ad accomodarsi. Con un altro svolazzo del catalizzatore, tuttavia, ritirò la frusta che l’aveva attirato ai piedi della scrivania.

-Sono stato via. – rispose l’Inventore, il tono calmo malgrado il respiro leggermente affannoso. -I giornali non hanno tenuto segreto il mio coinvolgimento con il sistema di sicurezza dell’Ufficio Misteri. Anche se… se quel Burattinaio è stato arrestato, gli altri avrebbero saputo dove cercarmi. Gli altri Negromanti. Il Ministero della Magia tedesco non era un posto sicuro. Ho dovuto far perdere le mie tracce.

Kedavra lo guardò aggrottando la fronte. C’era qualcosa che non quadrava.

-Sapevi degli altri Negromanti?

Gli Auror lo avevano scoperto soltanto dopo avere interrogato Falconer, appena dopo la Notte Nera. A quel punto Morgenthal era già scomparso da settimane e di certo non era il genere di informazioni che gli avrebbe mai scritto in una lettera. Lo fissò, sospettosa, ma lui non distolse lo sguardo. Batté appena le palpebre.

-Credevi che non avrei fatto ricerche su quello che mi avevi chiesto?- ribatté, cauto. -Ho trovato antichi resoconti sulla loro Accademia. E sulla Collana. È molto più importante di quanto…

-So quanto sia importante. – tagliò corto Kedavra, impaziente. -Per questo ti ho chiesto di nasconderla.

-E non è stata trovata. È rimasta nascosta. Il tuo piano ha funzionato, Kedavra. – puntualizzò lui. -Ma l’informazione sul suo nascondiglio nel Labirinto si trova ancora da qualche parte, nella mia mente. C’è solo un Incantesimo di Memoria a impedirmi di accedervi. A un qualunque Negromante basterebbe torturarmi per trovarla. Anche se ho preso molte precauzioni per impedire che succeda.

La Preside lo fissò per qualche secondo mentre meditava su quello che stava dicendo. La sua improvvisa ricomparsa era strana almeno quanto la sua sparizione. Anche se in fuga, non c’era un vero motivo per cui non dovesse farle arrivare una nota che le spiegasse la situazione. Era stato via per troppo tempo. Ma del resto…
… del resto lo aveva sempre conosciuto come un uomo a cui piaceva lavorare dietro le quinte, ben lontano dal campo. Un uomo esageratamente prudente a cui non importava altro che poter continuare le proprie ricerche rimanendo al sicuro. Non lo aveva mai visto reagire a una minaccia diretta prima di quel momento e nel suo modo di concepire le cose, probabilmente la fuga era l’unica strada percorribile in quell’evenienza.

-Come hai fatto a superare le misure di sicurezza del castello?- lo incalzò, non celando una nota accusatoria nel tono.

Le difese della scuola erano state violate soltanto dal Burattinaio, che aveva usato l’Animagia per confondersi negli stormi di gufi in volo verso la Sala Grande. Da allora lei le aveva rinforzate e nessuno avrebbe potuto oltrepassare i cancelli utilizzando la magia.

-Ho collaborato a idearle. – fece Morgenthal prontamente.

-Non è vero. Esistono da molto prima della mia Presidenza. Da molto prima della nostra nascita, in effetti.

-Pensi di essere la prima Preside a rivolgersi a esperti di Incantesimi di protezione per la difesa di luoghi e oggetti? – le chiese pazientemente -Non è niente che non si possa trovare in una qualche biblioteca. Se si sa in qualche libro cercare.

Non era la stessa cosa che idearle personalmente, pensò Kedavra, ma non lo disse. Morgenthal appariva denutrito e quanto mai debole; lei aveva cercato di contattarlo a lungo, bisognosa della sua esperienza. Tuttavia, più lo ascoltava, più era sicura che le stesse nascondendo qualcosa.
Ma… perché? Cosa non mi sta dicendo?
Gli fece un cenno, invitandolo ad alzarsi, cosa che l’uomo fece con varie smorfie di fatica. Doveva essere passato parecchio tempo dal suo ultimo pasto. Non si sedette, continuando a fissarla, ingobbito.

-La Foresta Proibita. – cedette, passandosi la lingua sulle labbra riarse. Anche i suoi denti erano ingialliti e sporchi, come il resto del suo corpo. -C’è un punto del confine in cui gli Incantesimi sono più deboli. Nessuno sano di mente si incamminerebbe tanto in profondità tra quegli alberi.

Kedavra non poté fare a meno di scambiare uno sguardo con Jelonek, memore della scorsa Vigilia di Natale, che avevano passato proprio in quel luogo. Il Legilimens, tuttavia, stava fissando Morgenthal ancora in silenzio e non si accorse della sua occhiata.

