Nessuno aveva mai davvero spiegato a Jelonek che i balli in maschera non erano soltanto occasioni in cui indossare vestiti bizzarri, ma che tipicamente quei vestiti significavano qualcosa, o dovevano rappresentare qualcuno. Era una di quelle abilità innate che Jelonek possedeva senza averle mai chieste (da qui, innate), ma se gli veniva spontaneo vestirsi da qualcosa un po' tutti i giorni della sua vita, ma specialmente nei balli in maschera, non aveva mai davvero capito che anche gli altri lo facessero, piuttosto che limitarsi a sfoggiare le cose più insolite dei propri guardaroba. Questo era dovuto al fatto che, nonostante Jelonek fosse un grande lettore, il suo campo di competenza non abbracciasse proprio la cultura generale, quanto piuttosto una sua sotto-nicchia molto specifica: di solito era ascrivibile al genere di uomini-con-enormi-pettorali-senza-camicia-che-abbracciano-donne-in-corsetti-stretti-sempre-con-grandi-pettorali, e capelli lunghi e fluenti che si intrecciavano nel vento. Ora, quello poteva non essere un genere, ma era sicuramente la copertina più ricorrente nel suo genere di letture. E non vedendo nessuno con gli attributi di Josh Bacchettone, il protagonista ricorrente di quelle storie (Josh non nascondeva i suoi attributi, ma in effetti, vista l'occasione sociale, forse sarebbe stato più opportuno che chiunque scegliesse quel travestimento lo facesse, e se lui avesse avuto quell'idea, sarebbe girato con una banana dietro un pareo). Insomma, si era già perso dentro se stesso, proprio nella camera magmatica di quella testa che la gente (cioè, lui) definiva un vulcano di idee, dopo pochi passi nella Sala Grande. Il che era comunque un progresso, visto che di solito, oltre a perdere se stesso, Jelonek perdeva anche l'orientamento. Sala d'Ingresso, Sala Grande: era impossibile immaginare che due nomi tanto ridondanti si riferissero a stanze adiacenti, ma era proprio così. Un'occhiata al palcoscenico fece rimpiangere a Jelonek i mitici Anni Settanta, dove suonavano band con membri veramente arrabbiati, o almeno così credeva, visto che non ascoltava band Anni Settanta. Invece, oltrepassando i suonatori, non poté fare a meno di pensare che facessero un buon lavoro.
- Avanti così. - li incoraggiò con un sorriso e un pollice alzato, visto che nessun altro sembrava complimentarsi con loro. Invece, erano tutti impegnati a chiacchierare e lanciarsi occhiate seducenti a vicenda.
Era qualcosa che avrebbe dovuto perfezionare, ma ci pensò troppo tardi. Si diresse al tavolo del banchetto in un ancheggiare di braccia di Sasabonsam: a quelle sbrindellate del suo mantello aveva aggiunto alcune vecchie sciarpe, e pannolini ecologici di stoffa ormai inutilizzati (aveva cercato di convincere Javier a portarli ancora, purtroppo senza successo) ridotti a lunghe strisce. L'idea era di far emergere le sue braccia da tutte quelle frange (qualcosa degli anni Settanta che amava per davvero) e minacciare la popolazione di Hogwarts quando fosse arrivato il momento. Siccome non ricordava bene che aspetto avesse un Sasabonsam (ma, diciamolo, chi lo sapeva davvero?), aveva indossato una tuta di perline aderente nera, con lustrini e altre frange, che lo ricopriva dai muscoli delle braccia, faceva risaltare la sua pancia invernale, gli attributi di Josh Bacchettone che però non facevano parte del travestimento, e scendeva fino alle sue caviglie da cui, lo si doveva dire, spuntava qualche pelo (in quella stagione trascurava un po' la depilazione, concentrandosi sull'idratazione delle nocche). In quel caso, delle sue nocche si vedeva ben poco: indossava guanti da forno ristretti, riadattati così da avere le dita molto più lunghe di quelle che li riempivano, e vi aveva dipinto le ossa di uno scheletro. I suoi capelli erano raccolti all'indietro, e gli occhi cerchiati da tutte le matite nere che aveva (non ne trovava mai una con la punta quando serviva e Evey era sempre al lavoro, anche quando aveva bisogno di qualcuno che gliele temperasse).
Jelonek voleva vedere Evey senza essere visto. Il suo intento per quella sera era esibirsi insieme a Eustass, che sarebbe arrivato alla festa travestito da lui, e poi farsi sconfiggere da se stesso (che era Eustass, perché lui interpretava, appunto, il Sasabonsam da sconfiggere). In tutto questo, avrebbe dimostrato a sua moglie che non aveva paura di niente, nemmeno di lei. Si guardò intorno speranzoso, salutò con una bracciata Caledon che doveva essere impegnato a parlare di lui con la sua ragazza (non vide la ragazza perché aveva occhi solo per i suoi figli quando c'erano loro) e quasi non ribaltò le patatine del suo secondo genito, che era fermo a parlare con qualcuno.
- Oh! Merlino! JAVIER! - sospirò Jelonek, imponendosi di non piangere. Javier viveva al castello, adesso, rapito da Hogwarts e dalle sue meraviglie, come accadeva sempre in quel mondo malato in cui vivevano. Fece per baciarlo sulla fronte, ma poi si ricordò Che Era Grande, e allora gli tirò un colpo sulla spalla e gli offrì un fist-bump, che era il loro saluto segreto.
- Come sono le patatine? Hai preso il ketchup? Se vuoi... Se vuoi torno a casa e preparo il mio, quello speciale con la curcuma. Aspetta...
Fece per voltarsi, poi gli venne in mente di chiedergli di nuovo se davvero non avesse più bisogno dei suoi pannolini, quando si rese conto che la donna con cui Javier parlava era in grave pericolo: una mandria (?) di serpenti le stava divorando la parrucca.
-AH! AIUTO, AIU...
La situazione, come gli suggerì il battito di ciglia successivo, era ancora più grave: la donna in pericolo era Evey. E lui si era detto di volerle apparire coraggioso.
- Devo... devo... - si coprì la bocca con la mano. - Evey, hai... hai qualcosa in testa. Ma... rimani calma. Rimaniamo tutti calmi, io...
Doveva chiamare Eustass. Come sempre, quando c'era bisogno di Auror, non se ne trovava nemmeno uno.
J. F.
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