-Ma tu lo hai fatto. – osservò Kedavra, tornando a guardarlo.

-L’ho fatto. – confermò Morgenthal.

-Perché? Perché sei qui?

-Non posso tornare in Germania. Non finché gli altri sono ancora in giro. Potrei essere rapito in qualunque momento.

-Se pensi che io accetti di tenere tra le mura di questa scuola qualcuno che è braccato da un numero indefinito di Negromanti, forse dovresti ripensarci. – fece Kedavra, scuotendo la testa. -La tua presenza qui ci mette in pericolo.

-Sono braccato dai Negromanti perché ho deciso di aiutarti a nascondere la Collana. – le ricordò con una tranquillità forzata che forse nascondeva una nota di panico. -E ci sono riuscito. Adesso sono io che ho bisogno del tuo aiuto.

Kedavra non si scompose, anche se non lo aveva mai sentito esprimersi in quel modo. Nel complesso, malgrado i suoi atteggiamenti, aveva un aspetto sinceramente disperato ed era innegabile che ci fosse un fondo di verità dietro le sue parole, per quanto contenessero un’omissione tutt’altro che irrilevante.

-Se Falconer ci ha seguiti all’Ufficio Misteri, la colpa è tua. Se non avessi scritto le indicazioni per superare le cinque stanze, metà dei miei Auror non sarebbero in coma al San Mungo, i miei studenti non sarebbero stati mutilati. – la voce di Kedavra si stava alzando. Il calore della stanza sembrava essersi fatto più insopportabile.

-Sapevo che non mi avresti accettato qui. – ribatté Morgenthal precipitosamente -Per questo ho cercato di impiegare bene il mio tempo mentre ero in fuga. Ho raccolto informazioni. Ho fatto ricerche sui Negromanti, sull’Accademia. Non ho scoperto molto, ma sono disposto a condividere con te ciò che so.

Prese fiato, guardandola con estrema serietà.

-Sono qui per offrirti il mio aiuto. Metto a disposizione le mie capacità e le mie informazioni in cambio di qualche mese di protezione. Non qui al castello, naturalmente. – il tono lasciava intendere che quell’aggiunta potesse essere determinante. -Alloggerò a Hogsmeade. Cercherò un cottage. Nulla di vistoso. Passato il pericolo, tornerò al Ministero.

Kedavra rifletté, cercando di calmare l’irritazione che l’aveva colta al pensiero di ciò che la distrazione di Morgenthal aveva provocato. Tuttavia, non era lui il loro nemico. Avevano bisogno di tutti gli alleati che potessero raccogliere, specie ora che la Gazzetta tentava di dividere le loro forze. Quanto all’abilità del tedesco, non era mai stata in dubbio.

-Ho più interesse nel vedere distrutti questi Negromanti di chiunque altro e posso farlo solo con il tuo aiuto. Devi credermi.

La nota finale di quella preghiera era nettamente disperata. Kedavra lo fissò per qualche altro istante. Quindi annuì con un cenno della testa.

-Alloggerai a Hogsmeade.

Morgenthal si lasciò andare a un mezzo sospiro sollevato.

-Non ti voglio al castello più del necessario. – la voce di Kedavra si mantenne dura. -Ti aggiungerò alla lista dei collaboratori esterni degli Auror.

Udì un movimento alla sua destra, dove si trovava Jelonek. Lo ignorò.

-Ti ringrazio.

-Fatti preparare dagli elfi domestici una stanza e un pasto caldo. Domattina discuteremo di quello che sai e ti troveremo una casa a Hogsmeade.

Morgenthal chinò il capo in un gesto insolitamente ossequioso.

-Puoi andare. – lo congedò Kedavra, sostenuta.

L’Inventore annuì impercettibilmente e si voltò, camminando ingobbito fino a raggiungere la porta. Una volta giunto sulla soglia, parlò di nuovo, senza girarsi.

-Non siete ancora andati nel Labirinto a recuperare la Collana, vero?

-No. – rispose Kedavra, guardandogli la schiena.

-Mi piacerebbe accompagnarvi. Quando ci proverete.

-È nascosta e nemmeno Falconer è riuscito a trovarla. Non c’è alcuna fretta di rimuoverla.

-Già. – rispose Morgenthal, parlando lentamente -Nessuna fretta. Buonanotte.

Quando la porta si richiuse dietro di lui un nuovo, immaginario scoppiettio le fece voltare la testa verso il camino spento, accanto al quale Jelonek era ancora in piedi, immobile. Era leggermente pallido. Nell’incontrare la sua espressione, non dovette ricorrere alla Legilimanzia per capire quello che stava pensando: l’Inventore aveva pronunciato quelle ultime parole nel tono di chi pensava l’esatto opposto.

-Kedavra
 
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